La vita di Kyle Hawkins è alla deriva. Quando viene arrestato per guida in stato d’ebbrezza, possesso di stupefacenti e tentata violenza su una ragazza, il padre lo spedisce nel Vermont ad aiutare il nonno, che ha un negozio di fiori.
La provincia è l’inferno per Kyle che, senza amici, va nell’unico bar della cittadina a ubriacarsi; ma è proprio lì che lavora Katherine Hutchinson, la vicina di casa del nonno con mille problemi, innamorata di Kyle da sempre.
Sarebbe meglio per entrambi stare lontani, ma Kathy è ancora attratta dal ragazzino di quattordici anni a cui ha dato il primo bacio, mentre l’attaccamento di Kyle alla ragazza diventa un modo per scacciare i suoi demoni…
Finalmente Angela ci riporta nel Vermont. Torniamo a Pretty Creek dove, questa volta, viviamo la storia di Kyle e Kathy.
Kyle, giovane anima ribelle e col cuore spezzato per la perdita del fratello, vive la sua vita affogando tutto il suo dolore nell’alcol e nelle compagnie sbagliate. Fino a che il padre, integerrimo giudice, dopo averlo per l’ennesima volta tolto dai guai non gli lascia altra scelta che andare a vivere un anno dal nonno, che gestisce il negozio di fiori di Pretty Creek. Il nonno, Tom Hawkins, è comprensivo quando serve, severo quando deve, ironico a volte, ma saggio come solo un anziano può esserlo.
[…]
«Come fai a saperlo?»
«Questa è Pretty Creek. So anche quante volte al giorno il bastardino della signora Montgomery fa i suoi bisogni, e vive sul lato opposto del paese. Smettila di dire idiozie. Tu hai solo paura».
«Una fottuta paura».
«Che non ti voglia».
«Che non mi voglia, già. Come potrebbe? Sono stato un gran bastardo». Il peggiore fra i peggiori.
«Allora continua pure a nasconderti come un coniglio e lascia che se la prenda lui. Te lo meriti». Il nonno si avvia verso la cucina e si versa una tazza di tè freddo.
«Devo solo trovare il coraggio di… insomma…».
«Insomma, senza alcol in corpo non riesci nemmeno a dire a una ragazza quanto la ami?»
«È più difficile».
«Eppure mi risulta che, anche con l’alcol ad aiutarti, tu non lo abbia fatto». Odio le ovvietà di mio nonno.
«È difficile, nonno».
«Non c’è niente di difficile. Ci sono cose che vanno fatte. Devi solo decidere quanto valga la pena farle. Non è difficile, Kyle. Difficile è vivere con il rimpianto».
«Sei un fottutissimo saggio».
«E tu un fottutissimo coglione, nipote mio».
Katherine “Pelleossa” Hutchinson è una giovane donna con troppe responsabilità. Ragazza madre che alleva con cura e amore il suo piccolo Lucas, lavora nella locanda della città e si occupa della madre depressa e malata.
Il ritorno di Kyle la scuote nel profondo. Il giovane ragazzo è stato il suo primo amore, complici le estati passate insieme quando lui e il fratello passavano le vacanze dal nonno.
Austin Hawkins era il fratello con la testa sulle spalle, l’anima cheta della famiglia, con un lucente futuro già segnato sulle orme del padre: da lui nessuno si sarebbe mai aspettato un colpo di testa come quello che lo ha portato alla morte.
Tutti i personaggi del libro, anche quelli secondari, sono strutturati bene. Segno che l’autrice li conosce nel profondo, e questo emerge perfettamente! Sono credibili, coerenti e in ognuno di loro ci si immedesima con facilità.
Sono stata aiutata nella lettura anche da due altre scelte tecniche che l’autrice ha voluto inserire nel testo: il doppio Pov, che troviamo sempre più spesso, ma che a me piace molto perché mi permette di poter conoscere meglio i protagonisti e l’uso, coerente con la storia e non eccessivo, dei flashback che ci riportano all’estate dei 14 anni di Khaty e Kyle.
Angela racconta storie che diventano un dipinto, senza essere mai pesanti nelle descrizioni.
Mi sono trovata molto spesso a lasciare il negozio di fiori, attraversare la strada e bussare alla porta di Kathy. Ho immaginato il piccolo Lucas corrermi incontro, ed ero Kyle. Ho vissuto le insicurezze di Khaty, la sua delusione davanti alle reazioni incoerenti di lui, ed ero lei.
Ho sofferto con Kyle nel suo percorso di rinascita, perché questo libro mi ha ricordato come il perdonarsi per primi, per le cose che pensiamo siano dipese da noi, sia il primo passo per risalire la china.
“Per sette anni ho incolpato me stesso di tutto, ma ora, pur restando convinto che se ti avessi accontentato e ti avessi riportato a casa quando lo hai chiesto, tu saresti ancora qui, rinuncio a vivere nella gelida convinzione che la colpa sia mia e solo mia.
Potevi restare vivo. Potevi.
Da quando mi hai lasciato è andato tutto a puttane. Ho tenuto duro perché bevevo. Mi sono laureato, ho un lavoro, degli amici stronzi e nella mia vita è tornata una ragazza che ha sempre punto il mio cuore. Il veleno mi ha salvato e mi ha distrutto. Il sollievo è sempre stato un artificio.”
Ho capito la fragilità e il dolore di una famiglia che non trova le parole per affrontare il dolore e non sa dimostrare l’amore che prova per i membri che ancora rimangono, e a cui resta da vivere una vita che si è fatta improvvisamente più difficile. Sono stata una madre che si strugge nel non saper ricucire uno strappo fra persone che si amano, ma che non sono più capaci di dirselo.
«George…». Quello di mia madre è un sussurro. Un’invocazione, quasi.
«Ammetto di avere la mia parte di colpa, ma per il resto, hai fatto tutto da solo», continua mio padre. «Vivi la tua vita come più ti piace, ubriacati fino a morirne, non mi importa. Per quanto mi riguarda sei morto da tempo».
Deve essere questo il dolore che si sente quando si viene trafitti nello stomaco da un coltello. È come se si aprisse una voragine e il dolore si espande come un fiume in piena che rompe gli argini di muscoli e ossa. Non smetto di respirare solo perché mia madre batte un palmo sul tavolo. Lo batte così forte che fa una smorfia di dolore.
«Basta!», esclama. «Basta sul serio, ora». Il suo sguardo si sposta da me a mio padre. I suoi occhi sono colmi di lacrime troppo spesso trattenute. «Digli ciò che pensi sul serio, stupido asino. Digli quello che hai detto a me. Il vostro orgoglio vi porterà lontani l’uno dall’altro e porterà entrambi lontano da me. Non lo sopporto. Ho già perso un figlio ed è come se mi avessero strappato il cuore dal petto. Se perdessi anche solo uno di voi due, ne morirei, va bene? C’è un limite a quello che una donna può sopportare a causa di un uomo!».
Se ne va. Mia madre lascia la stanza e noi a guardare dappertutto tranne che negli occhi dell’altro.
E sono stata anche Khaty, provata dal dolore di un lutto terribile, che deve decidere se credere ancora all’amore, quello vero, o appoggiarsi a un sentimento di semplice affetto ma che dà sicurezza.
Insomma, un libro quasi perfetto, che non annoia e sa coinvolgere. Che ti porta dentro alla storia senza che neanche tu te ne accorga. Che si fa leggere ovunque tu sia, con qualsiasi mezzo: se il reader non c’è, anche sul telefono.
Ultimo, ma non in ordine di importanza, ottimo l’aver ritrovato i protagonisti di “Tutta la pioggia del cielo”: vedere come si è evoluta la loro storia ha dato continuità alla serie e mi ha ricordato la bellezza del primo romanzo.
Grazie Angela per questa storia e per tutte le tue storie. 😉
Recensione a cura di:
Editing a cura di:
Grazie per questa straordinaria recensione e per l’ospitalità sul vostro blog. Grazie di cuore *_*