Francese con un lavoro a Parigi e un appartamentino a Montmartre, Vivienne Vuloir è una ragazza buffa e imbranata che colleziona una figuraccia dopo l’altra, fa i conti con una fallimentare carriera di scrittrice e soffre di un numero indefinito di fobie. A trent’anni ha dimenticato il sapore di un bacio, si è adattata a essere identificata come “quella che si occupa di gossip”, ma soprattutto ha perso completamente fiducia nel genere umano, specialmente se maschile. Quando un giorno riceve un’inattesa telefonata da un certo Mr Lennyster, figlio di un’importante attrice italiana su cui ha da poco redatto un dossier, è certa di stare per subire una grossa lavata di capo. Invece, l’uomo vuole commissionarle la biografia della madre. Così, ben presto Vivienne si troverà a dover affrontare un’avventura a cui non è affatto preparata: un viaggio in Italia, un libro da scrivere, un uomo affascinante, dolce ma oscuro, e una villa
piena di misteri da risolvere. Tra gaffe, tentativi maldestri di carpire i segreti della famiglia Lennyster, amori e altre catastrofi, Vivienne, inguaribile pessimista, capirà che la vita le sta per riservare una sorpresa inaspettata…
Avevo questo libro già da un po’ di tempo, e lo tenevo da parte per quando avessi sentito il bisogno di una lettura leggera, divertente e frizzante. Non mi aspettavo niente di più di una commedia alla Kinsella per capirci – sarà stato per la copertina rosa shocking, per il titolo o per la trama, che pongono l’accento sulle gaffe e gli incidenti continui che capitano alla protagonista. Mi aspettavo, insomma, una Bridget Jones all’italiana, una sorta di Fantozzi in gonnella in chiave romantica. Ecco! In “Un disastro chiamato amore” tutto questo c’è, ma c’è anche molto di più. E non potete sapere quale gioia sia per me trovare in un romanzo più di quel che credevo. O forse sì, conoscete bene questa sensazione, come conoscete il suo contrario, ovvero come ci si sente quando le aspettative sono alte e vengono parzialmente deluse. Ciò che rende ancora maggiore la soddisfazione nel primo caso è che capita molto più di rado rispetto al secondo, vero?
Ma veniamo al romanzo. Cos’è, dunque, a renderlo più di un chick lit? La leggerezza c’è, ironia a tonnellate, le risate…bhè, sono di quelle che non riesci proprio a trattenere, devono uscire anche se attorno a te le persone ti prendono per matta, e lo fanno a scatti, insistenti, persistenti, fino alle lacrime…o a una corsa alla più vicina toilette. 😀 Quel che invece non troverete in questo libro è la superficialità. Al contrario, agli elementi base del chick lit si fonde una profondità non comune, che rende quest’opera letteraria originale e non del tutto inquadrabile in un genere preciso. Profondità nella psicologia dei personaggi, che non viene descritta ma mostrata attraverso i dialoghi e le interazioni, e mi riferisco a tutti i personaggi presenti nel libro, principali e secondari, ognuno con un suo spessore tridimensionale. Profondità nelle citazioni e nei riferimenti culturali e a fatti reali, frutto sia di ricerche approfondite che del bagaglio culturale dell’autrice. Profondità nell’effetto sul lettore, che riesco a descrivere solo come “terapeutico”, perché niente aiuta come una sana risata accompagnata da una riflessione. Ebbene sì, a me questo libro ha dato anche da pensare, e non solo, mi ha fatto anche immedesimare a tratti con l’imbranata protagonista, le cui vicende saranno pure portate all’eccesso, ma sfido chiunque a non avere nel proprio repertorio di ricordi un paio di figuracce memorabili. E confesso senza vergogna di esser stata anch’io in passato, per mia fortuna per un breve periodo, la classica ipocondriaca che appena avvertiva un sintomo andava a ricercare tutte le malattie a cui questo potesse essere associato, oppure leggeva attentamente il bugiardino prima di assumere qualsiasi medicinale. Paure, ansie, senso di inadeguatezza fin troppo comuni e realistici, che molti vivono sulla loro pelle. A fare la differenza, però, è il modo in cui si reagisce a tali emozioni negative, e Vivienne è tosta, ragazze mie. Anzitutto non è una vittima, è consapevole di essere un disastro vivente, ed è la prima a prenderla con filosofia e una sorta di ironica rassegnazione. Per farvi un esempio, quando in Liguria finisce per la prima volta al Pronto Soccorso, tra la nebbia del dolore e dei farmaci, lei cosa fa? Chiede con insistenza il “bigliettino” dell’ospedale, per inserirne il nominativo nella guida che ha in programma di scrivere, forte della sua grande esperienza: I 1001 Pronto Soccorsi. È stato in quel momento, tra le risa che non riuscivo a frenare, che mi sono innamorata di lei. Vivienne è intelligente, curiosa, sensibile, preparata, certamente non la classica ochetta imbranata, ovvero imbranata sì, ma più che altro sfigata. Lo sa e ci convive, rassegnata a rimanere sola per sempre, a causa di tutto il bagaglio di esperienze negative che si porta dietro dall’infanzia.
E poi c’è Alex, il protagonista maschile, lontanissimo dallo stereotipo di uomo bello e rude che va tanto per la maggiore. Anche lui ha le sue belle gatte da pelare in termini di traumi passati, ma oltre ad essere il classico bello e ricco, è anche dolce, paziente, protettivo, comprensivo, sensibile, un buono a tutto tondo, che anche quando nasconde dei segreti lo fa a fin di bene. Vi chiederete cosa possano avere in comune due mondi e due personalità in apparenza così distanti, la cinica e disillusa giornalista/scrittrice sottopagata e sottostimata e il giovane rampollo di buoni sentimenti. Vi direte che è un romanzo d’amore e figurati se nella realtà succede davvero…Eppure, man mano che ne facciamo una più approfondita conoscenza, li scopriamo più simili di quanto non si possa pensare all’inizio, simili sotto alcuni aspetti, complementari sotto altri, fino a fornirci l’immagine finale di due che si comprendono e completano a vicenda, perfetti l’uno per l’altro.
E come accennavo prima, ci sono tutta una serie di personaggi secondari che non dimenticherete, il maggiordomo Marco “Watson”, Alice sorella di Alex, gli amici francesi di Viv, Ferux, Gregoire e Angy, infine Emily, sulla cui identità e sul legame che la unisce ad Alex l’autrice imbastisce un piccolo giallo nel rosa.
Non vi dirò nulla di come la storia si sviluppa, dovete leggerla e non ve ne pentirete, scorrerà veloce e vi ritroverete alla fine a pensare, come me, “ancora…”. Vi lascio con un breve estratto su Vivienne, la cistite e la compressa di antibiotico:
«Per favore, prendi la pillola.» La afferro con titubanza continuando a squadrarla per altri dieci minuti buoni, rigirandomela tra le dita. Lui aspetta paziente. Alla fine la metto in bocca e inghiotto, poi mi accuccio tra le sue braccia a occhi chiusi, respirando il suo odore rilassante. Conto i secondi: uno, due, tre, quattro, cinque… «Mi sento strana.» Alex sbuffa una mezza risata. «Non sto scherzando, mi sento strana davvero.» Lui si sforza di restare serio. «Del tipo?» «Mi pulsa la mandibola, dove ci sono le ghiandole. Potrebbe essere secchezza delle fauci, ma non so dirlo con certezza: è la prima volta che mi capita questo effetto collaterale.» «Ah…» «Aspetta… E se fosse qualcosa di più grave? Ho l’impressione che mi si stia proprio chiudendo la gola. Alex, non respiro, rischio uno shock anafilattico!» Mi tiro su a sedere e comincio ad ansimare a bocca aperta. «Perché non sei per niente preoccupato? Sto per soffocare!» «Viv, sono passati dieci secondi da quando hai preso quella pasticca, ti deve ancora arrivare nello stomaco. Questo è solo panico.» Lo fulmino con lo sguardo. «Senti, perché non bevi un goccio d’acqua? Magari ti dà sollievo alla gola secca.» Non è una cattiva idea. Prendo il bicchiere che mi porge e bevo un paio di sorsate. «Ha un sapore strano… Sta’ a vedere che mi prende anche la disgeusia.» Alex ha ancora quel sorrisetto fuori luogo sulle labbra. «Cosa sarebbe la disgeusia?» «Distorsione del senso del gusto. Un altro possibile effetto collaterale dell’antibiotico.» «Adesso, però, vieni qui. Mettiti giù tranquilla.»
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