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Michael è il figlio perfetto del pastore Carson: attivo nella comunità, altruista, dedito ai più sfortunati. Quando trova Jude, un giovane senzatetto che vive in un vicolo, sa che deve aiutarlo. Anche contro il volere di Jude stesso.
Jude vive una vita allo sbando: senza una casa, si prostituisce per potersi procurare le pillole a cui è assuefatto. Eppure trova difficile accettare l’aiuto di quel bel ragazzo, tanto devoto alla propria religione quanto attratto da Jude.
Due vite impossibili da conciliare, bloccate da ostacoli che neanche l’amore sembra poter superare. Come si può amare, quando sarà proprio l’amore a condannarli all’inferno?
«Tu mi hai trovato quando nessun altro mi cercava»
Susan, Susan, maledizione, ci sei riuscita un’altra volta!
Sei stata in grado di creare due personaggi da amare nonostante tutto, anzi questa volta forse hai superato persino te stessa, perché questi due non hanno nulla e non fanno nulla per farsi amare, eppure arrivata alla fine del libro non ho potuto fare a meno di fare il tifo per loro e per la loro storia d’amore. Una storia contorta , sbandata e forse un pochino anche disfunzionale, ma che sembra così reale e bella nella sua umana imperfezione da rasentare la perfezione del “giusto”.
Se “Principessina” era frizzante come un caleidoscopio, se “Anormale” era delicato e fragile come il battito di una farfalla, questo terzo volume è oscuro e doloroso, ti colpisce inaspettato e forte come un pugno allo stomaco.
Che non sarà una storia facile da digerire s’intuisce fin dall’inizio, sino dall’entrata in scena di Michael, dove ci viene sì mostrato il suo lato da “perfetto” buon samaritano, ma anche la lotta tra regole e istinto adolescenziale che costantemente il ragazzo vive; un istinto che sopprime in ogni aspetto della propria esistenza.
Era la storia della sua vita: reprimere tutto ciò che poteva indurlo a un comportamento non consono per un buon cristiano, a dispetto della gioia che avrebbe potuto provare. Guidare il furgone della chiesa lo aiutava a fare del bene, che era lo scopo della sua esistenza, ma che gli altri lo notassero era sbagliato. Volere che gli altri lo notassero era doppiamente sbagliato. Avere bei voti a scuola era il suo dovere di studente, ma esserne orgoglioso era sbagliato. Aiutare il padre con le faccende della chiesa era quanto doveva fare come figlio del pastore, ma provare orgoglio era sbagliato. “Amerai il prossimo tuo come te stesso”, ma lo amerai nel modo giusto. Lo amerai con il cuore e la mente, non con il corpo. E amerai la persona giusta. I maschi non sono la persona giusta. Accantonò il pensiero fugace, cambiando di nuovo marcia e grattando ancora una volta. Per fortuna la sua meta era vicina, perché era stufo di quei pensieri e di dove lo stavano conducendo.
Ma è soprattutto nel secondo capitolo che riceviamo il primo potente pugno allo stomaco, quando l’autrice non esita a sbatterci in faccia tutta la triste e dolorosa realtà dell’esistenza borderline di Jude (e dove rientra in scena, nel peggiore dei modi, un personaggio che mai avrei pensato di poter odiare più di quanto già non abbia fatto in precedenza! Questa me la paghi, Susan…)
Non dire nulla. Non fare nulla. Il sangue si fermerà e ne sarà valsa la pena. Ne vale sempre la pena.
Devo dire che non ho amato subito Michael. Troppo legato alla religione, troppo bacchettone per i miei gusti. Mi era già risultato antipatico alla sua prima apparizione in Anormale, e ci mette un bel po’ a farmi cambiare idea qui, anche dopo aver ceduto ai sentimenti e alla passione, anche dopo che avrà pronunciato la parola Amore, sarà solo nel suo momento di “vera caduta”, in cui metterà a nudo tutta la sua fragilità, che riuscirà a conquistarsi un pezzo del mio cuore di lettrice.
«Hai messo sul mio cammino una voragine, mi hai detto che dovevo attraversarla, ma mi hai reso impossibile superarla. E poi sei rimasto lì, a guardarmi fallire. A ridere di me! Ma immagino non Te ne freghi nulla, vero? Sono solo una delle tante formichine su questo enorme pianeta. Non sono particolarmente importante o interessante, quindi cosa Te ne frega se finirò all’inferno?» Sentì le lacrime che gli pungevano gli occhi, per la prima volta dopo anni e anni. Forse da quando erano morti i suoi nonni. Perché avrebbe dovuto piangere, se tutto ciò che gli succedeva era il piano di Dio? Ma ora era alla deriva, e sentiva le lacrime che premevano per essere versate. «Non Ti ho mai chiesto nulla per me, se non di darmi la forza per compiere la Tua volontà. Bene, ora Ti chiedo qualcosa. Ti chiedo di togliermi questo orribile fardello dalla schiena. Toglimi l’omosessualità! Toglimi questo maledetto amore per Jude! Toglimi ogni singolo pensiero su Jude! Non voglio ricordarlo, non voglio amarlo, non voglio che nulla di lui rimanga nella mia mente. Toglimelo dal cuore, cazzo!» Staccò la croce dal suo supporto e la lanciò attraverso la stanza, guardandola colpire la parete opposta e spezzarsi in due.
Per Jude il discorso è diverso, per certi versi più complesso. Jude lo ami per il suo essere disperato, ma lo odi anche perché la situazione in cui si trova non è altro che frutto delle sue pessime scelte. Jude è in fondo un debole, non è diventato un tossico per chissà quale tragico evento, potrebbe trovare un lavoro onesto ma preferisce comunque la vita in strada e la prostituzione pur di garantirsi l’accesso alle pastiglie che gli procurano quei momenti di “spegnimento” della realtà che tanto brama.
«Non mi interessa la carità.» Il sorrisino malizioso del ragazzo, che non aveva vacillato prima, scivolò via dal suo viso con tanta rapidità da sembrare un miraggio. Al suo posto emerse un’espressione sospettosa, che Michael conosceva bene. Era il volto della difficoltà, della povertà, della mancanza di un lavoro o di una casa. Era l’espressione che avevano praticamente tutte le persone che Michael aiutava, almeno all’inizio: dopo aver preso un numero sufficiente di calci nel sedere, per loro era naturale diffidare di chiunque. Come biasimarli? Ma Michael ormai aveva un sesto senso. Sapeva quando insistere e quando lasciar perdere. Sapeva quali tasti toccare per spingere le persone a fidarsi della sua chiesa e di lui, e sapeva quali erano le cause perse. Quel ragazzo lo era. Perso, gettato via.
E neanche l’amore che arriva a provare per Michael riesce a toglierlo da questo circolo vizioso in cui è precipitato.
Faceva male, ma aveva finalmente trovato qualcosa da dire a Jude, e aveva bisogno di quell’ossigeno dentro di sé. «Ti arrabbi quando ti chiamano tossico. Ti offendi, ma tu sei tossico.» Jude fece un passo indietro, ferito da quelle parole, ma Michael non tacque. «Sei tossico per me, per la mia vita, e io non ne posso più!»
E quando alla fine si rende conto di aver perso tutto proprio a causa di questa sua debolezza, non riesce comunque a trovare in sé la forza di riscattarsi, ma solo quella di buttarsi a capofitto in una spirale autodistruttiva dove trovare l’oblio definitivo.
In questo terzo capitolo i protagonisti dei due romanzi precedenti fanno solo fugaci apparizioni, utili più che altro a inquadrare temporalmente le vicende; ricoprono invece un ruolo fondamentale personaggi appena incrociati come ad esempio Barb, che col fratello Neil gestisce il “Rainbow Clover”, il locale gay che avevamo già conosciuto in Principessina. È proprio nel vicolo sul retro di questo locale che vive Jude quando conosce Michael, ed è sempre al “Rainbow” che gli trova lavoro il pastore Carson, il padre di Michael. Ed è al “Rainbow” che si rifugia Jude nella sua ultima fuga, nel momento in cui si troverà a scegliere fra la strada più facile verso l’oblio o quella tutta in salita verso la speranza di un futuro migliore.
«Se scappi ora, non avrai altre possibilità. Con me, con il pastore, con Michael…»
«Sai di me e Michael?»
«Scherzi?» ribatté lei. «Anche un cieco avrebbe capito cosa c’era fra di voi. Non è affar mio, ma io non butterei via un amore simile. Neppure per la droga migliore.»
Jude si lasciò sfuggire uno sbuffo derisorio. «Che ne sai tu della droga?»
«Mio caro, ho una laurea e un dottorato in cocaina.» Lo guardò con sufficienza. «I miei anni migliori, o peggiori, me li sono sniffati.»
[…]
Barb sembrava divertita da quei ricordi, come se stesse parlando di un film che aveva visto al cinema invece di qualcosa che aveva vissuto sulla propria pelle. Sembrava fosse arrivata al punto da aver metabolizzato quanto le era successo come parte del percorso per arrivare dove era, con una bella vita. E in fin dei conti non era quanto doveva fare Jude, se voleva avere la possibilità di vivere qualcosa di decente?
Faceva paura. Cazzo, se faceva paura! Non solo la disintossicazione, ma anche le giornate da sobrio, senza droga ad attutire la vita. Le pasticche erano così semplici, così facili: bastava buttarne giù un numero sufficiente affinché tutto si zittisse e i problemi venissero dimenticati. Doverli affrontare, invece, sembrava così difficile. Un lungo percorso, che Jude non sapeva se avrebbe avuto la forza di intraprendere.
E aveva una scelta. Poteva afferrare il suo borsone e riprendere a camminare. Trovare un altro vicolo, un altro quartiere da battere, un altro spacciatore di cui diventare intimo. Semplice, veloce: era così che piaceva la vita, a Jude.
«Barb, me lo daresti un passaggio?» le chiese. «Ho un dannato cavallo da spazzolare.»
Ed è sempre nel vicolo sul retro del locale che assistiamo ad una scena “misteriosa” che vede protagonista Neil, e che mi ha lasciato un po’ perplessa e molto incuriosita per i possibili risvolti futuri (che stai combinando, Susan!?).
Una parola la voglio spendere anche per il padre di Michael, il pastore Carson. Devo dire che mi ha piacevolmente sorpreso: inizialmente avevo pensato fosse alla base delle convinzioni religiose di Michael, dopo ho creduto che fosse un padre di quelli “inesistenti”, quelli sempre occupati da altro al punto da ignorare i propri figli, ma poi ho dovuto ricredermi capendo che in realtà è semplicemente un uomo buono, nel senso vero del termine; un uomo che si è sempre trovato a confrontarsi con un figlio “perfetto”, e quindi in un certo senso inavvicinabile, ma che non esita a offrire consigli e supporto quando si rende conto che l’armatura che ha sempre protetto e sostenuto Michael comincia a sgretolarsi.
«Non dispiacerti. Spiegami.» E in quelle parole c’era così tanto che Michael quasi non riconosceva suo padre. L’aveva sempre visto come il pacato pastore della comunità, un uomo sempre pronto ad aiutare il prossimo con dedizione e impegno, ma anche un genitore così distaccato. Michael non ricordava una sola volta in cui suo padre l’avesse rimproverato, o si fosse illuminato di reale orgoglio. Spendeva sempre parole di lode per suo figlio, per la sua carriera scolastica, per l’impegno nella comunità, ma rivolgeva gli stessi complimenti anche ad altre persone, persone che non erano suo figlio. Non aveva mai scorto preoccupazione nei suoi occhi, non come in quel momento. Dolore per il figlio che soffre, preoccupazione per ciò che lo ha fatto soffrire, delusione per vederlo arrabbiato con Dio, gioia nell’avere un figlio vero e reale, non un modello esemplare di buon cristiano.
[…]
Forse è colpa mia. Forse ho cercato talmente tanto di essere un buon cristiano da dimenticarmi di essere un figlio.
Mi rendo conto che finora ho parlato solo della parte oscura e dolorosa della vicenda, e non vorrei pensaste che tutto si riduce a questo: dolore e sconfitta. Perché in questa storia ci sono anche dei momenti di tenerezza e amore, scene che forse proprio per contrasto risultano di una dolcezza delicata e bellissima.
Quando si rese conto che Michael stava guardando le stelle sopra di loro fece lo stesso, reclinando il capo contro la trave alle sue spalle e fissando il suo sguardo su quei puntini tanto lontani. A Jude sembrava di vivere la vita di un estraneo. Abbracciato a Michael, con il suo profumo che gli danzava sulla pelle, il calore che gli penetrava nelle ossa, non gli importava di essere un senzatetto, uno che vendeva il culo per le strade, un tossico disperato. Era solo Jude, ed era sereno.
Insomma, se non lo avete ancora capito lo dico chiaramente: questo terzo capitolo della Troubled Teen Series va letto assolutamente.
E Susan, vedi di far scorrere il sangue giusto, la prossima volta! Come si dice, “autrice avvisata…”
Recensione a cura di ChibiTora:
Editing:
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