Come salvi un uomo che sta annegando, quando l’uomo in questione sei tu?
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A Jake Moore il mondo va sempre più stretto. Ogni centesimo che guadagna come saldatore se ne va per le cure del padre moribondo, un uomo violento e autoritario che è tutta la famiglia che gli rimane. Come ha promesso alla madre defunta, Jake soffoca il suo desiderio verso gli uomini, ma questo lo lascia consumato dall’oscurità.
Dallas Yates deve usare tutta la sua immaginazione per vedere le potenzialità del malconcio edificio art déco alla periferia di West Hollywood che sta trattando, ma quello che gli fa mettere la firma sul contratto è il sorriso timido del bell’artigiano che lavora dall’altro lato della strada. La loro amicizia diventa più profonda man mano che Dallas rimuove a uno a uno gli strati induriti che stanno soffocando l’anima di Jake. È facile amare l’uomo dolce e dal temperamento artistico che si nasconde dietro quella facciata rovinata, ma Dallas sa che per prima cosa bisogna che Jake impari ad amare se stesso.
Quando il mondo gli crolla intorno, Jake cerca aiuto in Dallas, l’uomo a cui ha imparato ad appoggiarsi. È solo una questione di tempo prima che si lasci andare alla deriva in una vita che non ha mai voluto, e anche se desidera qualcosa di più, il passato lo perseguita, facendogli dubitare di valere davvero l’amore che Dallas desidera così disperatamente dargli.
L’incipit di questo romanzo è un colpo allo stomaco, una sorta di scossa che leva il fiato e ci catapulta nell’esistenza di Jake Moore: un uomo solo, svuotato di ogni energia e di qualsiasi scintilla di felicità dalla vita terribile che i suoi genitori gli hanno imposto. Amare Jake è facile e istantaneo, così come detestare suo padre, personaggio spregevole persino nella sua estrema debolezza di moribondo. Con frasi evocative e molto forti, l’autrice ci presenta un protagonista spezzato, un uomo fragile e infelice dall’animo artistico, in grado di creare meraviglie di metallo ritorto e saldato, espressioni del suo tormento.
Le parole di suo padre… le parole ustionanti di altre persone… lo trovavano sempre nel cuore della notte, arrivando di soppiatto su zoccoli affilati come coltelli per calpestare la sua anima. E lui sanguinava negli incubi, piangendo e chiedendo pietà.
Non arrivava nessuno.
Il primo scambio di sguardi tra Jake e Dallas cementa qualcosa tra loro, è sufficiente per far entrare in sintonia i loro spiriti e connetterli a qualche livello.
Sicuro di sé e affermato, Dallas ha avuto la fortuna di venire da una famiglia unita che, seppure in modo bizzarro, lo sostiene. Con l’aiuto dell’amica Celeste (un personaggio di cui mi piacerebbe poter leggere la storia, prima o poi) sta per aprire un locale di fronte al lavoro di Jake e sarà proprio l’abilità di saldatore di quest’ultimo a far passare loro del tempo insieme, all’inizio. Quasi da subito, però, il loro rapporto assumerà i tratti di un’amicizia particolare, con Dallas deciso a sostenere Jake in qualsiasi modo possibile, forse anche per non ripetere degli errori commessi in passato. Dallas è da subito il lato forte della coppia, eppure si mostra anche nella sua vulnerabilità grazie soprattutto all’interazione con Celeste: intuiamo le ferite che lo hanno reso l’uomo che è, donandogli la risolutezza necessaria a essere ciò di cui Jake ha bisogno.
“… Nessuno ti costringerà a fare o essere qualcosa che non vuoi, d’accordo, Jake? Io meno di tutti. Sono tuo amico, a dispetto di quella tua fissa per il burro di arachidi e marmellata. Tutto quello di cui hai bisogno.”
“Non posso proprio… sono stanco.” Lo shock era ancora lì che ribolliva e gorgogliava, un calderone maligno di vergogna e sensi di colpa che attendeva di essere bevuto, ma l’ustione si era ridotta, l’ondata tossica lenita dal peso di Dallas contro la sua schiena. “Sono solo stanco, Dal. Voglio soltanto… esistere. Sono stanco di scappare, ma c’è un limite a quello che posso affrontare, cazzo. Non adesso. Voglio… cazzo… non posso, ma voglio. Con te. Ho solo bisogno che qualcuno sappia. Qualcuno che so che non lo userà per farmi del male.”
In alcuni punti il romanzo non è facile da leggere, ci sono scene che arpionano le viscere per l’angoscia e la sofferenza patite da Jake, e ho molto apprezzato l’abilità dell’autrice nel mantenere sempre uno stile evocativo, senza cadere nel pietismo, usando parole e gesti per legare questi due personaggi prima di tutto a livello umano. Non c’è un precipitarsi verso dichiarazioni d’amore né il ricorso a una sorta di magico sesso riparatore, bensì la lenta ricostruzione di un essere umano che è stato polverizzato dalla vita e ormai si sente una nullità, destinata a svanire in solitudine ed essere dimenticata. Piccoli passi, a volte fatti di un singolo sfiorarsi di mani dotato della potenza emotiva di un intero uragano, mentre Dallas mostra a Jake come vivere davvero, finalmente, anche con l’aiuto di Celeste e del resto della sua bizzarra famiglia.
“Ti odio con tutto me stesso,” mormorò, detestando le lacrime che minacciavano di cadere dai suoi occhi sfiniti. “Ma Dio, non posso lasciarti morire da solo. Non lascerò che tu muoia senza sapere che c’è qualcuno qui per te. Perché non c’è nessuno. Non abbiamo nessuno, niente famiglia. Diavolo, non so nemmeno se tu abbia fratelli o sorelle, perché tu non lo hai mai detto. Quando te ne sarai andato ci sarò soltanto io, e non posso… non posso continuare a vivere solo per odiarti. Ho bisogno di essere più di questo, papà.”
Simile ai frammenti di metallo che Jake assembla per creare delle sculture, il suo animo si plasma in un’esplosione di stelle lucenti, finalmente libero dalle gabbie imposte dalla sua famiglia: vederlo accadere grazie alla fantasia e all’abilità con le parole di Rhys Ford è un piacere enorme, qualcosa che lascia commossi e felici.
Fu il loro primo vero bacio. Un toccarsi di bocche, poi la connessione che diventava più profonda. Era buffo come lui non avesse mai pensato a un bacio come a qualcosa di importante o che potesse cambiare la vita, prima di posare le labbra su quelle di Jake.
La sua intera esistenza divenne un minuscolo frammento dell’universo, che nelle sue pieghe conteneva abbastanza stelle da dargli fuoco all’anima.
Recensione a cura di:
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