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Alana Vaughn, esperta di malattie infettive presso la NATO, viene convocata d’urgenza a Genova per esaminare una paziente gravemente malata. Dopo le prime analisi il referto è scioccante: la malattia presenta segni che la ricollegano in modo inquietante alla piaga che ha afflitto l’Europa secoli prima, la cosiddetta Morte Nera. Nel XIV secolo una gravissima epidemia di peste uccise almeno un terzo della popolazione del continente. Alana sospetta che si tratti di bioterrorismo, ma il suo omologo presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Byron Menke, non è d’accordo. Nella loro disperata caccia al Paziente Zero, si imbattono in un monastero costruito ottocento anni prima e in un antico diario medievale che potrebbe contenere il segreto dell’attuale epidemia. Mentre la malattia si diffonde velocemente, parte la corsa contro il tempo per scoprire la verità prima che moltissime persone muoiano. E questa volta, invece che milioni, potrebbero essere miliardi.
Permessa: io amo questo genere di romanzi, un mix di medical thriller con un tocco apocalittico… Ne sono irresistibilmente attratta anche quando temo che sia affrontato con superficialità.
Non è facile porre il lettore davanti uno scenario così cupo, come quello di un’epidemia di peste polmonare ad altissima mortalità, senza metterlo davanti a eventi esagerati o forzati.
Devo dire che nonostante l’ipotesi di fondo del romanzo, azzardata quanto basta, la trama nel complesso non mi ha mai dato l’impressione di essere inverosimile, magari non così probabile ma non troppo fantasiosa.
In una unione di passato e presente che con furbizia mantiene alta l’attenzione e la tensione, l’autore ci trascina insieme ai protagonisti nella corsa contro il tempo per fermare un’epidemia, in cui le responsabilità umane non sono secondarie, che potrebbe decimare la popolazione come già accaduto nel Medioevo.
Le informazioni scientifiche sono verosimili, non sono in grado di dire se vere, e ho apprezzato anche il mistero da svelare, che non si piega a una soluzione facile e di moda.
Ma… ci sono molti ma. Il tutto è sostenuto da una scrittura che nel voler essere di taglio giornalistico risulta piatta, priva di capacità di trasmettere emozioni, veloce e facile da leggere, sì, ma a tratti confusa per i salti logici all’interno delle scene. In parte sicuramente è una scelta stilistica, visto che i capitoli in forma di diario funzionano meglio, ma l’ho trovata poco efficace e monocorde.
Come mi è già capitato recentemente con altri thriller d’oltreoceano, mi sembra che anche qui si sia data la priorità a un ritmo narrativo cinematografico con azioni ed eventi che si susseguono senza pause, che mal si adatta alla forma romanzo. E questo si nota in particolare nelle relazioni tra i protagonisti, che hanno un passato sentimentale comune che viene solo accennato ma non fatto sentire in alcun modo, banalizzando al massimo anche i pochi episodi di attrazione che dovrebbero dare ai personaggi una profondità, perché ognuno di noi è una persona completa, fatta sia della parte professionale e logica che della parte emotiva. Con questo non voglio dire che ci dovesse essere per forza una storia d’amore, ma se scegli di mostrarmi che due personaggi si baciano, be’ devi sbilanciarti un pochino di più.
Viene in questo modo banalizzato anche il dramma causato da un’epidemia così grave che porta via bambini e adulti senza nessuna discriminazione.
Un buon libro, secondo il mio parere, non è fatto solo di una buona idea…
Lo consiglio solo se amate particolarmente il genere e vi fate trascinare più da dialogo e azione che dagli approfondimenti.
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