Londra, 1851. Guy Spencer, quarto conte di Ashbourne, odia profondamente Jane Hartwell, la ragazza con la quale ha condiviso l’infanzia. E quando i problemi economici della famiglia Hartwell spingono Jane a chiedere il suo aiuto, Guy le propone un patto ignobile: lui salverà suo padre dalla prigione, in cambio lei diventerà la sua schiava sessuale per sei mesi. Costretta a sottomettersi a ogni suo desiderio, in una sconvolgente alternanza di estasi e umiliazione, Jane si sente sempre più confusa. È proprio odio quello che prova per il suo crudele padrone? E Guy, perché si sta vendicando di lei? Cos’è accaduto tra loro anni prima, da spingerlo a cercare una tale scioccante rivalsa?
[Attenzione: contiene scene esplicite – rivolto a un pubblico adulto]
Era così bello… così bello. Il suo diavolo, il suo padrone… il suo Guy. Fa’ che non smetta; ti prego, Dio, mandami all’inferno… ma non farlo smettere…
No, non avete preso un abbaglio. Avete letto bene, la protagonista preferirebbe andare all’inferno piuttosto che essere privata delle sensazioni che le fa provare il suo “Padrone”.
E sapete perché? Perché la vagina è traditrice! E, Lord Jesus, manda anche me all’inferno con Jane perché io, lei e la signora Owen ne avremmo di cose da raccontarci!
Con la “vagina traditrice” l’autrice è diventata una delle mie scrittrici preferite. Non amo gli storici, li considero noiosi, ma quando la scrittura è talentuosa, geniale, il pathos della scena ti logora il cervello, quando pur di non smettere di leggere, pur di scoprire dove l’autore ti condurrà, ti porti il kindle in bagno mentre fai pipì, beh, signori e signore, devi per forza ricrederti.
Schiava per vendetta è uno dei pochi romanzi scritti in modo così divino, che è come se ci venisse letto da qualcuno e noi fossimo dei semplici ascoltatori. Mi spiego meglio: attraverso l’utilizzo magistrale della punteggiatura, del corsivo per enfatizzare le parole o le frasi cruciali, è come se la scrittrice ci suggerisse l’intonazione migliore per rendere perfetta la lettura e l’immedesimazione nel racconto.
Lo dico sin da subito: io sono dalla parte del quarto conte di Ashbourne!
La vera ragione che muove le sue azioni non è quella che trapela dalla sinossi, o meglio lo è in principio, e conoscendo il suo vissuto, pagina dopo pagina, comprendendo le sue motivazioni, non dico che le umiliazioni inflitte da Guy possano essere giustificate, ma possiamo cogliere ciò che spinge il suo cuore a comportarsi così. Certamente lui esagera, e tanto, ma nel rapporto Dom/Sub ciò che lui fa è ben poca cosa, ve lo assicuro. Sia chiaro, con queste parole non voglio dire che da domani si debba uscire di casa con pantaloni in latex e frustino alla mano, oppure cercare un Padrone che ci faccia provare “emozioni nuove”, dico solo che, nella vita, non bisogna mai giudicare senza aver sperimentato.
Facciamo un passo indietro, però.
Guy e Jane, sono due bambini che si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto, si rubano attimi, sguardi, da lontano si proteggono e, con il tempo, iniziano a provare qualcosa l’uno per l’altra.
L’eredità morale di Guy e l’epoca in cui vivono, però, fanno sì che tra dogmi, tabù, incomprensioni e mancato coraggio, i due vengano divisi. L’amore non basta mai, checché se ne dica, non basta, soprattutto quando si è adolescenti, dove numerosi fattori devono essere presi in considerazione (teniamo sempre presente l’epoca in cui si svolge il romanzo, però). E una batosta a quell’età può provocare danni inimmaginabili, irreparabili, che plagiano un ragazzino fino a renderlo l’uomo che il destino ha voluto che debba essere.
Così, dopo tanti anni, quando Jane si vede costretta a chiedere l’aiuto della persona a cui non avrebbe mai voluto rivolgersi, a Guy viene servita la vendetta su un piatto d’argento; finalmente potrà far capire alla giovane donna cosa significa essere schiavi di circostanze imposte, non volute. In questo caso, la parola schiavo non è “materiale”, bensì morale. Il Conte infatti, durante gli anni, FERMI TUTTI! Non posso è SPOILER! Non posso continuare, altrimenti capireste cosa davvero muove la sua vendetta.
Guy si dice pronto a saldare i debiti del padre di Jane, ma a un patto: lei dovrà diventare la sua schiava, dovrà trasferirsi a casa sua (malandrino!) e fare tutto ciò che le viene ordinato. In sostanza, lei diventerà di sua proprietà e lui diverrà il suo padrone.
Il Conte è perfido, umilia la protagonista senza alcuna pietà e gode nel farlo, attua la sua vendetta nella maniera più subdola in quanto farà in modo che sia lei stessa ad annullarsi, quasi fosse una sua scelta.
Ma… c’è un ma. Perché lui dovrebbe farsi degli scrupoli quando i patti erano chiari sin dal principio? Quando è lei che a essersi venduta?
Ho aperto la recensione con una citazione non casuale, proprio per farvi capire quanto lei non sia debole, ma al contrario è una donna che insegue il massimo piacere dall’uomo di cui è innamorata, sin dall’infanzia.
Era un desiderio assurdo e peccaminoso, ma che Dio la perdonasse, bramava le sue carezze. Voleva che lui la abbracciasse; fremeva per stringerlo… ne sentiva il bisogno come un uomo in mare sente il bisogno di aggrapparsi a un vascello di passaggio, anche se espone bandiere nemiche.
Esatto, mia cara Owen, è proprio così! È giusto? È sbagliato? Chi siamo noi per giudicare una persona che, per sentirsi viva, si aggrappa con tutte le forze al vascello che potrà portarla in salvo? Espone le bandiere del nemico, è verissimo, ma quando l’amore chiama, con il “piffero” che stiamo a guardare le bandiere. Una solo domanda ci dobbiamo porre: questa cosa ci fa sentire vivi? In caso di risposta affermativa, io andrei verso quel vascello con un canotto, o una zattera, o anche a nuoto se fosse necessario!
Il protagonista appare come il Demonio, compie azioni deplorevoli senza dubbio, dice cose che – ARGH! Ti bastonerei fino a farti morire dissanguato – ma come scrive la Owen quel che “Guy dice” e quel che “Guy pensa” sono due cose diametralmente opposte. Le umiliazioni, le degradazioni, le vessazioni a cui Jane è sottoposta sono imposte in senso lato. Quando gli ordini di Guy diventano insopportabili, lei non scappa, bensì rimane. E non perché lui paghi i suoi debiti, ma perché lei che non vuole scappare: lei lo desidera e, molto probabilmente, ha capito che su quel vascello è in atto un tentativo di ammutinamento.
Guy, infatti, fa parte della Banda dei Coltelli, persone che correggono gli errori di Dio, che ripuliscono la città dalla feccia e dagli abomini di Londra. Non chiedetemi di dirvi di più, perché non posso! Comunque, il suo nome di battaglia è Third e sembra che in Guy convivano due personalità: c’è Third, un gentiluomo che rispetta e ama profondamente l’umanità e poi c’è Guy appunto, il dissoluto, il dongiovanni, il buono a nulla che frequenta i bassifondi. Chi è dunque il vero Guy? Il Mostro, il Padrone che mortifica Jane, oppure l’Angelo che, di notte, l’abbraccia solo per sentirsi protetto e amato?
Quello era l’uomo che il mattino seguente l’avrebbe fatta prostrare di fronte a lui, sorridendo della sua mortificazione; era l’uomo che, ignorando le sue lacrime, le avrebbe proibito di tornare all’ospedale anche solo per una volta; e nei giorni seguenti, alternando estasi a umiliazione, avrebbe dato al termine “sottomissione” un nuovo e sconvolgente significato. Ma quella notte l’aveva raggiunta solo per stringerla, senza chiederle sesso né ubbidienza, e tremava di freddo come il bambino tirato fuori dal Mole anni prima; Jane lo strinse e lo baciò con trasporto, senza logica, riscaldandogli la bocca con la propria e sentendolo rilassare, infine, fino a farlo addormentare tra le sue braccia.
Prima di affrontare questa lettura, ricordate solo una cosa – e non voglio fare spoiler, bensì il mio intento è quello di non farvi avere pregiudizi: Jane è consenziente.
È stolta? A mio avviso sì, ma non la giudicate senza prima essere arrivati alla parola fine.
E sapete perché? Perché ha il coraggio di voltarsi indietro e lottare per l’uomo che ama, che seppur a suo modo (un modo un po’ perverso, ve lo concedo) dimostra di rispettarla profondamente e amarla.
Con una sorta d’inquietudine, si accorgeva che ogni giorno era migliore del precedente. Nonostante i limiti che si era imposto – quel fottuto limite, quel dannato, meraviglioso imene che sognava di lacerare e invece lasciava intatto – i loro momenti insieme lo facevano sentire… un gigante. Sì, era così. Si sentiva crescere, fisicamente, in altezza, larghezza, come se il proprio corpo venisse riempito dall’interno di… di cosa? Soddisfazione, orgoglio. E a volte gli scappava un altro termine, Felicità, e quello lo spaventava. L’adorazione di Jane per lui cresceva, come previsto; sempre più spontanea dei suoi baci, bisognosa di darli e di riceverli; e dei suoi abbracci, delle sue coccole; e nel suo desiderio per lui che non tentava più di nascondere, c’era la prova del suo successo. Ma ancora non si era arresa del tutto: nei suoi occhi, di tanto in tanto, brillavano lacrime di umiliazione e rabbia.
Non giustifico le azioni che Guy compie nel romanzo, ma quando viene meno la fiducia nell’unica persona che conta per noi al mondo, sfido chiunque a non perdere la testa e il controllo. Non accetto e mai accetterò i modi e gli atti di Guy, ma il fatto che sempre e comunque, alla fine, ricerchi il piacere di lei, di certo non lo rende un mostro.
Infine, non posso non nominare Stephen, l’amico di Guy, un uomo che fa da collante in tutto il romanzo. Al di là del suo umorismo e della sua storia (meriterebbe un romanzo tutto suo) questa figura è importante perché nonostante ripudi la vendetta di Guy, e cerchi di fare tutto ciò che è in suo potere per ostacolarla, non si erge a giudice ma rimane al fianco del Conte, senza mai tradirlo e sbugiardarlo. E allora, mi chiedo, come può un uomo con un cuore puro come il suo, rimanere accanto a un mostro?
La mia risposta è semplice: smettiamo di dare etichette, cerchiamo di andare oltre alle apparenze perché, come dice la mamma di Twitch, Belle Aurora, “I mostri, non sempre si annidano nell’ombra”.
Recensione a cura di:
Editing a cura di:
Bellissima recensione, condivido totalmente.