♦ Traduzione a cura di Giulia Mariotti
Dunwich Edizioni, acquistabile qui ♦
A ventitré anni, e con un noto caso alle spalle, Emory Rome ha già ottenuto fama come agente speciale del Tennessee Bureau of Investigation. Sta facendo carriera rapidamente, ma il salto si interrompe quando gli viene assegnato un caso che avrebbe voluto evitare: un misterioso omicidio nella cittadina delle Smoky Mountains da cui si è allontanato. La bizzarra morte di una pattinatrice, un tempo destinata ai professionisti, è presto seguita da un apparente caso di auto combustione. Nella piccola cittadina, i segreti di Rome giacciono appena sotto la superficie. La fretta di trovare il colpevole prima che colpisca di nuovo lo scaglia contro un abile investigatore privato, Jeff Woodard. L’investigatore privato è attraente, sveglio e seducente, e potrebbe essere l’assassino che Rome sta cercando.
Le premesse perché questo fosse un romanzo appassionante c’erano tutte: un omicidio tremendo e spettacolare, l’ambientazione in una cittadina di provincia tra la neve e i boschi, un investigatore dal passato sofferto. Invece il risultato è, purtroppo, molto al di sotto delle aspettative: non è un libro scritto male, ma è piatto e freddo; per spiegarne i motivi, però, dovrò rivelare qualche dettaglio sulla trama più di quanti preferirei.
Partiamo da Emory, quello che dovrebbe essere il protagonista: abbandonato dalla madre, cresciuto dalla nonna, per metà nativo americano, adottato dallo sceriffo, omosessuale. Un lungo elenco di informazioni che potrebbero portare alla costruzione di un personaggio complesso, dall’animo ferito o tormentato, che lavora nelle forze dell’ordine per riscattare il passato oppure cercare l’approvazione del padre adottivo. Nulla di tutto questo, le informazioni vengono spiattellate uno dietro l’altra in un dialogo, e la cosa peggiore che pare essergli accaduta è stato perdere la strada e far impantanare un corteo funebre: vi sembra un motivo sufficiente per non tornare mai a casa?
Poi c’è Jeff, investigatore privato dalla moralità molto flessibile che fino a un certo punto viene circondato da un’aura di ambiguità, per far sospettare che possa essere implicato nell’omicidio: peccato che la sua ambiguità resti relegata a battute in dialoghi piatti, una serie di botta e risposta rigidi e stiracchiati, che danno spesso l’idea di essere battute recitate con voce atona, senza che i personaggi reagiscano in alcun modo a quanto viene detto.
Jeff girò intorno alla scrivania per mettersi davanti all’agente speciale del TBI. «No, il punto è che io e te siamo sulla stessa barca, ma io utilizzo un altro manuale.» Indicò il petto di Emory e la punta del dito lo colpì allo sterno. «Non devo seguire il tuo.»
«La cosa giusta da fare…»
«Il confine tra giusto e sbagliato non è fisso. Si muove a seconda delle circostanze.»
«No, non funziona così. Ciò che è giusto è giusto, e ciò che è sbagliato è sbagliato.»
Jeff sollevò la mano destra. «Se ti schiaffeggiassi in questo momento perché stai diventando petulante, sarebbe sbagliato.» Abbassò di nuovo la mano. «Ma se tu fossi appena svenuto e ti avessi dato uno schiaffo per svegliarti, allora mi ringrazieresti.»
Emory lo guardò, torvo. «Non sono mai svenuto.»
Jeff si lasciò scappare una risatina. «Ora chi è che non ha afferrato il punto? Non venirmi a dire che non hai mai infranto la legge, nemmeno un po’.»
«Seguo le regole.»
«Perché? Cosa hanno fatto queste regole per te?»
Il romanzo è un thriller, quindi l’interesse reciproco tra i due personaggi (che pare nascere semplicemente dal fatto che Jeff sia bello ed entrambi siano omosessuali) è giusto accennato qua e là, e sfocia in qualche bacio del tutto privo di seguito, nonostante sembrerebbe logico che due uomini impegnati in un’indagine che mette più volte a repentaglio le loro vite, e che provino anche solo un briciolo di attrazione l’uno verso l’altro almeno arrivino a parlarsi, a mostrare un briciolo di emozione ogni tanto. Qualcosina c’è, ma accade in circostanze particolari che esulano dal loro normale modo di comportarsi, quindi è come se entrambi, e soprattutto Emory, non ne fossero responsabili.
Emory si concentrò su di lui come meglio poté. «Dal primo momento in cui ti ho visto, sai, quando mi hai sorriso, è stato come se avessi deciso il nostro destino.»
Quella frase portò un sorriso confuso sul volto di Jeff, uno sguardo a cui Emory non riusciva più a resistere. Con entrambe le mani attirò il viso di Jeff contro il suo e lo baciò sulla bocca.
Non appena le loro labbra si separarono, Emory gli disse: «Dio, odio i tuoi occhi.»
Jeff lo guardò, torvo. «Cosa?»
«I tuoi occhi. Mi fanno fare cose che non dovrei voler fare.»
L’indagine è lunga e accadono molte cose, spesso quasi slegate l’una dall’altra, come se l’autore volesse distrarre di continuo il lettore per confondergli le idee. Ogni morte o crimine accade in modo complesso, quasi troppo, al punto che viene da chiedersi quanti esperti di chimica esistano in una cittadina così piccola. Ci sono poi cose all’apparenza interessanti, come il culto religioso legato ai serpenti che ha una chiesa nei boschi fuori città, che trovano giusto lo spazio di una citazione o due e alla fine si capisce essere state messe lì solo per fornire una spiegazione a un dettaglio del complicatissimo piano criminale.
Alcuni personaggi secondari, come i rispettivi partner di Emory e Jeff, sono poco più di nomi su carta, appaiono brevemente per poi scomparire per lunghi pezzi, cosa che soprattutto nel caso di Emory mi è sembrata assurda, perché lavorando per il Tennessee Bureau of Investigation non sono riuscita a capire come fosse possibile che il suo collega, in pratica, non fosse mai coinvolto nell’indagine.
La gestione dei punti di vista nella narrazione in teoria dovrebbe servire a mostrare fatti che Emory, il personaggio maggiormente seguito dal narratore, non può conoscere; invece ci si trova davanti pezzi buttati lì di colpo dal punto di vista di altri personaggi, spesso brevi e sterili, a volte messi apposta per insinuare dubbi su Jeff, quando è palese dall’inizio che la sua presunta ambiguità è solo un fallito tentativo di complicare l’indagine agli occhi del lettore.
Nel finale questa cattiva gestione del punto di vista culmina in una serie di salti, con spiegazioni su spiegazioni che si contraddicono e sovrappongono, per far credere prima una cosa e poi l’altra. E quando tutto dovrebbe essere risolto, ecco spuntare un colpo di scena che a mio giudizio è semplicemente triste, messo lì in modo posticcio per alimentare un’atmosfera di inquietante angoscia che non ho percepito affatto.
In conclusione, il romanzo è scritto in modo pulito, senza errori di sorta, ma la storia, che aveva la possibilità di essere appassionante, si arena nei dialoghi freddi, in un’indagine inutilmente aggrovigliata e nell’incapacità dei personaggi di suscitare coinvolgimento emotivo.
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