A corto di soldi e ambizione, il giovane avvocato Brigham Theodore decide di farsi assumere in un piccolo studio legale a Salt Lake City. Dopo la delusione per la sconfitta in tribunale nel suo primo processo è convinto che la sua carriera sia finita. Ma il suo capo, un ambiguo russo-americano, gli affida inaspettatamente un caso delicatissimo. La cliente è Amanda Pierce, accusata di aver sparato all’uomo che ha rapito, torturato e ucciso la sua bambina di sei anni. Una giuria potrebbe anche simpatizzare per lei a causa del suo terribile dolore, ma la legge non è mai stata tollerante con chi si fa giustizia da solo, e la pena che pende sul suo capo è l’esecuzione. L’accusa, come se non bastasse, è in mano a Vince Dale, il procuratore che non ha mai perso una causa. Non c’è dubbio che Amanda abbia premuto il grilletto: l’ha fatto di fronte a cinque testimoni. Se si dichiarasse colpevole eviterebbe la pena di morte, ma dovrebbe ammettere che ciò che ha fatto era sbagliato. D’altra parte, una dichiarazione di non colpevolezza potrebbe mettere a rischio per sempre la carriera di Brigham. E la vita stessa di Amanda.
Per chi, come me, è appassionato di Grisham, con i suoi avvocati spesso di grandi Università, o Connelly con il suo penalista malandrino, Brigham è un personaggio fuori dalle righe. Giovane avvocato che per mantenersi prima del giuramento faceva il bidello, è una persona normale, di provenienza modesta e che non ha avuto accesso ai College più titolati che garantiscono l’accesso ai grandi studi legali. Bisognoso di lavorare e senza tante pretese, comincia con uno studio legale molto particolare – e forse un tantino losco – in cui viene pagato a percentuale.
Dopo un inizio deludente, viene coinvolto in un caso difficile e doloroso, inadatto a un avvocato inesperto quale è lui, ma forse proprio perché giovane e idealista, Brigham è la persona giusta per appassionarsene.
Brigham così si scontra con la dura realtà della giustizia, che non sempre è giusta, con un vice procuratore pronto a tutto per vincere una causa così importante e con un’accusata che ha smesso di combattere.
«Che cosa pensi che sia la giustizia, Brigham?»
«Non lo so».
«Non lo sa nessuno. È tutto un tentativo. Magari non esiste nemmeno. Ma se esiste, ottenere ciò che si merita è il concetto che secondo me ci si avvicina di più. Quindi non puoi semplicemente pensare alla giustizia, perché impazziresti all’idea di quante ingiustizie ci sono là fuori. Tu devi fare il tuo lavoro e assecondare quello che vuole il cliente».
Ci si appassiona alla storia. Perché è vera. Non solo è ispirata a una storia vera, ma anche ha il sapore delle vicende reali, senza quelle (bellissime) scene da legal thriller che ricordiamo come i colpi di teatro del difensore. Ma per lo stesso motivo, pur essendo un libro che si legge velocemente e con piacere, forse non è destinato a rimanere impresso a lungo. Perché il lettore come me, e forse non solo, appassionato di questo genere, ama quel tanto di teatralità a cui ci hanno abituato libri come “Il socio” o altri capolavori di Grisham.
Mi sento comunque di consigliarlo agli appassionati del genere, che troveranno in Brigham un personaggio in cui anche immedesimarsi perché non perfetto, che non fa sempre la cosa giusta al momento giusto.
I personaggi di contorno sono ben tratteggiati e alcuni offrono spunti curiosi o idee per eventuali altri libri con lo stesso protagonista e ci mostrano una realtà degli avvocati statunitensi un po’ meno ingessata.
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