La chiamano Maledizione del Bevitore di Sangue. Un nome suggestivo e quantomai appropriato per la bellissima e preziosa spada vichinga di cui Roseleen, giovane docente di storia medievale presso una piccola università statunitense, è riuscita a entrare in possesso. Un nome attribuito a ragion veduta, in virtù del misterioso potere che l’arma esercita: ogni volta che la giovane donna la impugna, un rombo di tuono annuncia l’improvvisa apparizione di un forte e splendido guerriero vichingo, che sostiene di chiamarsi Thorn, il Bevitore di Sangue.
Vittima di un arcano maleficio, Thorn, ogni volta che la sua spada cade in mani femminili, è costretto a lasciare il Valhalla – il mitico paradiso vichingo – per trasformarsi in umile servitore delle nuove proprietarie. Ma con Roseleen la sua schiavitù è destinata ad assumere connotazioni piuttosto particolari. L’intraprendente professoressa è infatti assolutamente determinata a scoprire il più possibile sul mondo del suo accidentale servitore e lo costringe a un viaggio indietro nel tempo.
Prende così il via un’avventura magica e indimenticabile nel cuore degli eventi medievali, un’avventura destinata a sbocciare in un grande amore che corre il rischio di modificare addirittura il corso della storia…
Ho letto questo libro con molto interesse, vista la mia passione per i vichinghi.
Per un antico maleficio, quando la sua spada finisce nelle mani di una donna, il guerriero Thorn è costretto ad abbandonare il paradiso vichingo per servire colei che ne è entrata in possesso. Appare così all’esterrefatta Roseleen, serissima docente di storia medievale. Elettrizzata dalla possibilità di vivere nell’epoca cui ha dedicato tutti i sui studi, Roseleen non immagina che molto più elettrizzante sarà il fascino del guerriero di cui può disporre a suo piacere.
Lo so che cosa state pensando. Lo so, perché l’ho pensato anche io. Ma prima di discutere le nostre comuni perplessità fatemi recensire il libro… poi parleremo del resto.
Roseleen sta per realizzare il suo sogno. Entrare in possesso di un’antica spada vichinga chiamata “Maledizione del Bevitore di Sangue”, arma perfettamente conservata e con un nome che, per una docente di storia, è un richiamo irresistibile. Comprenderete quindi la sua rabbia quando l’attuale proprietario si rifiuta di vendergliela, adducendo come unica motivazione la sua appartenenza di genere. Infatti, secondo un’antica maledizione, la spada non dovrà mai essere posseduta da una donna, pena terribili conseguenze non meglio specificate. Rosaleen non si fa certo scoraggiare da simili sciocchezze e, tramite un prestanome, il fratello adottivo David, riesce infine a entrarne in possesso.
Eccitata oltre ogni misura, appena l’arma le viene recapitata, apre la scatola e la impugna. Da qui inizia la magia. Un rombo di tuono, in un cielo perfettamente sereno, annuncia l’improvvisa apparizione di un forte e splendido guerriero vichingo, che sostiene di chiamarsi Thorn, il Bevitore di Sangue. All’inizio Rosaleen è scettica, rasentando quasi la stupidità. Prima pensa che sia uno scherzo di cattivo gusto a opera di colleghi invidiosi, poi un sogno, poi un fantasma e rimanda avanti e indietro nel Valhalla, luogo dove solitamente dimora, il guerriero in questione, scambiando con lui solo qualche insulsa parola. Per questo motivo all’inizio il libro non decolla. È prolisso, a tratti noioso, la ristrettezza di vedute della protagonista (oltremodo vergine e con scarso controllo dei capillari facciali) rischia di inficiare la godibilità dell’opera. Poi, all’improvviso, decolla. Entra in scena davvero Thorn, con la sua ironia, pur con tutti i limiti di un uomo della sua epoca, e lentamente si scopre l’arcano. Vittima di un maleficio, ogni volta che la sua spada cade in mano a una donna, è costretto a lasciare il mitico paradiso vichingo per trasformarsi in umile servitore delle nuove proprietarie che lo sfruttano, diciamo in vari modi, ma non lo liberano mai. Ma con Roseleen le cose vanno, ovviamente, in modo diverso. Pur essendo subito affascinata da lui, e come potrebbe essere diverso con un guerriero vichingo di quasi due metri, la rigida professoressa è determinata a utilizzare la possibilità di viaggiare nel tempo per raccogliere dati di ricerca, quindi vuole mantenere un interesse puramente professionale. Inutile dire che non ci riesce e da qui si dipana un’avventura nel passato destinata a diventare un grande amore che supera le barriere del tempo, ma anche pericolosamente in grado di modificare il corso della storia.
Il libro è scritto bene, anche se con un linguaggio decisamente aulico, le fonti storiche sono ineccepibili e affascinanti, la struttura del romanzo, pur essendo a volte discontinua, è capace di coinvolgere e stupire il lettore, catapultandolo davvero nel passato. Non posso che esprimere, quindi, un giudizio positivo.
Ora torniamo al dubbio iniziale. Leggendo la sinossi sicuramente la vostra prima reazione è stata: che palle! Ancora? Davvero? Un altro guerriero supersexy che esce da un oggetto e un’altra storia che contempla un viaggio nel tempo? Insomma, potrei elencare al volo altri libri che contengono caratteristiche simili. Per i viaggi nel tempo sicuramente la Gabaldon con Outlander, la Deveraux con L’uomo dei miei sogni, la Cresswell con Amore senza tempo, o la Joyce con i suoi highlander, per nominarne solo alcune. Per quanto attiene agli oggetti magici che regalano a ignare fanciulle l’amore della loro vita il primo è sicuramente Fantasy Lover della Kenyon e il suo libro incantato (chi non ha amato Julian di Macedonia alzi la mano) e Schiavo di piacere della Showalter, nel quale l’autrice usa un magico scrigno. Ma sicuramente ce ne sono altri che io non conosco.
Eh sì, il libro che ho appena recensito parrebbe proprio un altro doppione e farebbe quasi venire in mente la parola ‘copiato’ o a voler essere buone ‘preso spunto’.
Ma, c’è un ma.
Colpo di scena! Il libro della Lindsey è del 1995! Successivo o contemporaneo ad alcuni di quelli nominati, decisamente antecedente ad altri. Quindi lei ha non copiato e altri hanno preso spunto da lei.
Possibile che tutte queste autrici, famose e in cima alle classifiche di vendita, non facciano altro che reiterare trame del passato? Io non credo. Quello che credo è che esistano degli archetipi, quelli che in narratologia vengono chiamati i metaconcetti di un’opera letteraria, espressi nei suoi personaggi e nella struttura della narrazione. Semplicemente, dai greci in poi, siamo affascinati da pensieri e immagini che ritornano e che ci attraggono, ispirando opere in diversi ambiti, che si tratti di un libro o di un film.
Ancora più esemplificativo il discorso sui vampiri, presenti nella mitologia delle culture più antiche. Si dovrebbe quindi affermare che tutti quelli che hanno scritto su di loro hanno copiato dagli antichi miti, da Il vampiro di John Polidori, scritto nel lontano 1819, in poi.
Quindi il messaggio che vorrei mandare, approfittando di questa recensione, senza avere la presunzione di dire chissà quale verità, è: godiamoci i libri che leggiamo, per come sono scritti, bene o male, e per le emozioni che ci trasmettono, positive o negative. Il resto è kantianamente speculativo.
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