♦ Traduzione a cura di Mariangela Noto
Triskell Edizioni, acquistabile qui ♦
Qualcosa di sinistro sta per accadere.
L’agente dell’FBI Ryan “Mac” McGuinness e il truffatore Henry Page sono di nuovo in fuga. Questa volta sono diretti là dove tutto è cominciato: Altona, nell’Indiana. Popolazione: alcune capre. Henry non è affatto contento di doversi nascondere nella fattoria McGuinness, ma non ha altro posto dove andare.
Mentre Mac combatte per riabilitare il proprio nome e Henry cerca di decidere da che parte stare, un fantasma dal passato minaccia di distruggere ogni cosa. E non è neanche la sola tempesta all’orizzonte. Tagliati fuori sia dal lato buono che da quello cattivo della legge, Henry e Mac devono sopravvivere basandosi esclusivamente sul loro fragile rapporto.
Se Henry riuscisse finalmente rivelare a Mac chi si nasconde dietro tutte le sue maschere, i nostri eroi potrebbero forse avere una possibilità di sconfiggere le forze che cospirano contro di loro. Il vero amore non ha mai vita facile, ma per loro due potrebbe essere davvero l’unica speranza di sopravvivere.
Non è amor l’amore
Che cambia quando trova un cambiamento,
Che si allontana quando l’altro si allontana.
O no: è un faro fisso per sempre,
Che guarda la tempesta senza esserne scosso.
Di nuovo in fuga insieme a Henry e Mac, di nuovo accompagnati dalle parole di Shakespeare, recitate dai personaggi come preghiere o invocazioni a completare la narrazione e permetterci di comprendere i loro sentimenti forse meglio ancora di quanto non facciano loro stessi. Ultimo atto di questa bellissima trilogia, “Tempesta” è una corsa contro il tempo che lascia senza fiato, mentre nemici sempre meno celati nell’ombra incalzano i due protagonisti e minacciano tutti coloro che amano. La parte più difficile, però, sembra essere trovare il coraggio di essere sinceri e rivelare l’uno all’altro i propri sentimenti: Mac ancora non sa se può fidarsi che il giovane smetta di scappare e resti insieme a lui, mentre Henry teme che l’altro non possa accettare la verità che si cela dietro tutte le sue maschere.
Henry lavorava solo facendo affidamento sui travestimenti combinati ai pregiudizi delle persone. Se fingeva di essere un parcheggiatore, una troietta, un agente assicurativo o, come una volta, un archeologo, non voleva che gli altri guardassero al di là della maschera. Era così abile nel regalare una fantasia in cui le persone potessero credere, che non sapeva comportarsi con qualcuno che invece cercava la sostanza. L’unica cosa dentro di lui erano innumerevoli alias. Ed era ridicolo che l’unico che volesse vedere dietro la maschera fosse Mac. Mac. Quell’agente dell’FBI pelato, incazzoso, con le braccia svolazzanti…
Ho amato questi due protagonisti imperfetti, leggendo una pagina dopo l’altra con ansia crescente per la serie di pericoli e difficoltà che hanno dovuto affrontare fino alla fine. Mac col suo fisico imponente, che mangia anelli di cipolla a dispetto della dieta e poi si sente in colpa, nasconde dietro alle proprie insicurezze un grande coraggio, perché è disposto a proteggere Henry a costo della vita ed è pronto a dichiarargli il proprio amore con il rischio di vederlo fuggire via. Invece Henry, così spavaldo con la sua parlantina sagace, cela nell’animo l’infinita sofferenza di un ragazzo abusato, che ha stretto i denti e superato ogni cosa per occuparsi della sorella. Adesso che gli si prospetta la possibilità di essere amato, però, deve trovare dentro di sé un diverso tipo di forza, perché la cosa più difficile che si possa fare è presentarsi per ciò che si è davanti a un’altra persona, nella speranza che non ci rifiuti.
Henry amava le uova. Non aveva mai indagato il perché, sapeva solo che erano incredibilmente deliziose. Mac, una volta, aveva fatto un parallelo tra gli infiniti alias di Henry e la miriade di modi in cui le uova potevano essere cucinate, ma secondo lui era psicologia spiccia.
Se avesse dovuto fare dell’introspezione, Henry avrebbe detto che la sua ossessione per le uova aveva qualche collegamento con i vecchi ricordi di sua madre che preparava la colazione per lui e Vi il sabato mattina.
Molto spesso, soprattutto grazie al personaggio di Viola, vediamo un altro aspetto della vicenda messo sempre più in chiaro: quel sottile gioco che le autrici hanno portato avanti con il lettore sin dall’inizio della trilogia, inserendo citazioni di opere di Shakespeare e descrivendo situazioni spesso al limite dell’assurdo per collegarsi al suo teatro. Travestimenti e scambi di persona, riflessioni su cosa siano le maschere teatrali e come usarle per intrattenere il pubblico, scherzi su come la vicenda stessa sia una messa in scena che si svolge davanti a terze persone: ogni cosa contribuisce a creare un’atmosfera leggera che strizza l’occhio al lettore, coinvolgendolo direttamente nell’impianto teatrale della narrazione.
«No.» Henry lo guardò. «Questo sono io. Sono solo nomi, Mac. Solo parole, costrutti. Henry è reale parole.» Si sollevò sulle punte per baciarlo e Mac si perse nel bacio.
«A me piacciono le parole,» sussurrò. «E Henry è il ragazzo di cui mi sono innamorato.»
«Oh.» Henry scrollò la testa sconsolato. «La parte melensa. Dobbiamo essere alla fine dell’episodio.»
«Pensavo che Mac&Cheese adesso fosse diventato un film.»
«È un telefilm che adesso è anche un film.»
«Be’, non penso che il nostro pubblico sarà soddisfatto fino a che non me lo dirai anche tu.»
Henry sollevò le sopracciglia. «Ma gireremo davanti al pubblico? Live? Li sentiremo fare “aaaaaaaahh” quando lo dico e “ooooooh” quando ci baciamo?»
«Ci sarà pure qualche lacrima.» Henry ridacchiò.
«Sì, come no.» Mac gli prese il viso tra le mani. Gli passò il pollice sullo zigomo e aspettò.
«Ti amo,» mugolò Henry, chinando la testa.
Dopo la lotta e la sofferenza, il finale è quello stesso sorriso che ci ha accompagnati sin dalle prime righe del primo libro, quando Henry si era fatto passare per un poliziotto per sfuggire a Mac. Un gioco di maschere che si regge sulla nostra volontà di essere ingannati e ammaliati, la conclusione perfetta per la fuga infinita di questi due uomini, destinati a completarsi a vicenda.
Ciascuno aveva un ruolo assegnato e lo recitava. Tutto il mondo era un palcoscenico, dopotutto, ed era stipato di giovani attori pronti a cominciare.
Le persone che contavano – le sole persone che contavano – erano quelle capaci di vedere attraverso la maschera che indossi sul palco. Quelle che ami e che ti amano.
Recensione a cura di:
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