♦ Traduzione a cura di Victor Millais
Dreamspinner Press, acquistabile qui ♦
Il mondo non finisce con uno schianto, ma con un diluvio. I tornado invadono il cuore di Londra, New York soffoca sotto un’ondata di calore che fa sciogliere persino l’asfalto, mentre la Russia congela sotto uno spesso strato di permafrost. All’inizio le persone si uniscono, paracadutando aiuti dal cielo e facendo evacuare la popolazione, ma il clima non fa che peggiorare.
A Durham, il mite professore universitario Danny Fennick si prepara ad affrontare la tempesta. È cresciuto nelle Highlands scozzesi, perciò ha già vissuto inverni rigidi in passato. Inoltre, ha un vantaggio. È un lupo mutaforma. O, per essere precisi, un cane mutaforma. Meno impressionante, ma sempre utile.
Tuttavia gli altri lupi mutaforma non credono che quello sia un inverno qualsiasi e stanno attraversando il Vallo per marcare il loro nuovo territorio. Tra loro ci sono l’ex di Danny, Jack, Principe Ereditario del branco del Numitor, inseguito dal fratello che vuole ucciderlo.
L’inverno dei lupi non è bianco. È rosso come il sangue.
“Cani e lupi” è un romanzo complesso, che mi ha lasciato molte emozioni contrastanti e non sono ancora riuscita a decifrare del tutto. L’idea da cui scaturisce la storia è intrigante: il clima del mondo è impazzito – in modi che ricordano paurosamente ciò che sta accadendo veramente – e un inverno rigidissimo si è abbattuto su Durham, dove vive Danny, un cane mutaforma che ha lasciato il branco della madre anni prima, stanco di essere considerato un essere inferiore a causa della sua discendenza in parte umana. Solo chi ha sangue puro è un lupo, mentre lui è solamente un cane e per questo motivo meno legato alle Terre Selvagge che scorrono nel sangue dei mutaforma.
I lupi avevano una vita lunga. Il Numitor non era arrivato da Roma con Adriano, però ricordava i processi alle streghe. Avrebbe creduto alla fine del mondo, specialmente se fosse stato ciò in cui voleva credere.
Sarebbe stato… Danny non riusciva a trovare le parole adatte. Brutto era una parola troppo piccola. Brutto era versarsi il caffè sulla cravatta prima di una riunione. Brutto era dimenticare il formaggio di capra in fondo al frigorifero. Disastro invece era troppo grande. Non sbagliata, ma lasciava troppo all’immaginazione. Jack era civilizzato, almeno secondo i parametri dei lupi. Gli antichi mangia-uomini del branco del Numitor non lo erano.
L’inverno non è straordinario solo per gli esseri umani, anche i lupi vedono nelle bizzarrie della stagione un segno importante, l’indicazione che le antiche profezie si stanno avverando e sta per arrivare il tempo in cui saranno liberi da una misteriosa maledizione. E qui sorge uno dei primi problemi del libro, che ha troppe idee appassionanti lasciate un po’ in sospeso: è molto affascinante far risalire la storia dei lupi ai tempi di Adriano, ma troppo viene lasciato avvolto nelle ombre senza una spiegazione accettabile. L’atmosfera di mistero funziona, ma solo fino a un certo punto, perché in varie parti del romanzo si avverte la necessità di un minimo di informazioni in più, per capire le implicazioni delle leggende in quanto sta avvenendo.
E la gente diceva che erano i gatti a giocare con le prede. I lupi erano peggiori. Danny fece una smorfia e alzò lo sguardo sul sorriso tagliente di Jack, che mostrava i denti. A quel punto esitò. Non era – necessariamente – un gesto amichevole da parte di un lupo, e in quel sorriso si vedevano tantissimi denti.
I protagonisti sono entrambi particolari, lontani dall’idea che ci si potrebbe fare di due persone destinare a innamorarsi, sempre che si possa parlare di amore. Abituato da tutta la vita a piegarsi per sminuire la propria altezza considerevole ed evitare di guardare negli occhi i lupi, Danny si nasconde tra gli uomini senza riuscire veramente a integrarsi, perché nel profondo lui non è umano, pur non essendo nemmeno un lupo. Sospeso tra l’influenza delle Terre Selvagge e il mondo umano, è un personaggio che mi ha colpito per la forza di carattere e la caparbietà a sganciarsi da un branco che non l’ha mai voluto veramente.
“Io non sono un lupo.”
Un altro vecchio argomento di discussione, e Jack ribatté come aveva sempre fatto.
“Fai comunque parte del branco.”
“Non più.”
Jack strinse gli occhi, la rabbia che gli tendeva la pelle sulle ossa affilate del volto. “Ti hanno cacciato?”
“No,” scattò Danny. Il branco di Leeds non gli piaceva molto, ma dopotutto non aveva amato molto di più nemmeno il suo branco originario. “Io non voglio un branco, Jack. Non ne ho bisogno.”
Poi c’è Jack, uno dei figli del Numitor ed erede del branco: un essere per nulla civilizzato, un uomo ruvido e duro, che però dimostra anche un profondo senso della lealtà e una forma di attaccamento a Danny che, forse, si potrebbe persino definire una forma d’amore. Danny è il suo cane, lo è stato da quando erano ragazzi, e Jack lo vuole, vuole che lui sia il suo branco adesso che il Numitor l’ha esiliato, ma contemporaneamente ne ha bisogno, in modi che non è disposto ad ammettere.
Il loro è un rapporto complicato, perché anche Danny prova dei sentimenti contrastanti verso Jack, è felice e arrabbiato insieme che l’altro sia andato a cercarlo.
Fino a quel momento Danny non aveva mai dubitato che gli servisse un posto dove dormire. E lui voleva che continuasse a pensarlo.
Forse gli era passato per la mente che l’altro conoscesse il motivo della sua presenza, che sapesse che aveva bisogno di lui più che di un tetto sopra la testa. Se era così, aveva relegato quel pensiero in un punto talmente remoto del cervello che era come se non l’avesse mai avuto. Non era un concetto su cui voleva soffermarsi. Anche se in esilio, rimaneva il figlio del Numitor, un lupo toccato dalle Terre Selvagge. Era già abbastanza brutto sentirsi deboli; avrebbe preferito morire piuttosto che darlo a vedere.
Era facile cominciare a desiderarlo. Il sesso di Danny era un rigonfiamento sempre più grosso sotto al denim consunto, e odorava di sesso. Se fosse stato un lupo, Jack l’avrebbe costretto a girarsi e sarebbe stato già dentro di lui.
Quello era Danny, però. Lo sfacciato, irriverente Danny, che aveva trascorso troppo tempo insieme agli umani e fingeva di non aver bisogno del branco. Jack voleva farglielo dire, voleva che lo ammettesse.
E poi ci sono i morti, persone fatte a pezzi collegate in qualche modo a Jack e Danny, in una città sempre più devastata da tempeste di neve e grandinate tremende, dove sembrano non esistere più le leggi della società civile e le persone lottano per sopravvivere. Tutto diventa sempre più pericoloso e oscuro, mentre mostri da incubo vagano per le strade e il gemello di Jack, Gregor, compare a propria volta, deciso a sfidare una volta per tutte il fratello.
Gregor è un altro personaggio che mi ha stupito: odia Jack ma viene da chiedersi se sia davvero suo nemico, alla fine; troppo del loro rapporto è legato a come il Numitor li ha cresciuti per riuscire veramente a giudicarlo, e spero che nel prossimo romanzo lui trovi maggiore spazio per crescere e assumere una forma più definita.
TA Moore ha creato un mondo fantastico e violento; descrive la natura dei lupi e di Danny, che è solo un cane, in modo viscerale, portando il lettore a vivere nella testa degli animali e sentire quasi l’influenza mistica di queste Terre Selvagge che vengono suggerite senza mai essere comprese sul serio. Alcune parti, soprattutto quelle di caccia e lotta, sono ansiogene e leggermente confuse, ma non sono ancora riuscita a comprendere se sia una cosa negativa oppure se sia un pregio del libro, perché in questo modo la narrazione ci cala del tutto nella mente istintiva delle belve.
Le idee nella storia sono belle, lo ripeto, molto belle, ma resta sempre una punta di indecisione, un voler lasciare tutto troppo nell’ombra, persino in un finale selvaggio caratterizzato da risvolti quasi horror. Il mio giudizio sul romanzo è positivo proprio per il fascino della trama, la particolarità del rapporto tra Danny e Jack e la promessa di interessanti risvolti futuri, ma spero che nel prossimo libro della serie molte domande trovino spiegazioni più precise, perché altrimenti si tratterebbe di un’occasione mancata per dar vita a una saga fantasy di tutto rispetto.
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