Mia è sempre stata orgogliosa della sua memoria. Non c’è giorno, per quanto trascurabile, che lei non conosca nel dettaglio: ciò che mangia, ciò che indossa, ciò che sente, ogni cosa viene registrata e conservata con cura, come un’istantanea che resiste alla prova del tempo. Eppure nel suo passato c’è un grande vuoto, un’assenza che sfugge a ogni tentativo di ricostruzione: perché Mia, che ricorda tutto, ha dimenticato sua sorella Jill. Sa che c’è stata, e sa che a un certo punto è stata uccisa: il resto l’ha scordato, non saprebbe dire come. Jill è il grande tabù di cui non è consentito parlare. Per sfuggire al suo fantasma, la famiglia ha dovuto attraversare l’oceano e trasferirsi a Roma. Fino a quando, dopo anni, la polizia non contatta Mia per riaprire il caso. È così che i ricordi cominciano a riaffiorare: Jill con le labbra rosse e i capelli biondissimi, piena di ammiratori e di segreti, sorella amata e maledetta che qualcuno, in una sera d’estate, ha lasciato senza vita in un fosso. Mentre ripesca frammenti, lampi, ossessioni, Mia è costretta a chiedersi: era possibile prevederlo, prima che accadesse? Quanti segnali si nascondono nel buio della sua mente? E come rimediare, adesso, a questa assoluta mancanza?
“Ricordava tutto. Tranne sua sorella.”
È questo lo strillo che si legge sulla sovraccoperta di “Un’assoluta mancanza”, lo splendido romanzo di Francesca Bussi edito da Rizzoli.
Un libro che andrebbe letto due volte: la prima, senza attese, per gustarsi una storia potente capace di agganciare il lettore fin dalle prime pagine; e una seconda, per apprezzare la struttura impeccabile che sorregge la trama.
Mia è una bella ragazza americana che vive e lavora a Roma, dove è impiegata in un museo come archivista grazie alla sua capacità mnemonica fuori dal comune.
È ossessionata dal corpo e dai modellini anatomici: un tempo questo suo interesse aveva portato i genitori a immaginare, e sperare, un fulgido futuro da medico e, invece, -come lei stessa racconta- non avevano capito che lei non voleva curare “ma essere curata”.
Un problema posturale da bambina l’aveva portata nello studio del dottor Taylor, un ortopedico che, dopo i controlli di rito, la lasciava alle manipolazioni della fisioterapista. Quel dottore che, agli occhi di una decenne, diventa subito il primo assoluto amore, la grande ossessione, e che lei ormai adulta ricerca in ogni uomo, in ogni avventura, in ogni fidanzato; perché Mia è incapace di frequentare qualcuno che non sia un medico. Ha con sé un pennarello blu, come quello che il dottor Taylor usava sulla sua schiena per segnare storture da raddrizzare, un difetto che agli occhi di Mia bambina era accettabile soltanto perché era il biglietto di ingresso nello studio del “suo” dottore. E quel pennarello di tanto in tanto lo passa al suo ultimo amante, un ortopedico dal viso di topo e l’intelligenza acuta, e gli chiede di segnarle le ossa in un atto di bisogno che lui prende alla leggera, come fosse un gioco erotico di una bella ragazza strampalata.
Ho detto “bella”, e l’ho ripetuto, perché Mia non si considera tale e, quando un poliziotto la contatta per informarla che è stato riaperto un cold case sulla sorella assassinata all’età di quattordici anni, Mia inizia a ricordare.
Lei con una supermemoria, lei che frequenta un programma che studia l’ipertimesia in individui che hanno una memoria biografica superiore a quella degli altri, proprio lei come ha potuto dimenticarsi di Jill, la sorella bellissima che aveva un posto speciale nel cuore di tutti? Quell’angelo che le faceva torti da diavolo?
Negli Stati Uniti, che Mia ha lasciato quand’era bambina, i federali hanno riaperto il caso di Jill e basta questo ad aprire una porta chiusa a doppia mandata. Nessuno in famiglia ha più parlato di lei dopo il trasferimento. C’è una foto sbiadita sul frigorifero che potrebbe raffigurare Mia, una bella bambina che crescendo si è guastata -come lei stessa si affretta a pensare-. Ma non è Mia, la ragazzina impressa su quella vecchia pellicola che sbiadisce ogni giorno di più. E quando un’altra ragazzina viene uccisa, questa volta in Italia, nella palazzina di fronte all’edificio del Museo nel quale Mia lavora, tutto precipita.
Da questo momento i ricordi bussano, si incuneano nel buco della serratura, acquistano forza, scardinano la porta. E Mia ricorda, anche quello che avrebbe preferito dimenticare per sempre.
Una scrittura magistrale, una protagonista cinica e ambigua, a volte vinta da una crudeltà cristallina come quella dei bambini; una storia così “visiva” da sembrare un film in azione: questi gli ingredienti di Un’assoluta mancanza, una lettura perfetta sia da portare in vacanza sia da rimandare a settembre perché una buona storia non ha stagioni.
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