Hanna, ereditiera di un impero finanziario in declino, per salvare le sorti della sua famiglia è costretta a incontrare il Signor Brahe, un uomo distinto e misterioso che vive isolato tra le stanze oscure di un’antica torre di Praga. La donna scoprirà che dietro l’eleganza di quell’uomo si nasconde la malvagità di una creatura diabolica, capace di provocare innumerevoli sofferenze e di togliere la vita senza alcun rimorso. Tra folli alchimisti e fratellanze segrete, Hanna sarà immersa nel racconto di un uomo che ha vissuto per secoli in bilico tra umanità e istinto di morte e presto capirà la vera motivazione di quell’incontro.
L’inizio mi aveva attratto. Che cosa può volere una creatura che sembra proprio un vampiro da una giovane donna?
Hanna Hurt viene invitata da uno stravagante gentiluomo per una cena. Brahe non fa mistero della sua natura insolita con riferimenti palesi alla sua anima dannata. Ha da offrire alla giovane la soluzione a un suo problema e in cambio desidera solo essere ascoltato.
Da qui parte un lungo monologo che occupa l’intero romanzo. Brahe racconta la sua storia senza nascondere nulla, incurante di sorprendere e spaventare la sua interlocutrice.
Il racconto si addentra nei meandri di un oscuro passato in cui il protagonista si muove nell’ombra, prima lottando poi venendo conquistato dalle ombre. Al suo fianco, la giovane donna passa da un senso di incredulità a una partecipazione emotiva degli eventi narrati, senza però mai capire cosa voglia Brahe da lei, alla fine. Percorriamo i secoli e incrociamo numerosi personaggi nella lunga esistenza di Brahe, ne conosciamo le gioie e i dolori, gli amici e gli alleati ma anche i nemici feroci che gli danno la caccia.
Purtroppo però il libro non mantiene le promesse. Pur cercando di offrire qualche spunto originale al mito del vampiro – a cui comunque si attiene per la maggior parte del tempo – la narrazione non riesce a essere coinvolgente.
Il testo appare come un riassunto affrettato, con cambi di tempo e collocazione confusi e frasi incoerenti alla narrazione in prima persona. (“Aspettate” disse Josef, ma io ero già fuggito – è un esempio.)
In più, è appesantito da un eccesso di aggettivi e avverbi e da un’infinità di ripetizioni (diventare, diventava, diventando in tre righe).
La storia mette tantissima carne al fuoco senza dare al lettore il tempo di emozionarsi, affezionarsi ai personaggi o immedesimarsi se necessario, perché le scene non si riescono a sentire, visualizzare, mantenendo appunto il tono del riassunto.
Ed è un peccato, perché valeva la pena di approfondire i tentativi di redimere l’anima del demone, di immergersi di più nel suo conflitto interiore tra il continuare a esistere e il vedere distrutta la natura malvagia che lo alimenta. In questo modo il personaggio sembra bipolare, un attimo prima cerca il modo di farla finita o di compiere azioni meritevoli e un attimo dopo uccide senza rimorso.
Dalla sua, a parte qualche piccolo errore nei tempi verbali e le ripetizioni (che sono indice che la casa editrice non ha fatto un editing degno di questo nome, nemmeno a livello formale) la scrittura è corretta e la storia, per quanto non del tutto originale – ma i cui spunti sono talmente tradizionali da essere rassicuranti e rappresentare più un tributo che una mancanza di originalità – ha alcuni concetti che approfonditi avrebbero potuto suscitare curiosità nel lettore e rendere il protagonista distinguibile dagli altri vampiri.
Così, però, non mi sento di consigliarlo.
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