Newton Compton Editore
Il 29 ottobre 1939 la vita di Szmulek Rozental cambia per sempre. I nazisti marciano sul villaggio dove abita, in Polonia, distruggendo le sinagoghe e cacciando i rabbini. Due persone muoiono durante quel primo giorno di saccheggio, ma il peggio deve ancora arrivare. Molto presto tutta la sua famiglia sarà uccisa, e Szmulek, a soli otto anni, è costretto ad affrontare l’incubo dell’Olocausto. Con tenacia e determinazione e grazie all’aiuto di altri prigionieri, sopravvive ad alcuni tra i più letali campi dí concentramento, tra cui Dachau, Auschwitz, Bergen Belsen. Stuprato, picchiato, sottoposto per sei anni a ogni genere di privazione, vede la sua famiglia e i suoi amici morire. Ma essere riuscito a sopravvivere a questo inferno lo ha spinto a combattere per raccontare alle generazioni future gli errori che non dovranno mai più essere commessi. Dopo la liberazione da parte degli americani, si è trasferito a Boston dove, sotto il nome di Steve Ross, ha cominciato una nuova vita, lavorando costantemente per tenere viva la memoria degli orrori delle persecuzioni. Questo libro è la sua testimonianza.
“Ma, a volte, tra me e me, mi dico che farei di tutto per dimenticare.
La voglia di dimenticare è così forte che mi viene da piangere. Per un giorno solo, per un’ora o anche solo per un istante, vorrei essere libero dai ricordi; vorrei potermi sentire come se tutto quello che mi è successo in realtà non fosse mai accaduto; vorrei poter cancellare tutto e avere qualche preziosa ora di pace. Il ritornello “non dimenticare” a volte mi sembra una condanna. So in cuor mio che è egoistico. So che altri hanno sofferto quanto me; e io stesso ho conosciuto tante persone che non sono sopravvissute. Adesso ho ottantasette anni, e continuo ad aspettare l’istante in cui riuscirò a dimenticare tutti quelli che abbiamo perduto.”
Perché leggere un’altra testimonianza di quanto l’uomo può essere mostruoso?
Perché, visto che le storie dei sopravvissuti si assomigliano un po’ tutte? Sono stralci di vita raccontati con fatica, a volte con distacco, probabilmente risparmiando sempre qualcosa di sé, perché l’orrore è stato troppo; troppo doloroso, troppo straziante, inimmaginabile.
Già, perché farlo, quindi?
È una domanda che mi sono posta molte volte e, ancora oggi, non riesco a darmi una risposta del perché io senta questo bisogno. Credo, però, che sia una sorta di necessità l’ascoltare la voce di chi ha vissuto l’inferno – quello vero, che annienta la parte migliore di se stessi – e che, spesso per “fortuna”, è sopravvissuto per renderne testimonianza, per far sì che non si ripeta mai più ciò che i suoi occhi hanno visto e il suo corpo ha subìto.
Ecco… ho bisogno di ascoltarli, ho bisogno di sentir strisciare sulla pelle una minima parte di quell’orrore per fare una sorta di ammenda; per chiedere scusa, perché tutto quel dolore non sia ignorato.
La storia di Steve, un tempo Szmulek, inizia a Łódź, la cittadina polacca in cui a otto anni viveva una vita serena con i genitori e sei tra fratelli e sorelle. Con lui camminiamo sui viali della memoria, lastricati di dolore e morte: la fuga verso Kraśnik quando le voci sui campi si facevano insistenti; la scelta tremenda della madre di affidarlo a una famiglia sconosciuta, con la speranza di salvare almeno lui, il più piccolo; fino ad arrivare alla sopravvivenza a stento nei boschi e poi alla cattura.
Otto anni, SOLO OTTO anni di vita e già un bagaglio così pesante sulle spalle. Basta questo per far riflettere sulla furia scellerata con la quale il male, fatto da esseri umani, si è abbattuto su altri esseri umani, indifesi, non risparmiando nessuno: non vecchi, non donne o uomini, e nemmeno i bambini.
Szmulek entra a Budzyń, un campo di concentramento in Polonia, nell’autunno 1942, e lì scopre che l’inferno in terra esiste. Sevizie, torture quotidiane, fame, tanta fame da perdere la ragione, lavoro massacrante e poi violenze fisiche e psicologiche sistematiche, atte a disumanizzare, ad annichilire, a distruggere l’essenza stessa dello spirito umano.
Szmulek ha appena undici anni quando sogna il cibo, nella speranza che gli dia sollievo al dolore costante, incessante. Varcherà la soglia di dieci campi di concentramento – anche Auschwitz, brevemente, affinché venga tatuato – fino ad arrivare a Dachau, dove sarà liberato il 29 aprile 1945, a quattordici anni e con intere vite di orrore negli occhi e nelle ossa.
Non mi soffermerò sulle atrocità vissute da Szmulek, non mi soffermerò su dei passaggi che mi hanno provocato conati dall’orrore, poiché quello di cui voglio parlarvi, qui e ora, è il suo percorso di rinascita: un essere umano che avrebbe potuto essere sopraffatto da una delle più grandi tragedie dell’umanità e abbruttirsi e che, invece, ha reagito, impiegando al meglio l’unica cosa che non gli era stata sottratta: la sua vita.
Szmulek, che durante l’Olocausto ha perduto tutta la sua famiglia (tranne il fratello maggiore), che non ha potuto far nulla per salvare il suo amico Pinia, una volta arrivato negli Stati Uniti – con tutte le difficoltà del caso, visto che non aveva più nulla e nessuno e gli uomini lì parlavano una lingua diversa – non si dà per vinto: inizia a studiare, facendo enormi sacrifici per riuscire, per poter laurearsi in Psicologia e costruirsi un futuro.
Szmulek, oramai diventato Steve, nome datogli dall’ufficiale dell’immigrazione una volta sbarcato a Ellis Island, da quel momento in poi dedicherà tutta la sua vita ai ragazzi emarginati, quelli senza speranze, poveri, vittime dell’ignoranza e della totale indifferenza della società. Lo farà come assistente sociale, trovando la sua missione di vita nell’aiutare il prossimo, come mai era stato aiutato lui quando era solo un bambino.
È quindi un messaggio di speranza quello che ci lascia, infine, questo romanzo, una speranza che è più potente di tutte le testimonianze delle atrocità, perché, alla fine, quei mostri non sono riusciti a distruggere Szmulek/Steve, non lo hanno polverizzato, non ce l’hanno fatta ad annientare l’essenza stessa della sua anima.
Vi confesso che ho pianto per quel bambino e ho ringraziato il cielo che l’uomo che è diventato abbia camminato su questa terra, perché a me ha lasciato un gran senso di pace il sapere che la bellezza della sua anima e la sua forza interiore non sono andate distrutte e che sia vissuto per tramandare il suo esempio.
Fate un favore a voi stessi, onorate il ricordo, leggete questa storia.
Per non dimenticare. Mai.
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