Quando gli opposti si attraggono, l’amore fiorisce nei luoghi più inaspettati.
Quixote Edizioni (24 febbraio 2020), acquistabile qui.
Stefan Albemarle, impettito botanico, si è sentito emarginato per tutta la vita. Di conseguenza, è sempre stato molto solitario… cosa che rende più facile ignorare il fatto che, indipendentemente da quanto ci provi, le persone pensino sempre che sia un so-tutto-io e uno snob.
Milo Rios è un giardiniere urbano senza preoccupazioni che ha lavorato sodo per arrivare dov’è, ed è entusiasta del suo lavoro presso il Brooklyn Botanic Garden. Va d’accordo quasi con chiunque, ma non gli è mai importato abbastanza di nessuno per restare nei paraggi.
Quando Stefan e Milo si incontrano, durante una visita guidata di Milo del Botanic Garden, è odio a prima vista. Ma l’odio si trasforma velocemente in desiderio quando Milo mostra a Stefan quanto possa essere delizioso perdere il controllo a cui si è aggrappato così a lungo. Quando la maschera di Stefan inizia a cadere, Milo vede una profonda vulnerabilità nell’accademico. Una volta conosciuto il mondo di Milo, Stefan può finalmente ammettere di volere più dalla vita del successo professionale. Lavorando assieme, Stefan e Milo potrebbero riuscire a coltivare il futuro a cui entrambi ambiscono.
«Le senti le parole che dico?» Solitamente ero abbastanza tranquillo, ma il mio autocontrollo si stava dissolvendo. «Non è un giro per esperti, anche se sì, io lo sono. Questo è un giro per profani.» Le mie mani erano chiuse a pugno lungo i miei fianchi e lo stavo guardando in cagnesco. «Ma dato che ne stiamo parlando, un vero esperto conosce talmente bene l’argomento da sapere quali informazioni sia rilevante comunicare in quali contesti e a quale pubblico. Un vero esperto sa riconoscere quando alcune cose non sono importanti per le persone esterne al proprio ristretto circolo di specialisti. Un vero esperto è in grado di far sì che alle persone importi di qualcosa perché gliela presenta in modo coinvolgente e rilevante! Amo ciò che faccio e amo mostrarlo alle persone in un modo che possa farlo amare anche a loro.»
Gli occhi di Albemarle erano spalancati, la bocca leggermente aperta. Scioccato? Arrabbiato? Non avrei saputo dirlo e a quel punto non mi importava.
«Quindi posso garantirti che posso rispondere a ogni dannata domanda che tu possa avere su ogni dannata pianta in questo giardino. Ma non venire nel mio giro a rovinarlo per tutti gli altri, che, peraltro, hanno pagato esattamente come te e hanno lo stesso diritto di goderselo, solo per fare lo stronzo!»
Con la parola stronzo pronunciata proprio in faccia ad Albemarle, girai sui tacchi e me ne andai come una furia.
«Non mi sono mai piaciuti i film o la musica giusti. Non parlavo nel modo giusto. O, meglio, parlavo in modo troppo giusto. Sai, ci sono… storie di come il mondo si aspetta che siano gli uomini di colore. Come dovremmo essere.»
Annuii. Conoscevo bene storie simili.
Sospirò e allentò leggermente la presa sulla mia mano. «Non mi piacevano le cose che piacevano agli altri ragazzi nel mio quartiere. Non mi piacevano il rap o il rhythm and blues, e volevo guardare film che pensavano fossero stupidi. Cose da bianchi, dicevano. “Perché fai tutte queste cose da bianchi, Stef?”, “Perché cerchi di parlare come i bianchi, Stef?”, “Pensi di essere migliore di noi perché ti comporti da bianco?”.»
La sua voce era amareggiata, derisoria, ma quando parlò nuovamente, era sottile.
«E i ragazzi a cui interessavano le cose che mi piacevano non mi accettavano mai sul serio, come se pensassero… non lo so. Per un po’ ci ho provato a essere quello che gli altri si aspettavano che dovessi essere. Pensavo che ci fosse qualcosa di sbagliato in me. Ma mi sembrava di recitare, sai? Potevo farlo. Potevo recitare il ruolo. Ma non ero io. E… probabilmente non ho mai recitato così bene come avevo creduto. Almeno, non abbastanza bene da far sì che nel mio quartiere o a scuola volessero avere a che fare con me.»
Deglutii il nodo che sentivo in gola. «E ora? Tipo, nel tuo laboratorio o cose così. Con i tuoi amici. Ora puoi essere te stesso?»
«Io…» Scosse la testa. «No. Voglio dire…» Sfilò la mano dalla mia in un gesto nervoso. «Non ho veramente molti… Uhm. Quando sono me stesso non piaccio alle persone. Pensano che io sia…»
Lasciò la frase a mezz’aria e si morse il labbro, gli occhi su di me, e io feci una smorfia. «Uno stronzo arrogante. Merda, mi dispiace.» Sollevai la sua mano e gli baciai le nocche, come se la mia bocca potesse lenire il dolore che aveva causato.
«Già.» Fece spallucce. «Ma… penso che forse lo sono davvero. Non voglio esserlo, ma…» Scosse la testa, frustrato.
Potevo capire, vedere, com’era successo. Un bambino che non si sentiva mai abbastanza, che non si sentiva accettato. Probabilmente si era aggrappato alle cose in cui era bravo, al mondo che accettava quelle cose. E l’università ripagava i risultati, l’elitismo, la rarità. Era una belva e, se glielo permettevi, avrebbe divorato qualsiasi cosa dentro di te che non aveva i suoi stessi valori. Conformarsi era un meccanismo di sopravvivenza.
Stand Alone.
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