È 𝑐𝑜𝑛𝑜𝑠𝑐𝑖𝑢𝑡𝑜 𝑐𝑜𝑛 𝑚𝑜𝑙𝑡𝑖 𝑛𝑜𝑚𝑖: 𝑇ℎ𝑎𝑛𝑎𝑡𝑜𝑠. 𝐶𝑎𝑣𝑎𝑙𝑖𝑒𝑟𝑒. 𝐿’𝑢𝑙𝑡𝑖𝑚𝑜 𝑎𝑛𝑔𝑒𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝐷𝑖𝑜.
𝐸 𝑖𝑛𝑓𝑖𝑛𝑒, 𝑛𝑎𝑡𝑢𝑟𝑎𝑙𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒, 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑓𝑎𝑚𝑖𝑙𝑖𝑎𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖: 𝑀𝑜𝑟𝑡𝑒.
Il giorno in cui Morte giunge nella piccola città dove abita Lazarus Gaumond e uccide tutti gli abitanti in un colpo solo, l’ultima cosa che si aspetta è di vedere una sopravvissuta. Lazarus, però, possiede un suo dono particolare: non può essere uccisa. Né dagli umani, né dalla Natura e neppure da Morte in persona.
Lei possiede l’unica anima che Morte non riconosce. L’unica che non può liberare dal peso della carne. Così come non può ignorare il desiderio di fare sua la proprietaria di quell’anima. La vuole, disperatamente. E più a lungo lei cerca di arrestare la sua furia omicida, più lui non riesce a starle lontano.
Fino al giorno in cui Lazarus incrocia il cammino degli altri tre Cavalieri e si trova, suo malgrado, a dover stringere con loro un patto: sedurre Morte per salvare il mondo. Una missione difficilissima, resa ancora più complicata dal fiume di sangue che scorre tra loro. Ma l’attrazione che Thanatos prova nei suoi confronti è innegabile e, per quanto Lazarus provi a contrastarla, anche reciproca. Sembra infatti impossibile resistere al fascino di quell’essere antico quanto bellissimo e al suo tenebroso abbraccio.
La fine è vicina. L’umanità è destinata a perire e neppure i primi tre Cavalieri sembrano capaci di impedire a Morte di portare a termine la sua missione.
Solo Lazarus può riuscirci.
“Sin dal giorno della mia nascita, la mia morte ha iniziato il suo cammino. Sta camminando verso di me, senza fretta.” (Cit. Jean Cocteau)
Ahimè, siamo così giunte alla fine, con questo libro si conclude la quadrilogia dei Cavalieri dell’Apocalisse.
Dopo esserci “ammalate” con Pestilenza, dopo essere diventate delle “combattenti” per Guerra, dopo esserci “messe a dieta” con Carestia… non contate su di me per “morire” per Morte.
Questa storia è un addio, un lungo saluto al mondo e ai personaggi creati dalla Thalassa, d’altronde la morte è un addio, doloroso e inevitabile.
Sarò sempre la pausa tra le frasi, il silenzio che segue la fine di una storia.
Thanatos è molto diverso dai suoi fratelli, è quello più lontano dall’umanità e dalle sue emozioni, tutto senso del dovere e niente piacere. È un personaggio tragico, non per quello che rappresenta, ma per come “vive” il suo ruolo. A lui non piace uccidere, non è volutamente crudele, lui semplicemente è! Inevitabile, inarrestabile, niente e nessuno può distoglierlo dal suo compito, d’altra parte nessuno può sopravvivergli. Nessuno, tranne Lazarus.
Sono queste strane origini a giustificare il mio nome: Lazarus. Colei che non può morire. L’invidia mi annoda le viscere. Invidia per i morti. Chi mai potrebbe invidiare un morto? Eppure io lo faccio mentre desidero che la morte avesse preso anche me, anziché lasciarmi qui ad affrontare tutto questo dolore da sola. Avevo immaginato moltissime cose per la mia vita, ma mai questo.
Lazarus è una giovane donna con un dono molto particolare: è immortale. L’immortalità è un dono, ma anche una maledizione per Laz, costretta a seppellire i suoi cari a vedere gli altri morire. Lei vuole fermare Thanatos, sente di doverlo fare per salvare l’umanità, è il suo compito ed è disposta a sacrificarsi per portarlo a termine.
Thanatos e Lazarus, la morte e la vita, intimamente legati, e paradossalmente simili. Entrambi sono soli, le loro particolarità li rendono diversi da tutti e la diversità li rende isolati. Nessuno può capire meglio dell’altro quali sono i sentimenti provati, le emozioni represse. E forse la vita può insegnare alla morte come si fa a vivere.
Lo vedo serrare la mandibola per l’emozione. O magari non è abituato ad avere qualcuno che capisce ciò che prova. È anche quello un tipo di solitudine, quando nascondi le tue paure più profonde e nessuno può sentirle tranne te.
È un libro diverso dagli altri, se nei precedenti si respirava anche una certa dose di ironia e la storia progrediva veloce sin dal principio, in questo libro la prima parte è più lenta, quasi solenne. D’altronde la morte è solenne ed esige rispetto. Se i libri precedenti erano in un certo senso fisici, questo è più mentale, più intimo.
Thanatos è diverso dai suoi fratelli, mentre loro possono essere evitati, Lui no: Pestilenza, Guerra e Carestia sono strettamente legati all’umanità in quanto conseguenze delle scelte compiute dagli uomini, Thanatos esiste, esiste e basta.
Come detto, la prima parte di questo libro è un filino lenta, quasi noiosa, i primi passi di Morte sulla terra fino all’incontro con Lazarus si succedono uno uguale all’altro rispecchiando le emozioni (o meglio, la loro mancanza) del Cavaliere. Ma dopo il loro incontro, la storia ha un crescendo, sintomo del cambiamento che avviene nei protagonisti. E l’arrivo dei fratelli Cavalieri è il clou: in particolare Carestia con il suo sarcasmo porta un nuovo ritmo nella storia. Ho adorato ritrovare Pestilenza, Guerra ma soprattutto Carestia, vedere come si sono ambientati, come le loro vite si sono evolute. D’altronde questo è un romanzo corale, non si poteva parlare solo di Thanatos senza coinvolgere i fratelli.
Credo mi mancherà il senso di attesa per il prossimo capitolo di questa quadrilogia, questo libro è una degna chiusura di questa bellissima serie.
“Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello, chi vincerà? Sarà la morte a trionfare? Sarà la vita a primeggiare? Nessuno dei due, il vero vincitore di questo duello è l’Amore”. (semi cit.)
Recensione a cura di
Editing
Commenti
Nessun commento ancora.