«I writers stavano decorando una saracinesca, in alto avevano scritto: “Hanno provato a seppellirci, non sapevano che eravamo semi”». Tre storie, le cui traiettorie si incrociano a Parigi alla vigilia dell’attentato al Bataclan. Sono tre donne che hanno in comune il nome e le origini siciliane. Appartengono a generazioni diverse e stanno facendo i conti con i rimpianti del passato, le disillusioni del presente e le scelte per il futuro, ma tutte verranno investite dalla violenza terroristica che cambia e travolge ogni cosa. Vita e morte si fronteggiano in questo romanzo intimo e delicato dove è l’amore a guidare, in modo imprevedibile, i destini.
Anna, Anna e Anna.
Tre protagoniste, tre generazioni di donne che scelgono o, meglio, cambiano il loro destino per andare altrove, per fuggire i confini di una tradizione e una cultura ripiegata su se stessa.
Così ciascuna di loro sceglie di partire, e, forse, lo fa senza la consapevolezza di lasciare per sempre la Sicilia. La loro forza è l’amore. L’amore che è illusione, o frutto di un antico e mai composto conflitto, o ancora l’abitudine a lasciare agli altri i fili della propria vita. Amore che diventa libertà; quella boccata d’ossigeno che nessuna delle tre sapeva di desiderare prima di mettersi in viaggio.
Ed è il viaggio, ciò che conta. Tornare, andare per la prima volta, ripartire per un altro luogo. E scoprire che può esistere – sì, è possibile che esista – un posto da chiamare casa. Anche se pieno di contraddizioni. Perché pur accogliendole, non le accetterà mai del tutto; pur non accettandole del tutto, non le lascerà andare.
Quel luogo è Parigi. Una città che grazie all’abile penna dell’autrice acquista un fascino diverso da quello che vive nell’immaginario collettivo, forse spigoloso, inquieto, ferito. Parigi, che non sorprende per la sua grandiosità, ma è un dito puntato contro “lo straniero”, un giudice che indaga, studia e, alla fine, dopo numerose prove, accoglie.
Parigi che è sofferenza senza clamore. Non si impone, ma sussurra la sua presenza. Cade, si rialza, e torna a vivere in un silenzio in cui echeggia un grido smorzato, che il lettore riesce a percepire con chiarezza. Parigi che abbraccia la sua gente; che diventa una catena di solidarietà senza distinguere chi vi è nato da chi ha solamente accolto.
Quella notte al Bataclan è una pennellata acquosa, un sussurro; un tono di grigio che taglia la tela della narrazione, che mette il punto sul prima e dà avvio al dopo.
E in questo clima sospeso, le vite delle tre donne vengono risucchiate in un cono d’ombra che non ci permette di guardare fino in fondo con gli occhi, ma che apre l’immaginazione a qualcosa che non vorremmo davvero sapere. Disperazione e dolore trasudano da ogni frase, eppure le parole sono così delicate, così eleganti, da attutire l’impatto dell’attentato, per focalizzarsi sulla vita che continua.
Tre protagoniste, tre storie, tre mondi, che sembrano in realtà descrivere età diverse della stessa vita, quasi che l’unica Anna abbia incontrato le altre sé alla vigilia dell’attentato al Bataclan, abbia messo ognuna davanti a una sliding door, e abbia suggerito una scelta diversa, in grado di cambiare il corso di un’intera esistenza.
L’abilità dell’autrice è riuscire a tenere incollato il lettore con personaggi tridimensionali, nei modi, nei gesti, nei pensieri e nei dialoghi. Lo stile è elegante, ogni parola trova la sua perfetta collocazione, in un insieme pregevole e originalissimo. L’atmosfera è a tratti cupa, a tratti piena di luce. Mi sono identificata nella giovane Anna, quella che parte per la prima volta; lo smarrimento, la fiducia incrollabile, la cocente delusione e la forza di reagire, sono il filo conduttore di questo bellissimo, intenso, delicato romanzo.
Quante vite, quanti battiti, e attimi, dietro finestre, muri, vetri.
Quante storie, divise da strade, ponti, confini, parole e azioni.
E se, per caso o per volere del fato, fossimo, tutti, destinati a sfiorarci, a incrociarci, con gli occhi e con le mani, per poi perderci?
Maria Laura Caroniti ci racconta una storia, forse una dolorosa fiaba contemporanea, nella quale principesse smarrite, principi affatto eroi, orchi stupidi e ciechi, si muovono e respirano sotto il cielo plumbeo di un novembre, a Parigi.
Il tempo è quel novembre triste, in quella città che è un mondo e mille, luogo e metafora di solitudini che si muovono quasi in tondo, in uno strano rincorrersi di analogie e differenze.
Tre donne, tre vite, tre destini uguali e diversi, un cerchio interrotto, un testimone che non passa di mano, la crudeltà degli uomini.
E in più tutto quello che è avere le radici esposte agli elementi, lontane dalla terra che le ha nutrite, in una sensazione di distanza incolmabile perché il quotidiano ha altri suoni e colori:
… ma le radici non sono fatte per gli uomini – eppure a volte dolgono e si contorcono alla ricerca di ciò che è perduto, forse perché lo sanno perduto per sempre.
La lettura di questo libro mi ha riportata indietro, mi ha commossa e mi ha fatto pensare: quali sono i momenti nei quali alcune piccole decisioni cambiano la rotta delle nostre esistenze? Quanto il nostro essere donne concorre a che i passi fatti e quelli da fare siano insieme memoria e futuro?
Le “Anna, Anna, Anna” sono, in questo canto-romanzo, essenza e luogo d’amore, fragili e tenaci carezze, sussurro sommesso e grida, dolore, pietà e infinita saggezza, quella che solo le prove dell’esistenza sanno nutrire.
Mi è rimasto dentro, questo romanzo, intrecciato stretto a quel nucleo antico che è ben nascosto nell’anima, perché Maria Laura Caroniti ha saputo dipingere la vita stessa, dando volto e voce alle Anna che noi siamo, saremo, siamo state.
Ciascuna a camminare a testa alta e cuore grande in ogni angolo di ogni crudele, meravigliosa, triste, bellissima città.
VOTO PER ENTRAMBE LE RECENSIONI:
Editing a cura di:
Commenti
Nessun commento ancora.