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“- Ho diverse residenze di cui potrete disporre in…seguito. – precisò lui.
Caroline sollevò allora lo sguardo e si permise di osservare il volto del suo futuro marito.
Colse immediatamente il senso di quella frase.
Le stava in pratica dicendo che non erano obbligati a vivere insieme, che lui non se lo aspettava né lo desiderava e che lei avrebbe potuto scegliere un’altra residenza in seguito, cioè una volta rimasta incinta.”
Londra. 1818.
Per Lady Caroline Webster, figlia del duca di Clarendon, è naturale sposare per convenienza James Cavendish, duca di Rothsay. E non trova nulla di anormale nemmeno nell’essere del tutto ignorata da lui dopo le nozze. Del resto, unico scopo della loro unione è il mantenimento del casato e il concepimento di un erede, obiettivo che richiede sporadica e taciturna applicazione.
Il tranquillo menage precipita quando, in seguito a un aborto spontaneo, Caroline scopre che suo marito non è l’uomo freddo e posato che si è sforzato di apparire.
In pieno periodo Regency, la ventenne Caroline, figlia dell’aristocrazia inglese, ha ricevuto la tipica educazione rigida e formale, diretta a fare di una giovane donna la sposa perfetta, consona negli atteggiamenti e nelle situazioni pubbliche e private, posata, accondiscendente, tutta etichetta e regole del bon ton, da come servire il the a come condurre una conversazione leggera e garbata. Non ha grilli per la testa e sa che il matrimonio è poco più di un contratto.
Accetta dunque di sposare il duca di Rothsay, che sulla carta è il partito migliore tra quelli che le si sono proposti, anche se James l’ha scelta come si farebbe con un cavallo, al quale probabilmente avrebbe dedicato maggiori attenzioni.
Il duca ha bisogno di una duchessa, non di una moglie, e di un erede, ed è quanto viene richiesto a Caroline, che sarà poi libera di allontanarsi da lui dopo il concepimento. Consapevole di ciò, Caroline si aspetta un matrimonio improntato su rapporti freddi e formali, e pur tuttavia una convivenza civile e abbastanza cordiale, invece il marito cerca di sfuggire a qualsiasi prossimità come se la odiasse e non le fosse solo indifferente. La evita quanto più possibile, a esclusione dei pochi minuti, ogni tre sere, in cui si congiunge a lei in maniera educata e meccanica, al solo scopo di portare a termine il dovere di dare un erede alla casata.
Lei non sapeva che lui, dopo i loro metodici incontri notturni, vomitava ogni volta appena tornava nella sua stanza. D’altro canto lui non la sentiva piangere fino al momento in cui il sonno la vinceva.
Questo fino al momento in cui Caroline rimane incinta. A quel punto dice basta, si arrende all’evidenza che James rimanga per lei un estraneo e va via, stabilendosi in una delle tante case del duca, fuori città. Qui, in solitudine, inizia la sua rinascita: la vera personalità di Caroline – soffocata da strati e strati di formalismi e regole, da una educazione imposta negli anni, votata all’apparire e non all’essere – comincia a emergere nella sua peculiarità. Ma è solo dopo la perdita del bambino, quando ella scopre i motivi del comportamento di James, che una nuova rivoluzionaria Caroline spezzerà definitivamente le sbarre della gabbia di convenzioni sociali che la imprigionavano.
Non aspettatevi che aggiunga altro sulla storia. Sarebbe un imperdonabile errore da parte mia. Ricordate che è un romance e come tale rientra in tutti i canoni prescritti, compreso il lieto fine, ma prima che ciò accada… stooop! Frena Artemis, frena! Passa ad altro.
Il libro presenta un impianto classico, rivisitato – o rivitalizzato, dovrei dire – dall’intelligenza dell’autrice, dalla sua arguzia, dall’ironia con cui tratta anche tematiche profonde con garbo e apparente leggerezza. Lo stile è impeccabile, del tutto confacente al genere a cui il libro appartiene. I personaggi sono sviscerati in maniera come sempre approfondita: l’impotenza di Caroline, il tormento di James, così come le loro successive evoluzioni psicologiche ed emotive.
Due soli piccolissimi appunti. Anzi, il primo non è, se vogliamo, neppure un appunto, più una nota a piè di pagina, perché per quanto non abbia gradito molto una certa cosa, capisco pure che non ci fossero altre possibili alternative. Mi spiego meglio: dopo che nel romanzo vengono alla luce le motivazioni alla base del comportamento quasi odioso di James, la storia prende purtroppo una piega scontata e abbastanza prevedibile, per quel che riguarda gli eventi. D’altronde, con quegli ingredienti sul tavolo, non sarebbe stato possibile cucinare un piatto diverso. Sì, so bene che ci sono casi in cui un tot di diversi ingredienti si possono mescolare per realizzare più pietanze, ma ce ne sono altri che, se messi assieme, possono produrre un solo unico risultato. Ad esempio se dico spaghetti, uova, guanciale… tutti sapranno già che a pranzo mangeranno carbonara, quello e non un’altra cosa… con l’unica esclusione di chi di cucina non capisce niente. Avete capito, sì? Ditemi di sì, vi prego. Grazie, vi amo tutte. <3
E vengo infine all’appunto vero e proprio. Ma anche in questo caso non so se si tratta di un particolare da addebitare all’autrice o piuttosto a una precisa e, a mio parere, infelice scelta editoriale. Avendo letto tutti i romanzi scritti dalla Quasi, tendo a pensare che, nel merito delle scene d’amore, la linea sia stata dettata dalla casa editrice. Ora, non vorrei che mi si fraintendesse. In questo romanzo non mi aspettavo certo di trovare scene spinte descritte con minuzia di particolari, né ritengo che ci sarebbero state bene, anzi, avrebbero decisamente stonato con l’impostazione, e cozzato con l’eleganza della scrittura di Rebecca. Mi aspettavo però di percepire, dal momento in cui tra i due protagonisti si instaura un rapporto di stima e complicità, e si risveglia finalmente l’attrazione, una maggiore sensualità mescolata sapientemente a quella effervescenza briosa che la Quasi è capace di infondere a tali scene. E invece i nostri due eroi rimangono in parte ingessati anche nell’unica vera scena di letto presente nel libro, in barba a tutti gli altri cambiamenti.
Mi fermo qui, e resto in attesa del libro su P ed E (leggendo questo, capirete chi sono) che voglio, anzi pretendo, spumeggiante, ironico, sensuale e allo stesso tempo intenso, come so che la Quasi sa fare.
Scoprire che non si poteva sposare una tizia e pensare che la cosa non influisse minimamente sulla propria vita, era stata una scoperta dolorosa e sconcertante che James Cavendish, duca di Rothsay, aveva combattuto con un fiero distacco, salvo poi ritrovarsi la tizia impalmata tra capo e collo a lenire un dispiacere così immenso da non potersi dire. E ora era lì nell’erba con gli occhi chiusi a digerire un disagio ingombrante che le macerava l’anima. Ma era lì e non sarebbe andata via, perché aveva un senso del dovere e di appartenenza alla famiglia che erano monumentali e perché possedeva un rigore morale puro e cristallino. E perché, nonostante tutto, aveva compassione delle persone. Ogni volta che la guardava non poteva fare a meno di pensare che era stata una crudeltà efferata sposarla, ma poi concludeva che quella crudeltà gli aveva salvato la vita.
– A lui serviva una moglie, a lei serviva un marito.
Lei era figlia di un duca e lui era un duca.
Entrambi avevano ricevuto un’ottima educazione rispondente ai ruoli che occupavano e che avrebbero occupato, pertanto era molto naturale e sensato che si unissero in matrimonio.
“Sono onorata di accettare la vostra proposta, Vostra grazia,” aveva risposto Caroline.
A quel punto Rothsay si era alzato, le aveva sfiorato la mano con le labbra e si era congedato con ossequio.
Lei lo aveva accompagnato alla porta e poi era rimasta sola nel salottino privato di sua madre.
Sola e fidanzata. –
Caroline Webster è una giovane gentildonna, educata secondo i più rigidi dettami del suo tempo, in quel mondo in cui alle donne era detto e ripetuto quali fossero i doveri: obbedire, sposarsi, procreare, tacere.
Caroline non conosce altro, il suo mondo privilegiato l’ha piegata al ruolo che le è stato assegnato fin dalla nascita, e lei lo accetta.
Rothsay è un duca che ha bisogno di un erede e a sua moglie non chiede altro. Assolto il dovere, lei sarà libera di scegliere una qualsiasi delle residenze ducali e vivere la sua vita.
Tutto scorre come in una desolata, arida sequenza, se nonchè… Avvengono cose che sconvolgeranno Caroline nel profondo, che la prostreranno quasi al punto da voler abbandonarsi al nulla, la sofferenza e la solitudine come lame affilate le squarceranno l’anima.
Ma Caroline è forte, intelligente e profondamente buona, e questo salverà se stessa e altre vite che incroceranno il suo cammino.
Vi confesso che, giunti ad un certo punto, ho davvero detestato Rothsay e il suo ducale menefreghismo, poi ho capito. Ho capito che anche a lui il ruolo toglieva aria e libertà, anche se, come uomo, gli erano permesse cose che una donna non avrebbe mai potuto neanche immaginare, ma tant’è…
Nella seconda parte del romanzo Caroline rompe il guscio delle convenzioni e, finalmente, la sentiamo respirare a pieni polmoni.
E le sue dita, oh, quelle dita che sfuggono al controllo ferreo che Caroline esercita su se stessa, saranno libere di librarsi come farfalle…
Meravigliosa Caroline!
Meravigliosa nei fatti, nella profondità delle azioni compiute, nell’essere se stessa, finalmente, e capace di reinventarsi, donna e duchessa, senza paure e ambiguità.
E James? Beh, non si resiste a bellezza e intelligenza, no? Certo che merita di sudare un po’, Sua Grazia il Duca di Rothsay.
La Quasi ha scritto uno storico classico e ben documentato, che rispetta i canoni e trasmette tutte le sensazioni di una società ingessata nelle convenzioni, nella doppia morale, nelle differenze sociali e nel ruolo assolutamente marginale che le donne ricoprivano anche nelle classi dominanti.
Oggetti in vendita a miglior offerente.
Tutto narrato con la leggera ironia e la dolcezza tipica di questa autrice di cui, fino ad ora, ho letto e apprezzato i contemporanei.
Rebecca, ci prometti un romanzo tutto dedicato a P ed E?
Per entrambe le recensioni:
Editing a cura di:
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