♦ EINAUDI (15 maggio 2018) – acquistabile qui ♦
Matteo Bussola riconosce ciò che di straordinario si annida nelle cose ordinarie perché le guarda come se accadessero per la prima volta, come se sentisse sempre la vita pulsare in ogni cellula. Ed è con quello sguardo che racconta di relazioni sentimentali, l’istante in cui nascono, il tempo che abitano. Lo fa mettendosi a nudo, ricordando gli amori passati, per ripercorrere la strada che lo ha portato fino a qui, alla sua esistenza con Paola e le loro tre figlie. Soprattutto, lo fa specchiandosi nelle storie di ciascuno: quelle che incontra su un treno, o mentre sbircia dal finestrino della macchina, o seduto in un bar la mattina presto. Quelle che incontra stando nel mondo senza mai dare il mondo per scontato, e che la sua voce intima e familiare ci restituisce facendoci sentire che sta parlando esattamente di noi.
In queste pagine ho scelto di illuminare le cose che per me hanno un senso: l’amore dove lo scorgo – compreso quello dal quale, per paura o vigliaccheria, sono fuggito -, la cura quando mi colpisce, il dolore da cui ho imparato, la bellezza in quel che c’è, anche quando arriva inattesa e quasi a far male.
Mario lo incontro sempre al bar della Marisa.
Ha ottantaquattro anni ben portati, lo trovi seduto al tavolino in fondo col suo quaderno a quadretti e la matita gialla con la punta troppo corta. Dalla Marisa beve un bicchiere di vino rosso al giorno, uno solo, alle nove del mattino in punto e a stomaco vuoto, poi va a casa.
Un giorno gliel’ho chiesto, a Mario: ma cos’è che scrivi sempre sul quaderno? E Mario mi ha raccontato la storia di come ha fatto a conoscere la Jole.
La Jole era vedova di guerra e aveva quasi vent’anni più di Mario. Mario faceva il garzone del lattaio, le portava tutti i giorni un litro di latte che lasciava nella cassetta di legno al cancello. A Mario la Jole piaceva tantissimo perché era una di quelle donne pratiche e senza tanti grilli, e poi quando la vedeva ridere gli veniva la sindrome di Pascal, e te lo diceva talmente convinto che non ti sentivi di correggerlo perché pensavi che, chi lo sa, magari esiste pure quella sindrome lì.
Comunque Mario, dentro la cassetta del latte, alla Jole metteva sempre un bigliettino con una frase romantica, uno al giorno. Come nei cioccolatini di adesso quelli con la mandorla, mi ha detto.
La Jole non gli rispose mai, o comunque non mostrò segni di particolare apprezzamento. Però nemmeno di fastidio, perciò Mario continuò coi bigliettini, per quasi un anno.
Un lunedì la Jole lo invitò dentro a bere un bicchiere di vino rosso, fuori c’era la neve.
“Mario”, gli disse la Jole, “ma tu ce l’hai mica una morosa?”
“No”, disse Mario.
L’indomani la Jole lo invitò dentro di nuovo, ma stavolta non parlarono, e poi nei giorni seguenti ancora, e ancora.
Un giorno Mario glielo chiese, alla Jole. Ma perché non mi hai mai risposto ai bigliettini?
Venne fuori che la Jole non sapeva leggere né scrivere, e si sarebbe vergognata da morire a farseli leggere da qualcun altro. Ma li aveva conservati tutti.
Allora Mario li lesse alla Jole a voce alta, di seguito e proprio come fossero un libro, e fu lì che Mario scoprì che la sindrome di Pascal gli veniva anche quando vedeva la Jole piangere.
Mario e la Jole hanno vissuto insieme quarantasette anni, poi la Jole è morta.
Mario continua a scriverle tutti i giorni.
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