Un milione di maledetti motivi per andarmene, uno solo per restare. E quel motivo sei tu.
Acquistabile qui.
Dopo le dimissioni dalla clinica di Las Vegas, Alejandro e Max hanno intrapreso il loro cammino insieme a San Francisco.
Nonostante un inizio in salita, le difficoltà sembrano appianate. Grazie a un’intensa riabilitazione e ai farmaci con cui è destinato a convivere, Alejandro ha recuperato in maniera discreta dopo il grave trauma cranico che ha segnato la fine della sua carriera da giocatore: ora allena una squadra di college football e abita felicemente con Max nella casa dei suoi sogni in riva all’oceano.
Ma Max vive in segreto il senso di colpa per essere stato la causa dell’infortunio di Alejandro e vorrebbe rinchiuderlo in una gabbia affinché non gli capiti più nulla di male. Alla notizia del suicidio di un ex giocatore della NFL affetto da encefalopatia traumatica cronica, le sue paure si accentuano come non mai.
La situazione precipita ulteriormente quando Bryon DeShaun, l’ex di Max, entra a far parte della squadra. Bryon è l’emblema di ciò che Alejandro non è più: ha un cervello perfettamente funzionante, non è uno storpio, non deve dipendere dai neurolettici per evitare di aggredire le persone ed è prossimo a far vincere a Max il tanto agognato Super Bowl.
E se Max notasse quanto lui, a confronto, sia “difettato”? E se un giorno finisse per preferire Bryon e lo lasciasse? Tra verità non dette e paure immotivate, Alejandro decide di fare l’unica cosa che non dovrebbe mai fare: smettere di prendere i suoi farmaci.
Con Alejandro che precipita di nuovo nel baratro da cui era faticosamente emerso due anni prima, riuscirà Max a fargli capire quanto lo ami prima di perderlo per sempre?
Sequel di “Quel maledetto gioco chiamato amore”.
“You’re giving me a million reasons to let you go
…
But baby, I just need one good one to stay”
– Million Reasons, Lady Gaga
Quando ho saputo dell’uscita di questo romanzo ho subito pensato: “Perché!? Che bisogno c’è di continuare una storia che era già così perfettamente rifinita da non lasciarci nessuna insoddisfazione una volta giunti alla parola Fine?” E devo dire che è stato con una certa trepidazione che mi sono accinta alla lettura, in parte temendo che l’autrice fosse posseduta da un eccessivo attaccamento a personaggi che, avendo già avuto il loro happy end, non avessero null’altro da raccontarci e quindi avrebbe dovuto forzarne la storia per darci qualcosa di nuovo.
Quanto mi sbagliavo! Avrei dovuto dare maggior credito da subito a Cristina e capire che, se ancora aveva sentito la necessità di raccontarci di Max e Jandro, era perché loro avevano ancora molto da dirci. Perché, come già ci aveva dimostrato con il primo romanzo, la vita non è mai semplice e lineare, e i suoi personaggi sono sì di carta, ma vivi e reali e credibili, a volte anche più di quanto a noi lettori faccia piacere immaginare.
Avevamo lasciato Max e Alejandro all’inizio di quella strada di rinascita che avevano deciso di intraprendere insieme. Ed è su quella strada che li ritroviamo due anni dopo: Max ormai all’apice della propria carriera e a un passo dal coronare il proprio sogno di indossare l’ambito anello del Super Bowl, Jandro felice nel suo ruolo di allenatore capo della squadra dei Little Sharks e apparentemente ben avviato verso un buon recupero fisico e mentale. I passi fatti sono stati tanti, a volte grandi, a volte piccoli.
Ma la strada che hanno scelto di intraprendere insieme è molto più tortuosa e intricata di quanto entrambi si aspettano, e dietro ogni curva può trovarsi un baratro pronto a inghiottirli per riportarli nell’inferno che pensavano di essersi lasciati alle spalle. Perché le medicine tengono a bada i disturbi di Jandro, ma non impediscono alla sua mente di dubitare di se stesso e disprezzarsi… e se non si ama se stessi, come si può credere che qualcun altro possa amarci nonostante tutti i nostri difetti?
Successe tutto in pochi attimi, o almeno gli sembrò così. Capì solo che la sua mente andò per un attimo in blackout, schiacciata da una massa confusa di pensieri distorti dalla rabbia. Un buio vuoto e privo di forma che gli pervase la testa come una marea fredda. Il cervello che si spegneva, la pazzia che esplodeva in una miriade di fuochi d’artificio terrificanti. Quando tornò in sé, era fuori, sul patio, aveva rovesciato le sedie in ferro battuto e ne stava prendendo a calci una. Mio Dio, che cazzo sto facendo! Spaventato, fece un mezzo balzo indietro e si passò le mani sulla faccia. Si rese conto solo dopo che Max era in piedi nell’arco della portafinestra e lo stava guardando con… dolcezza. «Ho preso a calci queste maledette sedie?» «Sì.» «Non sembri arrabbiato con me.» «Non lo sono infatti.» «E non hai… paura?» «Di cosa? Che le rompi o che ti faccia male?» «Che ne faccia a te.» Max scosse la testa piano e sorrise. «No. So che a volte hai questi scatti d’ira. Lo sappiamo entrambi e li accettiamo.» Poi gli porse la mano. Alejandro la osservò per un istante. Era lui quello che aveva paura. Spaventato dalla calma di Max, dalla sua accondiscendenza. Fece un passo indietro, fuggendo da quella offerta d’amore. «Ho appena preso a calci le fottute sedie del tuo fottuto patio. Come fai ad accettarlo come se niente fosse?» «Sono le nostre fottute sedie e il nostro fottuto patio. E io accetto te, Jandro, così come sei.» Si sentì scosso da piccoli brividi, il terrore che lo lasciava come una doccia fredda. Con fare incerto, accettò la mano di Max e fu circondato dal suo tenero abbraccio. Si accasciò contro di lui. «Non mi ricordo com’è successo,» proruppe. «È come se per un attimo un’altra persona avesse preso le redini della mia testa e poi mi sono ritrovato qui in piedi a colpire la sedia. E non capivo, non sapevo…» Max lo strinse più forte, ma senza fargli male, baciandogli i capelli con delicatezza. «Va tutto bene, è durata solo un minuto. Sappiamo che può succedere.» Pian piano, Alejandro si sentì di nuovo sicuro di se stesso. La voce del suo uomo aveva sempre un effetto lenitivo su di lui. «Non so cosa farei senza di te.» Sprofonderei di nuovo in un mare di merda, probabilmente. L’altro lo baciò con trasporto. «Non ti serve scoprirlo, perché non dovrai mai stare senza di me.»
Perché è così che Max ama Alejandro, totalmente e senza riserve, perché già una volta ha rischiato di perderlo per sempre e ora non c’è nulla che non farebbe per assicurarsi un futuro insieme a lui. Anche accettare di lasciarlo camminare con le sue gambe, anche frequentare un gruppo di supporto per i familiari di chi ha subito lesioni cerebrali, dove trovare sostegno e aiuto per capire fino in fondo quanto complessa possa essere la vita con una persona con le disabilità di Jandro.
«È importante non farsi travolgere, ma anche rimanere una persona indistinta. Max non è Alejandro. Alejandro non è Max. La paura è una componente normale. La cosa importante è riuscire ad accettarla. Accettare che gli scatti d’ira di Alejandro possono capitare.» L’uomo gli offrì un sorriso che sapeva di sicurezza. «Non è una questione di dubbi o fiducia. Non devi sentirti in difetto. Alejandro avrebbe potuto sul serio scaraventare quel vaso. I suoi scatti d’ira fanno parte della sua condizione. Dovete accettarlo entrambi, con serenità. Senza timori. Perché questo farà per sempre parte della strada che avete scelto di percorrere assieme.» Una pausa, in cui Owen lo fissò dritto in faccia. «A meno che tu non voglia prendere l’uscita e lasciare questa strada. Perché questo vostro amore è sofferenza e sarà sempre così.»
Ma quello che non riesce ancora a fare è aprirsi fino in fondo col proprio compagno, ad ammettere di aver paura, ad ammettere di non riuscire a far convivere la sensazione di colpa per essere stato la causa della scelta autodistruttiva di Jandro con l’orgoglio che prova all’idea che il ragazzo abbia rinunciato a tutto per lui.
Alejandro emise un suono secco e tremante. «Quando non lavora, lo fa spesso. Correre.» Fu allora che Max vide qualcosa incrinarsi sul viso dell’altro. La parola “correre” riempì lo spazio tra loro con tutta l’amarezza della realtà. Alejandro, che era stato il corridore più veloce tra tutti i ragazzi che aveva allenato. Alejandro, che avrebbe zoppicato per il resto dei suoi giorni. E tutto per colpa mia. Solo mia. Ha comprato il mio sogno e l’ha pagato con un pezzo di sé. Il suo Jandro non si lamentava mai, non gli rinfacciava nulla. Diceva di essere felice, che lo amava, e gli credeva. Il più delle volte era così, quasi sempre in realtà. Ma poi c’erano quei silenzi eloquenti, in cui per un attimo la sofferenza si faceva strada sul suo viso, più amara del fiele. E Max si sentiva morire, un pezzettino alla volta. Come poteva ricambiare la portata del gesto che aveva compiuto per lui? Come avrebbe mai potuto contraccambiare ciò che aveva sacrificato per lui? C’erano dei momenti in cui si domandava se il suo amore avrebbe mai potuto essere abbastanza per ripagare Alejandro. Avrebbe segretamente trascorso il resto dei suoi giorni nella colpa, ma non ne avrebbe mai fatto parola con lui.
Così quando nella vita lavorativa di Max rientra Bryon, il suo bellissimo e perfetto ex, si innesca nel ragazzo una gelosia che per quanto naturale e umana, ha conseguenze a dir poco catastrofiche sulla mente già lesionata dell’ex giocatore, che inizia a vedere come inevitabile l’abbandono da parte del compagno, fino al punto di ricadere in quel circolo vizioso di insicurezze e disistima che lo hanno già portato in passato sull’orlo dell’autodistruzione.
Quasi senza rendersene conto, le mani riaprirono il calendario a quel mese. L’ex di Max era ancora lì, che lo fissava sorridente nella sua posa sexy. Fu allora che dentro di lui qualcosa si spezzò. Bryon è così… perfetto. Guardalo, non ha cicatrici, le dita delle mani sono belle dritte e non ha nessuna fottuta gamba matta. Lui corre, e velocemente anche. Non è come te, che devi trascinarti ovunque e hai bisogno di un cazzo di autista. Lui gioca ancora a football, lo fa maledettamente bene. Tutti sono orgogliosi di lui. Max è orgoglioso di lui. Gli farà vincere il Super Bowl, sai? E sarà tutto merito suo. Cazzo, così perfetto. PER-FET-TO. Sarà solo questione di tempo, sì, e poi Max vorrà scoparselo. Già, se lo scoperà, è inevitabile. Io, invece, sono difettoso. In un soffio, tutto il suo mondo si sgretolò attorno a lui. Si sentì privato di ogni certezza, spinto in un fiume in piena fatto di dubbi e smarrimento. Scaraventò contro il muro quelle pagine fatte di uomini perfetti con un urlo che squarciò il silenzio nella stanza. Un attimo dopo, tutto ciò che campeggiava sulla scrivania finì sul pavimento a far compagnia al calendario.
Troppi non detti, troppe incomprensioni, troppe decisioni unilaterali… e in mezzo a tutto un amore nato nel dolore che si ostina a non voler morire, radicato così in profondità da resistere alle crisi più dure…
…lo sguardo del compagno non accennava a smettere di apparire ferito. «C’è dell’altro per cui mi sento in colpa,» proferì. «Capita quando mi chiedi di lasciarti andare da solo a Las Vegas, perché ho paura che, se non ti controllo abbastanza, potrebbe accaderti qualcosa di terribile. Ma soprattutto capita quando penso a cosa hai rinunciato per me. Altre volte invece mi sento orgoglioso per lo stesso motivo, perché so che hai rinunciato a tutto per me. E subito dopo mi sento uno stronzo. Uno stronzo colpevole. Pensavo che con il passare del tempo l’avrei superata, ma non è successo. E ora penso che potrei anche non superarla mai.» Scosse piano la testa, un pallido sorriso che affiorava sulle sue labbra sottili. «A volte, quando sei alle mie spalle e ti sento arrivare ma ancora non ti vedo, capisco che sei tu perché hai quel modo tutto tuo di camminare a causa della zoppia. Un modo che mi fa sorridere e mi fa dire “questo è lui, è il mio ragazzo”. E non c’è nessun bellimbusto sui calendari che regga il confronto.» Quando l’altro tacque, Alejandro continuò a fissarlo in quegli occhi nocciola, cercando di raccogliere le idee. «Beh, questa è una delle cose più carine che mi hai mai detto. E ti assicuro che hai ragione sul sentirti orgoglioso. Sarà una cosa folle, ma non mi pento e non mi pentirò mai di ciò che ho fatto.» Una smorfia. «A parte quando commetto stronzate come in questi giorni. Comunque, forse non devi superare quella colpa. Forse dovremmo entrambi imparare ad accettare tutti i nostri peccati e conviverci per sempre.»
Ma saprà resistere anche a una mente che non risponde più alla logica comune?
Si sentì come se lo avessero strappato dal suo corpo. Un attimo prima era collegato a carne, ossa, muscoli e anima. Un secondo più tardi, il suo cervello affogava in un lago di rabbia incontrollata, la consapevolezza di sé che fluttuava senza paletti, rimbalzando da una sponda all’altra. Alejandro provò a tenere a bada quella furia che stava alzando la testa dentro di lui. Ci provò sul serio, ma senza i farmaci che gli offrivano supporto, remare contro quella disperazione funesta fu impossibile. Sarebbe stato come provare a fermare una slavina armati di un retino da pesca. Sto soffocando, esplodendo. Dove sono le mie medicine? Ah, è vero, non le hai, hai smesso di prenderle. Perché sei una testa di cazzo. E Max fa bene a lasciarti. Non ami te stesso, come puoi pretendere che lo faccia lui? Allora liberò quella rabbia, spalancò il recinto e lasciò andare tutto ciò che vi era bloccato dentro. Ti ricordi quando hai aggredito Doc? Quando ti sei trasformato in Darth Vader e hai provato a fracassarle la testa? Drappo rosso sventolato davanti agli occhi, la bestia scappa. Andrà tutto bene. No, non andrà bene un cazzo. Sta iniziando il terremoto, non si può fermare, non voglio fermarlo. Il mostro era tornato.
A voi lettori la risposta, nella speranza che anche questo secondo capitolo della vita di Max e Jandro vi faccia emozionare e vi entri nel cuore come ha fatto con me.
«Che cosa hai deciso di fare, Max?» Sapeva perfettamente che cosa fare, non aveva più dubbi ormai. Ripensò a Lady Gaga, a quel milione di maledetti motivi per andarsene e all’unico per rimanere. Quell’unico motivo valeva tutto. Scosse la testa con decisione. «Non prendo nessuna uscita. La mia strada è con Jandro. Tutti continuate a dirmi che il nostro amore è sofferenza. Ma io non la vedo in questo modo e, se proprio fosse così… beh, allora continuerò a farmi del male. Ciò che provo per Jandro mi è radicato nelle vene, non posso strapparmelo via. Non voglio. È con lui che voglio vivere.»
Recensione a cura di:
Editing:
Qui la recensione del romanzo precedente.
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