Riuscirà Jason a trovare il coraggio di cui ha bisogno per essere l’uomo che Seb merita?
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Quando Seb Radcliffe si trasferisce in una cittadina della Cornovaglia, si sente come un pesce fuor d’acqua. Gli mancano i luoghi di ritrovo gay e il senso di comunità di cui godeva quando viveva in città, quindi decide di aprire un caffè-bar LGBT.
Jason Dunn è il costruttore che Seb ingaggia per aiutarlo a rinnovare il locale che ospiterà il caffè. Anche Jason è gay, ma, al contrario di Seb, non è ancora uscito allo scoperto. Non ha mai avuto una relazione con un altro uomo, concedendosi solo qualche incontro occasionale con ragazzi pronti a essere discreti.
L’attrazione tra i due è istantanea e impossibile da ignorare. Ma mentre Seb è gay dichiarato e orgoglioso di esserlo, Jason è terrorizzato dall’essere scoperto. Con l’avvicinarsi della grande apertura del Rainbow Place, la tensione cresce, a causa di alcune persone del posto che si oppongono ai piani di Seb. Quando le cose si inaspriscono, Jason è costretto a scegliere se nascondersi nell’ombra e deludere Seb, oppure sostenere apertamente l’uomo di cui si è innamorato così tanto.
Anche se questo libro è parte di una serie, ha un soddisfacente lieto fine e può essere letto come indipendente.
Il Rainbow Place sarà un posto sicuro e accogliente, dove potersi rilassare senza timore di essere giudicati o cacciati, un locale che Seb vuole aprire nella cittadina della Cornovaglia dove si è trasferito; se n’è andato da Londra dopo una delusione amorosa e vuole rifarsi una vita, ma gli manca quel senso di comunità che aveva trovato nella metropoli ed è deciso a creare uno spazio aperto a tutti. Un progetto ambizioso che incontrerà degli ostacoli, ma rivelerà anche come in pratica questa comunità già esistesse e avesse solo bisogno di un catalizzatore per manifestarsi e riunirsi.
Tra i due protagonisti, Seb è quello più semplice, si potrebbe dire, perché è sicuro della propria identità e si è gettato anima e corpo nel progetto del locale; ha come unica debolezza la ferita sofferta per mano dell’amante che l’ha lasciato per un uomo più giovane, rendendolo consapevole di desiderare un compagno autentico e leale.
Seb rimase silenzioso per un momento. Quella pausa di riflessione fu sconcertante dopo le sue chiacchiere a raffica di prima. Sostenne lo sguardo di Jason e la sua espressione mostrava compassione. Lo colpì dritto allo stomaco con una sensazione di disagio, perché Jason non si era mai concesso di ammettere che essere discreti fosse negativo. Era una sua scelta e lui era felice così… giusto?
Alla fine Seb disse, cauto: «Ma forse è proprio questo ciò di cui alcune persone non dichiarate hanno bisogno. Questo posto non costringerà nessuno a dichiararsi, se non vogliono uscire allo scoperto, ma potrebbe far vedere loro che hanno opzioni che non hanno mai considerato prima. Non devono entrare per forza, ma solo il fatto di sapere che c’è un luogo che accoglie la comunità gay, dove altri come loro vanno a rilassarsi e a divertirsi, potrebbe fare la differenza.»
Tutt’altro discorso è quello legato a Jason, che è cresciuto lì in Cornovaglia e solamente dopo essersi sposato e aver avuto una figlia è stato costretto dalla moglie a guardare dentro di sé e ammettere la verità: è gay, ma l’unica persona a saperlo è proprio la sua adesso ex moglie. Si sente al sicuro celato nell’ombra, e si avventura di tanto in tanto lontano da casa per cercare compagnia, ma quando la tentazione gli si presenterà proprio sotto il naso non saprà resistere, forse perché in fondo anche lui sapeva di non essere veramente felice.
Perché mi vergogno?
La risposta più semplice e ovvia era che lui era cresciuto insieme alla noncurante omofobia di suo padre. Quel commento sul “non chinarsi” era proprio quel tipo di battuta di cattivo gusto che aveva sentito più e più volte fare dal genitore. Che gli aveva inculcato l’idea che essere gay fosse sbagliato, volgare, vergognoso e una fonte di derisione da parte di altre persone, soprattutto gli altri uomini. Anche se quando era cresciuto aveva rifiutato con coscienza i valori di suo padre ben prima di rendersi conto di essere gay, nel suo subconscio il seme della vergogna resisteva ancora.
Come sempre nei suoi romanzi, Jay Northcote presenta dei personaggi e delle situazioni molto reali, ci mostra la buona volontà degli abitanti della piccola cittadina ma anche il disprezzo di cui alcuni sono capaci, credendosi unici difensori di una moralità distorta e deplorevole. Il percorso di Jason, che dall’ombra arriva a rivelarsi al mondo, è doloroso e nel medesimo tempo inevitabile: i suoi ragionamenti sono la parte che più mi ha colpito nel testo, perché con lucidità e semplicità mostrano come crescere con quella che definisce “l’omofobia noncurante” del padre, fatta non di gesti eclatanti ma di commenti e battute gettati lì come se fossero di poco valore, lo abbia intrappolato in una prigione che si era costruito da solo, credendola un rifugio sicuro.
Jason si rende conto di provare una specie di omofobia interiorizzata che lo porta a ritenere sintomo di debolezza certi atteggiamenti, come se assumerli all’interno di una relazione tra due uomini sminuisca il valore di un individuo. La sua relazione con Seb nasce in segreto e all’inizio fare sesso di nascosto sembra accontentare entrambi, ma i problemi legati all’apertura del locale spezzano questa illusione e li costringono ad ammettere la verità: Seb vuole un vero compagno e sa di meritarlo, tocca a Jason trovare il coraggio di diventarlo.
«Vogliamo davvero condividere le foto? Non è fare pubblicità agli hater?» Seb aggrottò la fronte. Non voleva fornire loro una tribuna per mostrare la loro merda.
«Non penso. Condividendole rendiamo chiaro che non ci vergogniamo. Mostriamo quello che la comunità LGBT deve affrontare e che sono i bigotti e coloro che odiano a doversi vergognare. So che è un rischio, perché dobbiamo sperare che il sostegno dell’opinione pubblica penda soprattutto dalla nostra parte. Ma penso che la maggior parte delle persone sarà a nostro favore, e vedere le immagini del danno causerà una risposta emotiva più forte.»
Il gruppo di personaggi che ruota intorno al Rainbow Place completa il quadro: ci sono le distinte signore di mezz’età che ci vanno a bere il tè per dimostrarsi solidali; i ragazzi più o meno dichiarati che ringraziano Seb per aver aperto il locale, fornendo loro proprio quel genere di posto sicuro che lui aveva sognato; gli amichevoli giocatori di rugby che corrono in aiuto quando serve, rompendo tutti gli stereotipi sul machismo di provincia; il timido operaio etero di Jason che in pochissime parole polverizza l’odio omofobo e molte altre figure, che rappresentano tutti i colori dello spettro e vanno a formare un arcobaleno.
Una bella storia, che svela quanto mentire a se stessi ci ferisca molto più di quanto siamo disposti ad ammettere, che mostra la forza di una comunità e come il coraggio di aprire il proprio cuore sia sempre ripagato.
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