♦ Traduzione a cura di Claudia Milani
Dreamspinner Press, acquistabile qui ♦
L’ex topo d’appartamento Rook Stevens ha rubato molti oggetti preziosi in passato, ma mai prima d’ora era stato accusato di aver sottratto una vita. Una cosa è trovare una vecchia complice ad aspettarlo dentro al Potter’s Field, il suo negozio di cimeli della cultura pop, un’altra è inciampare nel suo cadavere.
Il detective Dante Montoya era convinto di aver chiuso per sempre con Rook Stevens, dopo che il suo precedente partner aveva falsificato delle prove per incastrare il ladro di gioielli che invece se l’era cavata impunemente. Così, quando interrompe la fuga di un sospettato di omicidio coperto di sangue, rimane senza parole nello scoprire che si tratta proprio dell’uomo che aveva giurato di mettere dietro le sbarre e che continua a fargli ribollire il sangue nelle vene anche a distanza di anni.
Rook è determinato a scrollarsi di dosso l’accusa di omicidio, anche se ciò significa prendere le distanze dal duro detective messico-cubano che lo ha arrestato. Ma come se un’artista della truffa morta non fosse abbastanza, presto se ne aggiungo altre e, mentre i cadaveri si ammucchiano ai suoi piedi, Rook è costretto a chiedere aiuto proprio all’ultima persona che in teoria dovrebbe credere alla sua innocenza… e l’unico uomo che non è mai riuscito a dimenticare.
Rook è un ladro, un truffatore, un topo d’appartamento. Ha un passato non proprio limpido, ma non è un assassino. Quando si trova accusato di un omicidio che non ha commesso, deve far ricorso a tutto il suo sangue freddo per non peggiorare la situazione.
Ma quello che non si aspetta è di trovarsi davanti, come detective che si occupa dell’indagine, un’ombra del suo passato: Dante Montoya che gli aveva dato la caccia in precedenza. E non solo, un uomo che lo aveva attratto irresistibilmente e che era altrettanto attratto da lui.
Montoya era… bello. Di nuovo. Troppo bello. Troppo scarmigliato, troppo irresistibilmente trasandato, con quelle spalle larghe e gli occhi color miele caramellato bordati da lunghe ciglia. Un accenno di fossetta minacciò di accentuarsi quando la sua bocca si piegò in un mezzo sorriso e Rook dovette deglutire il nodo che gli si formò in gola allorché il detective infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, tirando indietro i bordi del giubbotto di pelle nera con i gomiti e mettendo in mostra la fondina. Persino da quella distanza, l’uomo rappresentava un’attraente e pericolosa complicazione.
I personaggi quindi si trovano a essere immediatamente coinvolti su più fronti: se da un lato il detective Montoya deve dimenticare i sentimenti che Rook gli risveglia per poter fare bene il suo lavoro, anche Rook non deve lasciare che il legame con Dante lo indebolisca e rischi di fargli dimenticare chi è e ciò che è meglio non si sappia.
Da qui prende il via un romanzo frizzante, che mescola con garbo azione, sentimenti, ironia, ma anche dolore, perché Rook è una simpatica canaglia, ma allo stesso tempo una persona ferita, incapace di fidarsi e di lasciarsi andare.
Lo vediamo nascondersi dietro l’umorismo (il suo prendere in giro Montoya per il suo nome e per il suo non riconoscere le citazioni da “La storia fantastica” è un tormentone che mi ha fatto molto sorridere), ma poco dopo soffrire di una solitudine dell’anima travolge chi legge.
“Nessuno di voi ha mai sentito nominare Inigo Montoya?” Rook osservò prima un poliziotto poi l’altro, sospirando quando nessuno dei due diede segno di comprensione. “Merda, dove andremo a finire?”
Tutto usa e getta. Così come usa e getta era lui. E come era sempre stato. Si ritrovò in piedi davanti a quelli che gli sembravano centinaia di cassetti, messo a nudo dalle parole di Charlene. Il suo stomaco fece un’ultima capriola prima di atterrargli sulle budella pesante come granito. Rook non aveva mai creduto nella sincerità: era sempre stata un intralcio per le cose che aveva dovuto fare. Se le avesse permesso di attecchire nella sua vita, avrebbe portato con sé troppi dilemmi morali ed etici, e l’ultima cosa di cui Rook Stevens aveva avuto bisogno in passato era sentirsi gravato dal fardello del bene e del male.
Dante Montoya è un buon poliziotto, che crede nel suo lavoro e ci mette l’anima. Sicuramente più forte di Rook, dal punto di vista emotivo, ma non privo di ombre nel suo passato.
“È più di un lavoro, Charlene. Devo a quelle persone la pace che meritano. È il…. Non so spiegartelo meglio, ma sento che è mio dovere. Fa parte di me. Bisogna fare giustizia per ciò che hanno subito.” Era difficile spiegare quella che per lui era una verità fondamentale, qualcosa di radicato così in profondità nel suo essere da impedirgli persino di immaginare una vita in cui non fosse stato un poliziotto.
In un crescendo di disavventure, con la presenza di alcuni comprimari che aggiungono vivacità alla narrazione, seguiamo i protagonisti in un’investigazione non priva di colpi di scena, che lascia però lo spazio alla sensualità. Un romanzo in cui l’investigazione, anche se incuriosisce e mantiene alta l’attenzione, rimane sempre con toni un po’ esagerati, divertenti, come un film d’azione con spunti comici, più che un cupo poliziesco e il lato romance non eccede mai nell’eccesso di scene erotiche o romantiche.
Una lettura piacevolissima, punteggiata di ironia, con riferimenti che i nerd apprezzeranno parecchio, in cui la storia d’amore è il legante del romanzo ma non lo monopolizza.
A breve uscirà il anche il racconto “Guardie e ladri”. Divertente ma non eccezionale, che forse eccede negli avvenimenti in così poche pagine, ci consente di conoscere più a fondo un personaggio secondario, ma non è assolutamente necessario per la comprensione delle vicende del romanzo.
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