Un uomo comune, una donna particolare.
“E perché non ti piace il sesso?” A Giorgio sembrava di essere Socrate che interrogava i discepoli.
“È troppo umido.”
Quel che restava del ghiacciolo di Giorgio si staccò dallo stecchino e si abbatté al suolo.
C’erano mille modi con cui Giorgio avrebbe potuto reagire, e tra questi c’era anche scoppiare a ridere, ma si trattenne e optò per continuare a fare il Socrate curioso.
“Umido? In che senso?” domandò.
“Sperma, fluidi vaginali, sudore, saliva…”
“Ah in quel senso.”
Rimanere seri stava diventando un’impresa.
“A me tutto quel bagnato non piace molto” precisò Agata.
“Pare però che tutto quel bagnato sia fondamentale per la buona riuscita della ehm… faccenda. Almeno, così ho sentito dire.”
“Come sarebbe che hai sentito dire? Hai un figlio, lo saprai per certo, no?”
“Era per dare autorevolezza all’informazione. Sono abbastanza sicuro che un buon tasso di umidità sia indispensabile.”
Agata sembrava perplessa.
Aveva sperato che Giorgio la pensasse come lei. Non che avesse intervistato molta gente sull’argomento, ma aveva la sensazione che agli altri tutta l’umidità coinvolta nel sesso piacesse parecchio. Insomma, tanto per cambiare, quella strana era lei.
Anche il ghiacciolo di Agata era finito, Giorgio le sfilò di mano lo stecchino senza sfiorarle nemmeno le dita e li posò uno sopra l’altro sul bracciolo del dondolo.
“Visto che siamo in vena di confidenze” proseguì lui, “sei per caso vergine?”
“Ma no!” esclamò lei, scandalizzata. “Ho trentadue anni!”
“Non sarebbe mica un crimine.”
“L’ho già fatto tre volte…” Il tono un po’ spavaldo era decisamente fuori luogo, ma tutta Agata era così, per cui non c’era niente di nuovo.
“Addirittura tre!” Colpo di tosse. Ridere stava diventando un bisogno impellente.
“…e con tre uomini diversi. È stato appiccicoso e molliccio. Conclusione: non fa per me.”
“Il molliccio non mi torna.”
Giorgio s’era messo due dita negli occhi per resistere.
“Sai quando sei lì… e l’altro trema…”
“Mh…”
“Non è molliccio?”
“Dipende.”
“Comunque, immagino sia soggettivo” concluse Agata.
“Sì. Decisamente soggettivo” confermò Giorgio.
Giorgio, 44 anni, di mestiere fa l’agronomo ed è divorziato.
L’estate che incombe su Torino gli porta una grossa preoccupazione: dovrà trascorrere due mesi con il figlio Emanuele, un adolescente affetto da una leggera forma di autismo.
Un pomeriggio, quando le cose si complicano, nella mansarda sopra il loro appartamento arriva Agata, una modella con una personalità “particolare” e le certezze di Giorgio vanno a farsi un giro.
Ieri ho letto il mio primo libro di una autrice self a me sconosciuta, su consiglio di un’amica, che conoscendo i miei gusti mi ha detto solo: “Devi leggerlo, non ti dico niente altro”. Mi sono fidata (con riserva) e saltando a piè pari impegni precedenti e scalette personali, ho fatto un tuffo in acque ignote. Bene, dopo appena poche pagine le ho scritto in chat: “Wow!”, solo wow, che potete liberamente interpretare come: “Ma dove cacchio era nascosta st’autrice che mi morderei le mani e i gomiti per non aver letto nulla di suo fino a oggi…si nascondeva lei? Dormivo io? Cosa? Cosa? E menomale che esistono le buone amiche, quelle che ti sanno leggere dentro e con le quali condividi gusti e passioni…mò non mi scappi più, Rebecca Quasi. Datemi tutto ciò che questa persona ha scritto, dalla A alla Z. Lo voglio…Amen”.
Ecco, perdonatemi, mi sono di nuovo persa nel mio privato universo parallelo, quello in cui mi ritrovo catapultata ogni volta che tra mille e più fili di lana, che possono andare dalla lana grezza al più pregiato cashmere, spunta a sorpresa un filo diverso da tutti gli altri, non necessariamente di maggior pregio, ma di quelli che subito pensi: “Eccolo, è lui, con quello mi farei uno di quei comodi maxi cardigan, con quel filato lì, perfetto per esternare ciò che sono e sento, perfetto per raggomitolarmici, perfetto per starci bene, perfetto per me”.
Ok, fermatemi pure con una botta in testa, altrimenti rischio di non arrivare più a parlarvi di questo romanzo. Questo libro, che per me è narrativa, anche se contiene una parte romance inserita in maniera del tutto congrua nel contesto, affronta un tema molto delicato, che è quello della diversità. E lo fa non bene…di più.
Giorgio e Manu, padre e figlio, e Agata, la nuova vicina, sono i personaggi principali del libro, attorno a cui ruotano gli altri membri di una famiglia allargata, che nel tempo ha trovato un suo equilibrio nella complicità, nel fare squadra per un fine comune. Cercherò di dirvi il meno possibile sulla storia racchiusa in queste pagine, vi dirò invece ciò che vi ho trovato guardando giusto un pochino al di là dei semplici fatti. Anzitutto toglietevi dalla testa che l’autrice abbia propositi di tipo didattico da impartire, ella racconta i fatti in maniera leggera, divertente, ironica, direi quasi leggiadra, con grazia e spontaneità, e forse proprio per questo motivo ho trovato il suo modo di narrare e il messaggio inconsapevole trasmesso, ben più profondi di chi utilizza il sensazionalismo costruito ad arte in una scena, di quello che ti strappa a forza le emozioni dal corpo, quel tipo di sensazionalismo che a me fa francamente molto incaz..volare, in modo molto simile alla reazione generata in me dallo sciacallaggio sui social mediante immagini ad effetto, di quelle raccatta-like, col bimbo down in primo piano o il malato terminale. Uffa, sto di nuovo divagando…pardon! Giuro di non farlo di più, mò mi concentro, e se proprio dovessi sgarrare, seconda botta sulla testa!
Dicevamo, Giorgio, Agata e Manu, universi distanti anni luce. Nel libro io ero Giorgio, nella vita io sono Giorgio, la persona “normale”, provata e plasmata dalle esperienze, colui che si ritiene aperto e di larghe vedute fino a quando non sbatte col grugno contro qualcosa di totalmente inedito e sconosciuto, qualcosa che la ragione impone di inquadrare in schemi noti per potercisi approcciare senza timore e imbarazzo. E così, mentre Giorgio cerca un aggettivo, Artemis cerca una patologia. Artemis legge e nel frattempo medita, spulciando tra le sue scarse conoscenze mediche, catalogate in qualche anfratto di materia grigia. E procede per esclusione: questo no, questo potrebbe ma nemmeno, questo ci si avvicina soltanto. E procedendo si rende conto che stabilire cosa Agata sia e quali termini la possano meglio rappresentare, non ha in fondo alcuna importanza: Agata è straordinariamente unica, e tanto basta. E come lei Emanuele. E come Emanuele, ogni essere che arrivato chissà da dove, fa il suo pezzo di strada su questo nostro pianeta. La morale mia personale, a questo punto, è una lezione di vita su me stessa: quando parliamo con grande convinzione di accettare e rispettare la diversità, del fatto che ci renda tutti più ricchi e migliori, il più delle volte sono solo belle parole perché anche se ti ritieni la persona più tollerante che ci sia, e non giudichi, e non pensi che l’altro, quando diverso, sia migliore o peggiore di te sulla base di quella diversità, anche in tal caso hai bisogno di inquadrare, di trovare una descrizione che rientri nei tuoi schemi cognitivi. Ecco, in quel momento stai rapportando ciò che è sconosciuto ai tuoi limiti mentali, e attorno all’entità altrimenti inconoscibile stai costruendo pur non volendo una prigione di preconcetti. Non avete idea di quanto sia rimasta delusa da me stessa quando ho realizzato tutto ciò.
Ma è quando arrivi a capire questo che sei pronto a fare il salto, dalle parole ai fatti, alla vera accettazione di sé e di tutto ciò che ti circonda, di ciò che usiamo catalogare come strano o estraneo o straniero o ancora meglio alieno. Ed è così che un uomo comune quale Giorgio è, diventa un supereroe, un Superman, un Jedi, uno Ian Solo e una principessa Leila messi assieme. Ed è grazie a lui, a questo eroe di tutti i giorni dal mantello invisibile, se alla fine ho fatto pace con me stessa.
– Mi dispiace di avere portato scompiglio. – Non essere riduttiva. Non è scompiglio. È caos, è rivoluzione. Hai raso al suolo tutto, Agata. Lei gli rispose solo con un soffio di fiato caldo. – Non mi sto lamentando, eh. Prima vedevo il mondo, il mio mondo, deforme, perché volevo a tutti costi dargli la forma che sarebbe piaciuta agli altri. Adesso non mi interessano più le forme, gli stereotipi, le etichette e soprattutto non mi interessa l’opinione altrui. Non mi interessa nemmeno sapere cos’è mio figlio o cos’ha, voglio solo che sia felice. Il più felice possibile. E voglio essere felice anch’io. E per essere felice ho bisogno di te.
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