Un piccolo paesino al confine del deserto, un padre e un figlio che vivono la scandita e noiosa quotidianità, l’arrivo di una misteriosa vicina di casa che scombussolerà ogni fragile equilibrio.
Questo è l’incipit di “Onora la Madre” una storia Dark and Dirty dalle venature Romance.
“Le mie lacrime sono salate.
Non so perché, però ero convinta che più avrei pianto e più il loro sapore si sarebbe addolcito.
Mi sbagliavo.
Sbaglio sempre su ogni cosa.
Sbaglio sempre su ogni persona.
Sono triste e mi sento sola.
Sono sola.
Nessuno capisce quanto.
Nessuno capisce che tutto quello che faccio, lo faccio per lui.
Con lui potrei essere felice, con lui potrei finalmente smettere di sentirmi sola.
Farò di tutto per averlo di nuovo con me.
Tutto.”
Quando ho finito di leggere il nuovo libro della Ror, un bel po’ di giorni fa oramai, mi sono sentita oppressa da così tanti sentimenti negativi da abbandonare l’idea di scriverne subito la recensione. Avevo bisogno di lasciar passare del tempo, così che le emozioni iniziassero a smorzarsi, al fine di mettere su carta una recensione sufficientemente oggettiva e meno influenzata da ciò che stavo provando in quel momento. Sappiate che, pure a distanza di giorni, non ci sono riuscita, non del tutto.
Rispondo subito alla domanda che in tante mi hanno posto: “Mi è piaciuta questa storia?”. No! No, diamine, no. “Mi ha colpito questa storia?” Sì, eccome che sì, colpita e affondata! Potrà sembrarvi una contraddizione, vi assicuro che non lo è. Avete presente cosa succede dentro di voi quando guardate un horror? La dicotomia tra disgustato raccapriccio e morboso coinvolgimento emotivo. Quella che da un lato ti porta a pensare “Oddio, chi me l’ha fatto fare” e dall’altro ti impedisce di staccarti dallo schermo, catturata più che dalla scena cruenta, dall’attesa e dall’apprensione che tale scena sia dietro l’angolo. Ecco, sebbene questo romanzo non sia proprio un horror, sono esattamente queste le emozioni che mi ha suscitato in lettura. A fine lettura, quando le ondate hanno iniziato a ritirarsi, ciò che è restato è una sconsolante desolazione che ancora fa fatica ad abbandonarmi.
Ora, io non so se l’intento dell’autrice fosse questo, immagino di sì e in tal caso devo farle i complimenti, per l’originalità di questo nuovo esperimento, per il coraggio dimostrato nel mettersi in gioco con una storia fuori dai soliti canoni e per il modo in cui l’ha raccontata, come un narratore che riporta un evento di cronaca estraniandosi da qualunque forma di sentimentalismo, giudizio morale e considerazione personale, lasciati in tutto e per tutto alla coscienza del singolo lettore.
Ma veniamo al romanzo. Anzitutto, perfetta la scelta dell’ambientazione, un paesino ai confini col deserto, in Texas, che contribuisce a trasmettere l’idea di desolazione e isolamento. La storia presenta quattro personaggi principali e tanti altri secondari, che non si limitano a stare sullo sfondo.
Rex Ivory, meccanico, vedovo, brav’uomo, che dopo anni vive ancora immerso nel suo mondo di dolore per la morte dell’amata moglie. Rex è una figura fantasma per buona parte del libro, padre assente di Jordan.
Jordan Ivory, diciottenne, figlio di Rex, abbandonato a se stesso se non fisicamente di sicuro mentalmente dal padre. Legato alla fidanzatina storica April da una scelta di comodo, egoista, opportunista, infantile.
Ella Black, diciottenne, nuovo arrivo nel paese assieme al padre adottivo, col quale va ad abitare accanto agli Ivory. Ella è una ragazzina che per necessità e per indole ha sviluppato l’arte di arrangiarsi, utilizzando la propria avvenenza per compiere piccole truffe. In parole povere, una “troietta” che usa il suo corpo per tentare di sfuggire, per un attimo o per sempre, a una situazione di indigenza e squallore.
April Devine, fidanzata diciottenne di Jordan, apparentemente buona, generosa, altruista, dolce, in maniera esagerata, talmente esagerata da indurre a pensare che o sia stupida o sia una furbastra di categoria superiore. E siccome stupida non è, ne consegue a colpo d’occhio che in realtà sia finta come i soldi del Monopoli. Bigotta e manipolatrice, è la vera e indiscussa protagonista del romanzo, quella che tira i fili dei tanti burattini, quella che ti dice con dolcezza e finto candore di ballare e tu balli, di saltare e tu salti, di buttarti giù dalla torre e tu ti butti, convinto in cuor tuo che sia la cosa migliore che tu possa fare per te stesso. Sembra provare un amore sconfinato per Jordan – e uso di proposito il termine “sembra” perché qui nulla, proprio nulla è come potrebbe sembrare a un primo sguardo e a un lettore poco attento – e fa grandi sacrifici per raggiungere il suo unico grande obiettivo di possederlo totalmente e per sempre, dato che di possesso e non di amore si tratta a mio parere, di possesso e gestione, di controllo, di manipolazione subdola e intelligente. A me, detto tra noi, metteva i brividi ogni volta che sorrideva dolcemente.
A completare un quadro di diffuso marciume nascosto sotto le spoglie di una apparente amabile normalità, la famiglia Devine, il padre pastore evangelico e i suoi devoti parrocchiani, gli “eletti”.
Riassumendo, un romanzo che non ha eroi, dove non ci sono buoni, dove l’ipocrisia la fa da padrona, e vada come vada a vincere sono comunque i mostri, mostri veri, i più pericolosi, non quelli delle favole o mostriciattoli di serie B, ma quelli che indossano una maschera di quotidianità e che a sorpresa potresti scoprire essere il tuo gentile vicino di casa, quello che ad esempio compie opere pie e va in chiesa tutte le domeniche. Di più non vi dirò, perché con libri siffatti e con le emozioni che spingono per venir fuori, il rischio spoiler è davvero dietro l’angolo.
Consiglio la lettura di questo romanzo a chi desidera qualcosa di diverso, di completamente nuovo, ma ha lo stomaco forte a sufficienza per poter gestire la sottile atmosfera di violenza psicologica che a ogni passo si respira, al di là dei singoli fatti o eventi narrati. In tutta onestà, debbo confessarvi che sono contenta di averlo letto, di essere arrivata in fondo a un romanzo che mi ha fatto male, per le tante implicazioni e considerazioni sociali che mi ha obbligato a fare, e di essere arrivata in fondo a una recensione che ha risvegliato in me quel senso di malessere. Contenta di averlo letto dicevo, anche se ho dovuto farmi forza, non rientrando nel mio genere di elezione. E questo, amiche mie, lo so, attiene solo esclusivamente alla mia personale sensibilità.
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