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Cara Bridget,
ho deciso di scriverti perché non so come altro farti arrivare il mio messaggio. E così, eccomi qua. Non siamo fatti per stare insieme. Tu sei una mamma responsabile, con la testa sulle spalle. Io sono uno specializzando di passaggio, vivo nella tua dépendance e tornerò a casa in Inghilterra appena il tirocinio sarà terminato. Eppure… Per qualche dannato motivo, non riesco a smettere di pensarti. Ti desidero. E credo che anche per te sia lo stesso. Me lo dicono i tuoi occhi ogni volta che una delle mie battutine fastidiose ti coglie impreparata. La mia attrazione per te non è un gioco. Questa lettera è un promemoria per ricordarti che siamo adulti, che il sesso è una pratica salutare e, soprattutto, che puoi trovarmi a pochi passi dalla tua cucina. Inoltre, vorrei farti sapere che la mia porta sarà socchiusa, qualora decidessi di venire a trovarmi nel cuore della notte. Chissà, prima o poi.
Da parte mia, niente domande.
Pensaci.
Simon
Il duo Ward/Keeland per me è sempre stato una garanzia, un luogo sicuro in cui sostare nei momenti difficili, magari quando la quotidianità è troppo dura e ho bisogno di sorridere e avvertire quelle magiche farfalle che riescono a occupare non solo il tuo stomaco, ma anche la tua mente.
Amo queste due autrici singolarmente e insieme, ho letto ogni loro singolo romanzo: a mio parere sono dotate di una voce meravigliosa che riescono a far vibrare con forza dentro i propri lettori, accedendo all’animo umano con delicatezza e ironia. La loro penna è meravigliosa.
Abbiamo conosciuto queste due autrici come coppia nella serie stand alone composta dai titoli Bastardo fino in fondo, Un perfetto bastardo e Il mio bastardo preferito, per poi approdare a quest’ultimo volume, che però, ahimè, non mi ha provocato le stesse emozioni che erano riusciti a fare i primi tre, come se avessi avvertito alcune mancanze che non sono state in grado di farmelo assaporare fino in fondo.
Ma vediamo insieme il perché.
Bridget Valentine è un’infermiera di trentatré anni, bella ma non appariscente, che ha perso il marito da circa due anni in un incidente e, sebbene non si sia ancora ripresa del tutto, è pronta a voltare pagine per il suo bene e quello di suo figlio, Brendan.
Simon Hogue invece è un medico di ventinove anni, civettuolo, sexy e affascinante, originario dell’Inghilterra (e qui il mio cuore è partito a razzo perché io AMO il fascino inglese, è una mia enorme debolezza), che però, a causa di un evento che non voglio svelarvi, sente il bisogno di andarsene per un po’ dalla sua amata patria e cercare se stesso altrove mentre termina la specializzazione.
Il primo incontro tra i due sarà un momento molto esilarante, che non potrà non farvi arrossire per l’imbarazzo della povera Bridget: quest’ultima infatti va al Pronto Soccorso per togliersi un amo dal fondoschiena e chi si trova davanti? Avete capito, sì, proprio il dottor Simon Hogue!
Se i medici di Grey’s Anatomy vi sono mancati, allora sicuramente Simon saprà consolarvi: alto un metro e novanta, biondo, occhi azzurri, simpatico, divertente, competente e sexy da svenire… Ma sono l’unica che quando va a fare una visita trova solo medici panzuti, calvi e con il fascino dei dromedari? Ma sto divagando.
L’incontro tra i due protagonisti è tipico del duo di scrittrici: imperfettamente perfetto, imbarazzante, ma estremamente divertente.
Dopo questo incontro ognuno va per la sua strada, ma poche settimane dopo Bridget si rende conto che la persona a cui sta per affittare la sua dependance è proprio il medico che ha dovuto togliere un amo dal suo sedere.
Bridget arrossì. Amavo metterla in imbarazzo. Mi sarei divertito a vivere da lei. «Ti sto di nuovo prendendo in giro, tesoro. Rilassati. Adoro vedere le tue guance cambiare colore, quando sei imbarazzata». Le feci l’occhiolino. «E mi piacciono anche le tue chiappe».
L’attrazione tra i due è palpabile sin dal primo sguardo, incendia chiunque osi solo sostare intorno a loro, ma non possono assecondarla: Simon non cerca una relazione a lungo termine e ha quasi finito la sua specializzazione, per cui sta per tornare nel Regno Unito, e Bridget ha un figlio che deve tutelare e di certo non vuole far entrare nella loro vita una persona che inevitabilmente lascerà entrambi.
La loro storia si sviluppa lentamente, per gradi, il che per me non è affatto un punto a sfavore: questo dà il tempo alle emozioni di districarsi con attenzione ed è un elemento che dà una marcia in più ai romanzi, perché li rende molto più verosimili e avvincenti, secondo me.
La situazione tra loro però cambia quando Simon si rende conto che stare lontano da Bridget si rivela terribilmente doloroso e che, forse, deve rivedere tutto ciò che vuole davvero.
Perché solo una scelta gli sembra possibile: lui vuole Bridget.
E Simon ottiene sempre quello che vuole.
Il romanzo ha naturalmente molti elementi positivi: Bridget è un bel personaggio, una donna forte e indipendente, che in seguito alla morte di suo marito non si è lasciata travolgere dagli eventi, ma si è rimboccata le maniche per suo figlio. Durante il suo tempo libero cerca sempre di far vivere al figlio esperienze che non gli facciano avvertire troppo la mancanza della figura paterna, facendo appello a tutta la sua riserva infinita di forza e determinazione.
Questa forza però si affievolisce con la presenza in casa di Simon, così attento e premuroso con il suo bambino da portare inevitabilmente Bridget a innamorarsi di lui, rivelando anche la fragilità di una donna che si è sempre messa al secondo posto per il bene della sua famiglia.
La sensazione di vuoto che sapevo avrei provato fu ancora più forte di quanto avessi immaginato, la paura ancora più violenta.
Desideravo fosse qualcos’altro. Volevo che rimanesse. Volevo che mi amasse.
Simon in qualche modo è un’anima spezzata, che deve fare i conti con una vicenda della sua vita che non ha mai superato e che lo ha portato a essere uno spirito errante, rifiutando ogni forma di legame.
Un altro aspetto che ho apprezzato è stato il colpo di scena che si dispiega verso la fine del romanzo, il quale riesce a strapparti un sonoro: “Cosa?!” durante la lettura.
Però c’è un ma e non mi sento di trascurarlo.
Io ho letto i romanzi delle autrici e so cosa sono in grado di fare. Alcuni dei loro scritti mi hanno fatto piangere a dirotto, mi hanno emozionata, mi hanno fatto ridere fino alle lacrime, mi hanno rapita così tanto da trascorrere notti insonni pur di finirli, per poi rendermi un automa all’università e al lavoro, però con un enorme sorriso stampato sul viso. Questo invece… questo non ha avuto lo stesso effetto.
È un romanzo ben scritto e avvincente, ma… non è alla loro altezza.
I personaggi sono ben fatti, ma… non sono degni di tutti quelli che li hanno preceduti.
Simon, con le sue mille sfaccettature, riesce a catturare il lettore, ma… non riempie completamente la tua testa.
Bridget è una donna forte ma… la loro penna ha dato origine a personaggi indimenticabili e loro non sono tra questi.
I dialoghi sono scorrevoli, dinamici, divertenti, ma… non rapiscono il cuore.
L’epilogo è carino ma… non trasmette alcuna emozione.
Presumo che il punto sia proprio questo: per tutta la lettura, ogni mio pensiero, terminava inevitabilmente con un ma e un’obiezione.
In ogni caso questa, come sempre, è solo la mia opinione e, a prescindere da tutto, è un romanzo piacevole che consiglio a tutte coloro che vogliono prendersi qualche momento di svago e di pace dalla propria vita.
Intanto io aspetto con ansia il loro prossimo romanzo, che sono sicura riscatterà tutte le mie aspettative e sarà in grado di farmi sognare di nuovo.
Ti sei mai reso conto che la parola “mai” ha le stesse lettere di “ami”? È buffo, perché gli ami mi hanno portato a dei “mai”.
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