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Il passato di William Lyon gli ha impedito di essere se stesso. Combattuto e stanco di mantenere le apparenze, si separa dalla moglie e accetta un lavoro come custode di una struttura che è stata il più grande ospedale psichiatrico della California. Il vecchio manicomio, vuoto e abbandonato, gli sembra il luogo adatto in cui rifugiarsi per terminare la tesi di laurea in attesa che il divorzio diventi definitivo. Nella piccola città di Jelley’s Valley, William incontra Colby Anderson, che manda avanti la bottega del paese con annesso ufficio postale. Al contrario di William, Colby è adorabile, ottimista e vistoso, e non si preoccupa di nascondere il proprio orientamento sessuale. Anche se all’inizio il carattere aperto di Colby lo mette a disagio, con il tempo William impara ad apprezzare la loro amicizia e accetta persino la proposta di Colby di introdurlo al mondo del sesso gay.
L’idea che William si è fatto di sé inizia a cambiare quando scopre una scatola di latta nascosta da decenni nelle mura del manicomio. All’interno, sono custodite le lettere scritte in segreto da Bill, un paziente che era stato internato a causa della sua omosessualità. William si rispecchia in quelle pagine e comincia ad appassionarsi alla storia dell’uomo che le ha scritte e al suo destino. Con l’aiuto di Colby, spera che le parole scritte settant’anni prima gli diano il coraggio di essere finalmente se stesso.
Volevo approcciarmi alla stesura di questa recensione in modo distaccato e professionale, ma una voce nella mia testa mi chiede di fare una piccola digressione, uscire un po’ fuori tema…
Siamo nel 2019 e leggere di Bill, il suo vissuto straziante, il suo aggrapparsi all’amore e alla sanità mentale che alla fine gli è stata strappata via in modo crudele, mi ha stracciato l’anima.
L’ha fatta in mille di pezzi. Pezzi che urlano di dolore per chi ha dovuto vivere quel tipo di ingiustizia, quella perversa crudeltà, quell’aberrante ostinazione nel voler annullare e disintegrare un essere umano.
Penso che sono passati molti anni, ma che in troppi contesti ancora non siamo lontanamente vicini a essere degni di essere chiamati umani.
Penso alle migliaia di Bill colpevoli di essere semplicemente nati, penso a quanto misera e meschina sia l’ignoranza e spero in un futuro diverso.
Ma veniamo a noi: William è un professore in attesa di cattedra, un matrimonio fallito alle spalle e tanta voglia di riprendere in mano la propria vita, quella che, per un’educazione rigida e piena di non accettazione, gli è stata negata per troppo tempo. Colby è un sole splendente, colorato e sorridente, in pace con se stesso e che sa chi è e cosa vuole.
Due mondi opposti, che s’incontreranno in quel di Jelley’s Valley, una località sperduta alle pendici della Sierra Nevada, con una pompa di benzina, un ristorante messicano, un piccolo market con annesso l’ufficio postale e il vecchio Ospedale Psichiatrico di cui Will diventerà il custode in attesa di discutere la sua tesi di laura.
Tutto semplice fin dal primo incontro per Will e Colby: la timidezza e l’essere così impostato di Will nulla possono contro la solarità di Colby. La sfacciataggine nel look di Colby, come per gridare al mondo il suo orientamento sessuale, e il suo fregarsene del giudizio altrui non saranno un limite per il mite William; anzi, la diversità sarà un valore aggiunto per far scattare tra loro l’alchimia.
Fuori, recuperarono la bici e raggiunsero il cancello. Dopo aver atteso che William lo aprisse, Colby lo attirò di nuovo a sé per un bacio come il giorno prima. “Grazie per l’invito, Will. Erano milioni di anni che qualcuno non voleva passare del tempo con me.”
“Stare con te è divertente.”
Anche nell’oscurità, il sorriso di Colby era luminoso.
Will, mentre questo sentimento nasce, conduce le ricerche per la sua tesi di laurea ed esplora il complesso fatiscente che un tempo fu un Ospedale Psichiatrico. Durante le sue perlustrazioni, in una stanza spoglia e desolata, s’imbatte in una scatola di latta nascosta tra le assi del pavimento. Al suo interno ci sono delle lettere vergate a mano risalenti a oltre settant’anni prima, scritte da Bill, un paziente della struttura.
Nella vita delle persone, così come dei personaggi dei libri, se ben descritti, esiste quasi sempre un prima e un dopo un determinato fatto. Questa linea sottile, per Will, sarà la lettura di queste lettere: strazianti, dolorose e tristi testimonianze di un tempo che fu.
Bill, omosessuale e incarcerato nella struttura per questo, per essere guarito dalla perversione, scriverà queste missive al suo amore, Johnny, per anni. Ricorderà la quotidianità assieme, si farà forte del suo amore imperituro quando mostruosità saranno compiute sul suo corpo e la sua mente.
Johnny non riceverà mai queste lettere. Bill non avrà un lieto fine.
Will s’immedesimerà in Bill: stesso nome, stesso vissuto, forse un esito diverso.
Mi era mancato scriverti, Johnny. Mi era mancato offrirti queste parole che so non leggerai mai. Ma fintanto che ho queste lettere da scrivere, posso immaginare che qualcuno pensi ancora a me, che qualcuno mi ami ancora. Posso far finta di non essere un fantasma.
Di punto in bianco si scopre che anche Will è gay, che ha un passato terribile fatto di rifiuto da parte della famiglia e persino da parte della stessa comunità in cui era vissuto, che aveva cercato di “farlo guarire”; Colby, così, si presterà a fargli da guida, a convincerlo a esplorare la sua sessualità e a riprendere in mano la sua esistenza.
La passione scatta una sera, senza preavviso, senza potersi contenere, e da lì in poi ci sarà una battuta d’arresto, fino…
“Io voglio… Io ho bisogno di qualcosa di duraturo. Non ne posso più di stramaledette storie occasionali. Voglio andare a letto e svegliarmi sempre con lo stesso uomo. Voglio condividere tutto con lui. Voglio fare dei cazzo di litigi su chi ha dimenticato di cambiare il rotolo della carta igienica o su chi ha il turno di lavare i piatti. Voglio parlare di avere dei figli. Voglio ingrassare, perdere i capelli e raggrinzirmi accanto a lui.”
La narrazione ha l’unico pov di Will e ho amato Colby visto attraverso i suoi occhi; è uno dei personaggi più positivi e puliti che abbia mai letto: retto, sfacciato, sensibile e cristallino. Ho faticato a comprendere Will, invece, soprattutto nella parte iniziale quando sembra scoprirsi gay di punto in bianco, mentre invece si sa bene che ha sempre saputo di esserlo. Ho adorato il loro modo di relazionarsi, questa storia contemporanea pulita e semplice, senza drammi esistenziali, solo la ricerca della felicità e della consapevolezza di sé.
Chi mi ha rapito il cuore è Bill, così vero e così immutato nel tempo; l’autrice, con pennellate leggere, è stata delicata e sapiente nel farci vivere le sue emozioni.
Consiglio questo testo, davvero ben scritto, curato, emozionante e che lascia amarezza e speranza al tempo stesso a fine lettura. Da non perdere.
Ultimamente ho cominciato a credere che dopo la morte una parte del nostro spirito rimanga qui. Spero che questa lettera ti aiuti a trovare la pace. Non ci siamo mai incontrati, tu e io, però ti voglio bene. Sei amato, Bill. E credo che forse, in qualche modo, tu lo sappia.
Recensione a cura di:
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