«Tutto quello che si rompe, comprese le persone, si può aggiustare. Ecco come la penso io.» A soli diciassette anni, Charlotte Davis ha già trovato un rimedio per calmare la sofferenza che prova. Per non pensare all’amato padre che ormai non è più con lei, per non pensare alla sua migliore amica che l’ha lasciata, per non pensare a una madre che da molto tempo non la capisce, a Charlie basta avere a portata di mano un pezzo di vetro. Un coccio di bottiglia, un gesto secco, un taglio sulla pelle: e dentro si fa largo una specie di sollievo. Charlie è ricoverata in un istituto psichiatrico di St. Paul, nel Minnesota, un microcosmo abitato da altre ragazze come lei, ragazze sole, ognuna un mondo da decifrare, ognuna intrappolata in un diverso dolore. Boccioli di donne ancora troppo chiusi, duri, terrorizzati dall’aprirsi alla vita, sprovvisti di misure di difesa e dunque trascinati via dalla corrente dell’autolesionismo. Le ragazze tra di loro si prendono in giro, si raccontano, immaginano il futuro, c’è chi vorrebbe uscire di lì e chi invece vuole restare al riparo di quelle mura. Charlie, al momento delle dimissioni, non sa dove andare, dato che la madre non la vuole con sé. Sarà allora nella lontana Arizona, dove il sole è rovente e un amico l’aspetta, che potrà provare a riconquistare uno spazio di gioia e nuovi progetti. Il lavoro in una tavola calda e certi inattesi incontri sono linfa benefica, ma quel suo debole entusiasmo viene deluso in fretta: per ricominciare davvero, allora, cosa serve? E poi ci sono io è una storia viscerale, aspra e dolce come i diciassette anni di Charlie, un romanzo che parla di adolescenza con onestà, guardando dritto negli occhi di chi pensa di non farcela e crede di essere destinato a scivolare per sempre; è una storia fatta di cadute, improvvise speranze e ripartenze, che ci ricorda quello che siamo stati e quale coraggio serve per riprendere la strada.
In Italia vengono pubblicati dalle case editrici di spessore, quelle con una distribuzione capillare nelle librerie per intenderci, qualcosa come seicentomila nuovi titoli annui.
È sempre più difficile trovare libri originali per trama, struttura e narrazione. Un po’ perché l’editoria non ha un grande traino economico e annaspa sempre tra vendite, storni e libri al macero; un po’ perché la legge della “domanda&offerta” impone tematiche e sottogeneri; un po’ perché tra il romanzo scritto dal ghost writer e firmato dalla celebrità di turno, le memorie dello youtuber da milioni di visualizzazioni, gli scrittori di livello e quelli da sottopassaggio che, però, fatturano, non è facile per il lettore raccapezzarsi.
Per questo ho un sentimento quasi di gratitudine nel parlavi di E poi ci sono io, romanzo di esordio di Kathleen Glasgow, targato Rizzoli.
Charlotte ha diciassette anni, anche se appare più piccola. Piccola, non giovane. È la vita di strada che le ha insegnato a rimpicciolirsi, fin quasi a scomparire: soprattutto di notte, quando il buio porta con sé paura e pericoli. Se ti rimpicciolisci, speri che gli altri non ti notino. Non devi essere soltanto trasparente, devi diventare invisibile. Funziona? No, perché non ha importanza quello che desideri, il pericolo ti stana e ti scova: può avere le fattezze di un essere umano o i contorni della malattia o l’imprevedibilità della natura. Se vivi in strada, sei meno di un ratto che scappa.
E Charlotte diventa Charlie, a che serve un nome così femminile se non sei più una ragazza? Una di quelle carine, tutte in ordine, che hanno una casa, una famiglia e del cibo nel piatto. Ci sono quelle, e poi c’è Charlie, con i dreads lunghi e sporchi, le braccia pesanti e il cuore con poco spazio per altre emozioni. Charlie, però, è felice di trovarsi al Creeley, l’istituto psichiatrico che l’ha presa in cura dopo che qualcuno l’ha lasciata davanti al Regions Hospital avvolta in un lenzuolo, sanguinante. L’inverno, il freddo, la strada, la vita così come la conosce da un po’ è fuori da quelle pareti asettiche, e lei è dentro. Non importa se il cibo sembri di cartone, se ogni istante è programmato e gli specchi alle pareti non sono veri: non c’è il freddo e l’umidità del parco, l’uomo del sottopassaggio, Frank La Merda e la Seeds House con le minorenni in vendita nel seminterrato.
Le altre ragazze in cura sono tutte autolesioniste, depresse, maniacali come lei, quelle che Blue chiama pasticcini insanguinati, ognuna persa nel proprio girone infermale: c’è Jen che si incide, Francie si punge, Sasha si taglia, Isis si brucia, e la stessa Blue sulla pelle ha un po’ di tutto.
Tuttavia, una cosa rende Charlie diversa, lei non ha la loro condizione economica agiata come un giorno le fa notare Louise, la sua compagna di stanza, mettendola in guardia.
La madre di Charlie, infatti, è assente, il padre è morto e, quando la nonna non potrà più permettersi di pagare la retta del Creeley, il tempo a sua disposizione scadrà. Niente più caldo e quel cibo sintetico che, però, ti riempie la pancia. Tic – tac – tic – tac. Le bende sono state tolte e le cicatrici nuove si sommano alle vecchie, tutte raccontano una storia: la sua.
Charlie, alla notizia delle sue dimissioni, non regge, il male che l’accompagna si espande, occupa il poco spazio rimasto nel cuore, esplode e con lui la rabbia, la voglia di rimpicciolire ancora, sparire: ferisce sé e la dottoressa che gestiva le sedute di gruppo. L’allontanamento dalla struttura è irrevocabile. Essendo ancora minorenne, la legge prevede che Charlie rientri da sua madre finché non si liberi un posto in un centro di accoglienza, ma quando la donna va a prendere la figlia le disposizioni si riveleranno soltanto una pretesa fumosa.
La madre non la riprende in casa e le consegna un biglietto dell’autobus per l’Arizona, dove vive Mikey, un ex compagno di scuola che ha promesso di aiutarla, e del denaro che Charlie aveva messo da parte con la sua amica Ellis, facendo i lavoretti più disparati per partire un giorno, insieme. Viaggio che non potrà più fare, perché a Ellis è successo qualcosa di terribile per cui Charlie ancora non riesce a perdonarsi.
Cosa fare? Tornare al Creeley e dire che la madre non l’ha voluta o partire? Charlie è sola, lo è sempre stata, è una sensazione che conosceva prima di Ellis e che, ora, è tornata forte, prepotente. E lei ha paura, sia di restare che di andare.
Quando un infermiere, Vinnie, le dà un passaggio, intuendo che i piani sono saltati, Charlie ha già scelto.
«Tutto quello che si rompe, comprese le persone, si può aggiustare. Ecco come la penso io» le dice Vinnie, prima che lei salga su quell’autobus.
Tucson, Arizona, è una pagina bianca. Un luogo in cui ricominciare. Una casa vuota, perché Mikey lavora come roadie, un po’ tecnico un po’ autista, ed è in tour con la band. Volti nuovi: Ariel, la padrona di casa di Mikey, che le dà due settimane di tempo per trovarsi un lavoro o andarsene; Riley, un talentuoso cantante finito a lavorare nella tavola calda della sorella che le darà lavoro come lavapiatti; le colleghe dei vari turni, ragazze normali che lei un po’ invidia dal basso di quella normalità da cui si sente esclusa.
Basta questo, però, per ricominciare? Un posto nuovo, persone diverse, un amico per stampella?
Charlie capirà presto che il mondo viaggia a una velocità differente dalla sua: Mikey è gentile, ma non è più il ragazzino che conosceva, è un uomo, ormai, è Michael, e la cotta adolescenziale che aveva per lui continua a non essere corrisposta. Charlie dovrà capire che un amico può volerle bene, ma che l’amore è un’altra cosa. Lui l’avverte, quando dopo averle presentato la sua ragazza, Bunny, Charlie inizia a frequentare Riley:
“Riley West aveva un talento incredibile, ma adesso è un fallito incredibile. Non continuare su questa strada. Lui ha un… passato. E non dovresti farti coinvolgere dai suoi casini mentre devi occuparti del tuo recupero. Intendo questo, quando parlo di amici giusti.”
Charlie, però, si indispone: Mikey l’ha rifiutata e Riley è gentile, c’è come una corrente elettrica tra loro due, quando si sfiorano, e lui spesso le passa del cibo che, con il poco che guadagna, è un regalo più che utile, necessario.
E, poi, lei non vuole credere alle parole di Louise, anche se le ronzano nelle orecchie: “Dovrebbero dirtelo appena entri qua dentro, che questa storia dei desideri è finita. Con quello che abbiamo fatto, nessuno ci amerà mai. Non in un modo normale.”
Charlie ha paura, le ferite più profonde non sono quelle che le solcano la pelle, ma vuole crederci, essere amata, anche se non è pronta. E, forse, le lezioni imparate sulla strada non bastano per interpretare questo nuovo capitolo della sua vita.
E poi ci sono io è stato definito dalla stampa americana “un romanzo necessario” e lo è. È una lettura dura, che ti prende fin dalle prime righe e ti trascina con sé in un vortice di dolore. Ben concepito, la narrazione gode – purtroppo o per fortuna – di un’ottica privilegiata. L’autrice ha raccontato di avere attraversato da giovane una fase autolesionista; le ci sono voluti anni per riuscire a scrivere questa storia ed è, forse, l’autenticità di un dolore così profondo e nudo a rendere ogni parola un taglio, qualsiasi pagina bella anche se dura, difficile, triste. C’è stato un momento, questa notte, che ho dovuto distogliere lo sguardo dall’e-reader e concentrarmi sul respiro, perché sentivo la mia pelle assottigliarsi come carta velina. Eppure, dovevo finire la lettura, volevo farlo. Era necessario che lo facessi.
Leggetelo, andate contro il facile pregiudizio di non riuscire ad accettare un romanzo triste, perché E poi ci sono io lo è e non lo è, e l’oscurità volta le spalle alla luce quando arriva.
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