♦ Traduzione a cura di Olivia Marusi
Dreamspinner Press, acquistabile qui ♦
Connor Bishop è un agente della Buoncostume della polizia di Seattle, ma la parte del lavoro che preferisce è andare sotto copertura. La sua missione attuale prevede che si avvicini a Riley Drapeau, un trafficante di esseri umani messo all’angolo dall’FBI e diventato un informatore. Connor deve spremerlo per raccogliere prove che riguardano la sua organizzazione, ma nel farlo scopre un Riley del tutto diverso da quello che si aspettava.
Colto alla sprovvista, Connor si appoggia a Lucas, il suo contatto col mondo esterno, ma viene travolto da Riley e dal tentativo dell’uomo di ripulire il proprio nome e provare che i suoi soci hanno fabbricato prove contro di lui.
Immerso nel buio mondo dei traffici illegali, Connor trova più facile credere a Riley che a quello che dice l’FBI, soprattutto quando c’è una fuga di notizie all’interno del Bureau. La scelta che Connor deve affrontare diventa ancora più difficile quando Lucas ammette i suoi sentimenti per lui e gli promette una vita al sicuro, lontano dai pericoli. Ma Connor non può negare che l’unico uomo con cui vuole stare è Riley. Ed è costretto a chiedersi se la sua dipendenza dal pericolo lo possa portare ad amare un criminale.
Questo secondo libro mi è sembrato troppo simile al primo della serie, che non mi è piaciuto per niente, in cui un argomento molto forte come il traffico di esseri umani veniva trattato in maniera troppo leggera, secondo me, rendendo il tutto molto forzato. Il protagonista, poi, l’agente Gabriel Carter, che lavorava sotto copertura con il nome di Ty, accettava dei veri e propri stupri, se pur in nome di una missione, con tale leggerezza e impassibilità da lasciarmi davvero perplessa.
Anche qui, come nel primo, il poliziotto sotto copertura, Connor Bishop, prova una improvvisa e inspiegabile attrazione nei confronti del trafficante di esseri umani, dell’uomo che incarna tutto ciò che odia e contro cui lotta. Ritorna quindi l’argomento del mostro, ma più che l’argomento torna sfortunatamente la parola “mostro”, ripetuta, ancora una volta, più e più volte… troppe, decisamente troppe.
A un certo punto nuotare nelle acque profonde con mostri come Riley era diventata la norma per Connor, e fingere di appartenere a quelle inospitali profondità aveva smesso di essere una recita. Ma Connor non aveva mai perso di vista la riva, e non aveva dimenticato come tornare indietro.
“Non posso giustificare te o il tuo passato.” Connor liberò la mano e gli toccò i capelli. “Ma posso sperare che non tornerai a quella vita se ti verrà data una seconda possibilità.”
L’autrice tenta di riproporre le situazioni e le atmosfere del primo romanzo ma, se là aveva dalla sua un coprotagonista affascinante, seppure quasi sempre odioso, qui c’è Riley che, per quanto si sforzi, non è all’altezza di Demetrius/Evan. Ritrovare i protagonisti precedenti, Gabriel ed Evan, ritornati ai loro veri nomi e al lavoro nelle forze dell’ordine, è d’aiuto alla trama ma nel medesimo tempo offre un termine di paragone che Connor e Riley non riescono a vincere del tutto.
Di fronte all’inopportuna attrazione per l’efferato criminale che dovrebbe controllare, Connor non può far altro che resistere stoicamente, con tutte le forze… per almeno un minuto e dieci secondi prima di saltare addosso al cattivone ogni volta che lo vede.
Allo stesso modo resiste alle improvvise avances dello storico collega e migliore amico, Lucas, colui che vede come un fratello, come un faro nel buio, per cui quando questi, dichiaratamente etero, lo coglie di sorpresa con una dichiarazione e lo bacia, la sorpresa e l’imbarazzo lo portano a… ricambiare famelicamente il bacio dopo qualche secondo.
Vedete bene che il nostro Connor dimostra la spina dorsale di un invertebrato e la forza di volontà di Carrie Bradshaw di fronte a una svendita totale di Manolo Blahnik.
Il romanzo non è scritto male, la trama presenta un susseguirsi di pericoli e colpi di scena che di sicuro mantengono alta la tensione, tuttavia non basta, a mio avviso. Se nel primo libro della serie nel finale c’era una serie di ribaltamenti di fronte che arrivava a diventare confuso, con Demetrius che passava da cattivo a buono e poi di nuovo cattivo e poi non si capiva nemmeno più cosa, in questo certi ruoli restano più definiti, con il cattivo che desidera redimersi ma almeno non cambia identità più volte.
Connor si girò e chiuse la tenda intorno al letto. “Quando esci di prigione, vieni a trovarmi.” Si abbassò, posò la mano sulla mascella di Riley per tenerlo fermo e reclamò le sue labbra.
Ci volle un momento prima che Riley rispondesse, aprendo la bocca per lui. Fece scivolare le dita tra i suoi capelli e ricambiò il bacio.
Il bacio presto divenne affamato. Due bocche che comunicavano il desiderio e il dolore a cui non avrebbero mai potuto dare voce. Era l’unico modo che Connor conosceva per dire addio, per dire a Riley cosa provava senza trovare per il suo dispiacere parole che avrebbe avuto difficoltà a pronunciare. Connor non voleva altro che continuare a giocare nel fondo dell’oceano con Riley, ma alla fine non aveva altra scelta se non tornare a riva.
L’autrice sfrutta comunque l’espediente del colpo di scena riguardante la reale identità dei personaggi, che aveva reso in qualche modo intrigante la trama del primo romanzo, però qui appare forzato, un’aggiunta messa proprio perché in precedenza era stata una sorta di marchio di fabbrica.
Nella struttura dell’opera è evidente lo sforzo di “lasciare il segno”, ma rimane uno sforzo – a mio avviso – sfortunatamente vano: dialoghi mal costruiti, concetti ripetitivi e scene di sesso soporifere conducono a una considerazione finale che si può riassumere in: che noia che barba, che barba che noia.
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