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È il 1956 e l’alleanza tra le armate naziste del Terzo Reich e l’impero giapponese governa gran parte del mondo. Ogni anno, per celebrare la Grande Vittoria, le forze al potere organizzano il Tour dell’Asse, una spericolata e avvincente corsa motociclistica che attraversa i continenti collegando le due capitali, Germania e Tokyo. Il premio in palio? Un incontro con il supersorvegliato Führer, al Ballo del Vincitore. Yael, una ragazza sopravvissuta al campo di concentramento, ha visto troppa sofferenza per rimanere ancora ferma a guardare, e i cinque lupi tatuati sulla sua pelle le ricordano ogni giorno le persone che ha amato e che le sono state strappate via. Ora la Resistenza le ha dato un’occasione unica: vincere la gara, avvicinare Hitler… e ucciderlo davanti a milioni di spettatori. Una missione apparentemente impossibile che solo Yael può portare a termine. Perché, grazie ai crudeli esperimenti a cui è stata sottoposta, è in grado di assumere le sembianze di chiunque voglia. Anche quelle di Adele Wolfe, la Vincitrice dell’anno precedente. Le cose però si complicano quando alla gara si uniscono Felix, il sospettoso gemello di Adele, e Luka, un avversario dal fascino irresistibile…
Valchirie: vergini della mitologia norrena. Selezionatrici di uomini, appaiono sui campi di battaglia per stabilire quali guerrieri devono morire e quali vivere. Benché molti dipinti le raffigurino a cavallo, una strofa incisa sulla Pietra runica di Rök descrive una Valchiria di nome Gunnr che cavalca un lupo.
Chi è Yael? Chi è Volchitsa (Lupa)? Quali scelte deve affrontare una ragazza di diciassette anni?
Il libro inizia nel 1944. Un 1944 atroce perché drammaticamente vero, il 1944 dei treni pieni di persone che hanno la colpa di essere ebrei, il 1944 dei campi di concentramento e degli orrendi esperimenti che venivano condotti sui prigionieri, trattati alla stregua di cavie.
Qui Yael impara una cosa: può essere forte, può sopravvivere.
La ritroviamo dodici anni dopo, ancora più forte, ancora più determinata a fare qualcosa per un mondo profondamente sbagliato, ma anche ancora più sola con la sua unicità.
Il mondo che ci presenta l’autrice è un mondo in cui le forze dell’Asse hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale, in cui Hitler non solo vive, ma è ancora capace con i suoi discorsi di conquistare i popoli.
In questa Germania padrona dell’Europa, un movimento di resistenza combatte nell’ombra per uccidere il tiranno, perché la morte di Hitler è l’unico modo di ridare speranza alle persone e di iniziare a cambiare la società che li circonda.
Per portare a termine la sua missione, Yael deve vincere Il Tour dell’Asse, una gara motociclistica che collega la capitale tedesca a quella giapponese, attraversando il mondo e congiungendo i due alleati. Solo lei può assumere le sembianze di Adele Wolfe, ultima vincitrice della gara.
«Il Tour dell’Asse serve a commemorare la nostra Grande Vittoria. Nei giovani concorrenti vediamo la tenacia e la forza della nostra razza. Li guardiamo percorrere le terre che abbiamo conquistato e purificato. Siamo il pubblico che assiste al nostro progresso.»
Ma per poter vincere Yael deve diventare Adele, deve sapere come muoversi a fianco di persone che conoscono la vera Adele, deve pensare come lei, deve guidare come lei.
Ed ecco che la sua battaglia diventa anche un terribile straniamento: Yael, che ha assunto tante identità per sopravvivere, resta attaccata al suo vero io, al suo dolore, alla sua rabbia attraverso i tatuaggi dei cinque lupi che porta sul braccio. Le cinque persone che hanno significato qualcosa nella sua vita, che l’hanno resa quello che è, che hanno creduto in lei quando Yael stessa dubitava della sua identità.
«Di nuovo la febbre» mormorava, premendo le dita fragili sulla pelle di Yael, e poi si rivolgeva alla compagna di cuccetta. «Miriam, vammi a prendere un po’ di neve.» Si scioglieva sempre in fretta, la neve di Miriam: gocciolava sulla pelle in cento modi diversi, stillando in rivoli sulla gola, fin dentro l’abito da lavoro. «Non senti freddo, Yael?» Scossa dai brividi, la ragazza più grande si teneva le dita sotto le ascelle per scaldarle. «È diversa da noi» rispose la mamma di Yael. Anche se i capelli di sua figlia erano corti, troppo corti per lisciarli, lei li accarezzava lo stesso. «È malata.» Ma Yael sentiva freddo, sì. I brividi le correvano sulla pelle come se bruciasse dall’interno verso l’esterno. Era fuoco e ghiaccio insieme. Una cosa impossibile. «N-no.» Lo disse con un colpo di tosse. «Non diversa. Sono la stessa.»
Nel mezzo di una narrazione veloce e travolgente, durante una gara senza esclusione di colpi, Yael/Adele non combatte solo con la polvere, la fatica, le difficoltà di una prova a cui tanti non sopravvivono, ma anche contro la sua umanità, contro le relazioni, naturali, che sono però un rischio quando ogni persona che ti è a fianco è un potenziale nemico, anche tuo fratello.
È una narrazione emozionante e struggente allo stesso tempo, in cui la speranza ti deve nutrire di crudeltà e colpi bassi, perché quando si gioca per il destino non si può giocare pulito.
Yael è un personaggio bellissimo nelle sue contraddizioni e il suo essere in grado di cambiare aspetto è più che mai simbolo che la razza umana è una e che il colore della pelle e dei capelli sono solo dettagli di nessun valore. Ma allo stesso tempo non è un’eroina senza macchia, perché la missione è troppo importante e il suo cuore, la sua anima sono al servizio di qualcosa di più grande.
Pagina dopo pagina sentiamo con lei in bocca il sapore della fatica, della sete, della paura di fallire. Non possiamo fermarci un momento a riposare come Yael/Adele che deve contare anche i secondi per poter vincere.
“Wolf: la ragazza che sfidò il destino” è un libro che si deve continuare a leggere fino all’ultima parola. Un libro che non si fa traviare da buoni sentimenti o conversioni miracolose, in cui il male esiste, anche solo nella forma della rassegnazione e della paura di popoli che hanno smesso di combattere e di sperare, che hanno accettato come normale qualcosa che non solo non è normale ma è mostruoso. Qualcosa che avrebbe potuto essere e che non dobbiamo mai dimenticare.
Tutto questo senza retorica, senza nessun proclama, ma con una storia che si concentra sull’azione e che la usa come tramite per arrivare in fondo all’animo di chi legge.
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