Non farti ingannare. Non cercare giustificazioni per me. Non sono un uomo per bene. Ho visto cose che non avrei dovuto vedere, fatto cose di cui nessuno dovrebbe parlare. Nella mia vita non c’è posto per onore e coscienza. Ma ho combattuto e sono sopravvissuto. Ho dovuto farlo. Quando l’ho vista ballare in uno strip club, ho sentito il cuore battere per la prima volta. Keelyn Foster era troppo giovane, troppo piena di vita per quel posto, e mi sono reso conto in un istante che doveva essere mia. Ma prima di averla, sarei dovuto diventare l’uomo più temuto di The Point. Per avere qualcosa di decente da offrirle. Adesso è così. I soldi non sono più un problema e non c’è niente che io non possa ottenere. Eccetto lei. È scomparsa, introvabile. Ma non intendo arrendermi. La troverò e la reclamerò. Sarà mia. Perché, come ho detto, non devi farti ingannare. Non sono un diavolo sotto mentite spoglie… Sono un diavolo che padroneggia la scena.
Stavolta, a differenza delle altre, voglio iniziare questa recensione dalla fine, ovvero dalla valutazione del romanzo, per il semplice motivo che ho dovuto sostenere una battaglia fra me e me per decidere quante stelline attribuirgli. Volevo con tutto il cuore, ve lo giuro, dargli cinque stelle ma no, non ce l’ho fatta, mi è mancato qualcosa e ancora adesso mentre scrivo non ho ben chiaro cosa. Cercherò mano a mano di chiarirmi le idee, andando avanti con la recensione, così da poterlo spiegare anche a voi. Vado quindi alla ricerca dell’inghippo che non mi ha convinta del tutto, e già so di poter escludere lui, Nassir, dall’equazione negativa. Eh già, perché Nassir è un personaggio potente e convincente, poche luci, tantissime ombre, ombre che non subisce ma domina; Nassir è il re delle ombre, ne ha acquisito il controllo pagando un prezzo altissimo in termini di umanità, eppure senza abbandonare completamente un certo senso di giustizia, seppure distorto. Di Nassir Gates conosciamo già abbastanza, per essere stato sempre più presente in tutti e tre i libri della serie Welcome to the Point, quelli dedicati a Bax, Race e Titus per intenderci. Di lui sappiamo che è un uomo senza scrupoli, che sembra avere origini mediorientali, che ha costruito un impero a The Point sbucando praticamente dal nulla, che gestisce incontri clandestini, strip club, prostituzione e chissà cos’altro con polso di ferro, ma con occhio attento a proteggere da possibili pericoli chiunque lavori per lui. Sappiamo anche che ha un unico punto debole: Keelyn Foster, nome d’arte Honor. Nell’ultimo libro della serie principale Keelyn viene ferita gravemente durante una sparatoria, e dopo aver rischiato la pelle decide di andar via per costruirsi una nuova vita a Denver, lontana dalla lotta costante per la sopravvivenza che è il vivere a The Point e soprattutto lontana dal pericolo di approfondire il legame già esistente con un uomo complicato e dominante come Nassir. Li abbiamo lasciati così, con Nassir che ha tutte le intenzioni di andare a riprendersela, ed è da qui che ha inizio Honor.
Il prologo apre il sipario sul passato di Nassir e ci spiega da dove viene, chi è stato e cosa ha fatto prima di giungere al Point. La risposta, care mie, supera le nostre peggiori fantasie, sbattendoci in faccia una realtà che fin troppo spesso vediamo attraverso quotidiani e telegiornali, e su cui ben poco ci soffermiamo il più delle volte, non per disinteresse, indifferenza o insensibilità, ma per assuefazione. Colui che conosciamo come Nassir nasce in Cisgiordania, da padre arabo e madre americana. Iniziate a sentire le vibrazioni negative che associamo a termini quali “conflitto israelo-palestinese”, “striscia di Gaza”, “raid”, “terrorismo”? Ecco, proprio quelli. Nassir non ha mai conosciuto suo padre, morto “martire per la causa” prima che lui nascesse, e sua madre, una donna imbevuta di fanatismo, odio e rancore, lo ha cresciuto a solo veleno, insegnandogli a combattere e uccidere fin dalla più tenera età, senza mai compiere un gesto d’amore nei suoi confronti. Nassir è un soldato bambino che non capisce il motivo per cui è costretto a compiere azioni così mostruose, ma vuole assecondare e rendere orgogliosa sua madre, fino al giorno in cui lei, senza neppure dirgli addio, lo consegna a un gruppo di terroristi, per essere addestrato e utilizzato in una guerra che non sentirà mai sua. A quindici anni è una macchina, senza sentimenti, senza speranze, svuotato di tutto, a tal punto da desiderare la morte come unica possibile via di fuga. Proprio quando ha deciso di farla finita viene catturato da agenti del Mossad, che gli propongono di lavorare per loro come spia in cambio della libertà e di una nuova vita dopo cinque anni. E Nassir, che ha ormai capito che in questa guerra non esistono buoni e cattivi, o una parte giusta e una sbagliata, accetta senza indugio, permettendosi di sognare una vita in cui possa essere finalmente e per la prima volta padrone di sé e delle proprie azioni. Quando il Mossad non manterrà la parola data, egli farà saltare la propria copertura e sarà condannato a morte dai soldati islamici che ha tradito, ma reagirà prendendosi con la forza e con altro sangue versato la libertà a cui aspira. Dopo l’ultima strage, quando ha poco più di 20 anni, fugge per giungere in America, ma dovunque vada non riesce a sentirsi a suo agio, finché non giunge al Point, ed è lì, in quella tetra e violenta città, che si sente a casa per la prima volta in vita sua. Ed è lì, sul palco di uno squallido strip club, che vede per la prima volta una ragazzina sfacciata e al contempo ingenua, decisa in tutti i modi a lottare per emergere dalla merda in cui è cresciuta, colei che diventa la sua causa, la sua ragione di vita. Gli anni seguenti trascorrono con Nassir che, sebbene la voglia per sé, si tiene a distanza per darle modo di crescere, di maturare, di accettarlo come compagno, intanto che si arricchisce ed estende sempre più la sua influenza sulla città. E con Keelyn che ne è attratta ma anche impaurita, e mi spiego meglio, non ha paura del male e della violenza che vede in lui, né del mostro che egli ritiene di essere, ma egoisticamente teme di dover cedere il controllo della sua vita a Nassir, perdendo la libertà a cui anela. Teme di perdere la propria identità personale per diventare solo la donna/oggetto di un uomo/padrone, uno a cui imporsi sugli altri viene naturale come respirare. E così per sua scelta Keelyn continua a far soldi spogliandosi su un palco, continua a far sesso con chi le pare e a vivere la sua vita in relativa sicurezza, perché tutelata dalla protezione non invadente di Nassir.
Okayyy, forse inizio a vedere la luce e a capire cosa non mi scende giù, ma mi è rimasto proprio lì, posizionato sul gargarozzo. Mostro? Mostro?? Diavolo??? Ma dovrebbero farlo santo piuttosto. Io al posto suo a questa qua l’avrei già presa a calci in c… Sì, capisco razionalmente le sue fisime, capisco che è giovane e deve crescere e maturare, ma sono trascorsi anni e lei in quegli anni è stata in una posizione che più comoda non si poteva. Quando poi si becca una pallottola nel petto, mica scappa per paura della città violenta, noooo, scappa perché vede la disperazione negli occhi di Nassir e capisce che lui non sarà disposto ad attendere oltre, questa è la verità. E va bene che poi torna: la vita a Denver si rivela troppo piatta per la sua personalità, la tranquillità non le offre nessuna sfida, aggiungiamo a questo il forte desiderio fisico che nutre per Nassir, e qualche piccola pressione psicologica dal suddetto, ed eccola di nuovo a The Point. Inizia così la loro relazione, alleluja, e Nassir passo dopo passo le dimostrerà con i fatti che la vuole accanto a sé come sua pari e che dunque tutte le paure di lei erano infondate.
«Ho trascorso tutta la mia vita a soffrire. Ho smesso solo adesso, sentendoti dire che posso averti, che sei mia. Non hai idea di quante battaglie abbia dovuto combattere per arrivare qui e aspettare che tu fossi pronta per me, Keelyn. L’unica cosa che potrebbe tenermi lontano da te sarebbe solo la morte».
Il resto del romanzo prosegue alternando azione, sabotaggi, minacce di morte e riflessioni dei due protagonisti, soprattutto di lei, che finalmente prende il suo posto accanto a lui dimostrando di essere maturata e cambiata anche nell’atteggiamento, trasformandosi in donna tosta disposta a tutto per salvaguardare se stessa, il suo compagno e la loro vita insieme. Ma anche in questo caso la morale conclusiva non mi convince troppo, devo essere sincera. La Crownover paragona Nassir a un Pinocchio, ovvero un burattino senza anima che grazie a lei diventa un bambino vero, e a riprova della sua tesi porta il fatto che Nassir, ora, prima di agire pensa e riflette bene sulle conseguenze delle sue azioni. Eh no, cara mia, non son mica d’accordo. Nassir a modo suo l’anima ce l’ha fin da principio, piuttosto fossi di fronte a me ti chiederei di parlarmi di quella di Keelyn… dei sentimenti di Keelyn: ci hai mostrato le sue paure, la sua passionalità, la sua possessività, ma l’amore? Care amiche lettrici, aiutatemi voi a trovarlo, perché io da sola l’amore incondizionato di lei nei confronti di questo povero diavolo perso, non l’ho mica sentito. Ecco, credo di avervi detto tutto, e scusate se sono stata prolissa, alla prossima!
Lei mi chiamava diavolo, io invece la definii il mio tutto. Ci stringemmo forte, esausti e per sempre legati. Il mio cuore e la mia anima si erano saziati del tutto e ogni battaglia che avevo combattuto sembrava un’inezia in confronto al fatto di avere lei, la mia vittoria.
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