Alex ha trentaquattro anni e sta per tornare in Italia. Dalla sua casa ad Amsterdam guarda una vecchia foto che lo ritrae adolescente insieme ai quattro amici che allora rappresentavano tutto il suo mondo. Gli stessi che ha abbandonato da un giorno all’altro senza una spiegazione, quindici anni prima. Lui, Melzi, Eva, Torquemada e Rodolfo erano indissolubili, fragili e bellissimi, esseri unici e uniti come alieni precipitati su un pianeta sconosciuto a cui non volevano, non sapevano conformarsi. Poi, qualcosa si è rotto. Ora che Alex sta per affrontare il passo più importante della sua vita, prima di chiudere i conti con quel passato e con la causa della sua fuga, ha bisogno di rivederli perché sente di dover confessare loro la verità. Una verità che lo ha portato ad un punto di non ritorno oltre il quale, di Alex, non resterà più nulla. Per Eva, Alex è stato il grande amore, per Rodolfo il rivale-amico che aveva rubato il cuore della ragazza di cui era innamorato, per Melzi un dio messo su un piedistallo, per Torquemada un enigma da risolvere. Nessuno è mai riuscito a superare il dolore di quell’abbandono che ha alterato il corso delle loro vite. Per questo, nonostante tutto, decidono di accettare l’invito di Alex a trascorrere tre giorni nella sua casa in campagna – meta e rifugio di tanti momenti passati insieme. Ma quando vi arriveranno, la rivelazione che li attende sarà infinitamente più scioccante di quanto avessero mai potuto immaginare. Sarà solo l’inizio di un weekend fatto di verità e confessioni, pianti e risate. Al loro risveglio, il lunedì mattina, nulla sarà più lo stesso. Un romanzo appassionato sulla forza dell’amicizia oltre il tempo e le metamorfosi, sul dolore e la meraviglia del diventare adulti, e sulla possibilità di essere, anche solo per un giorno, gli eroi della propria vita.
Vi ricordate “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” di Enrico Brizzi?
Bene, “Quando eravamo eroi” di Silvio Muccino ha più di un debito morale nei confronti di quello che è stato un romanzo cult per un paio di generazioni, a partire proprio dal nome del protagonista, Alex, e da tutta una cultura pop di riferimento, fatta di musica, droga e paura del “grande volo.”
Il “vecchio Alex” di Brizzi aveva diciassette anni, l’Alex di Muccino, meno letterario e più cinematografico, di anni ne ha più di trenta e anche lui sta per compiere un ultimo passo: tornare a casa, da cui manca da ben quindici anni, e rivelare al gruppo dei suoi amici più cari, gli Alieni, il motivo di quella fuga.
Quindici anni, però, sono una vita: Alex non è lo stesso che gli altri ricordano e non lo sarà mai più dopo quell’incontro, ma anche Melzi, Eva, Torquemada e Rodolfo sono soltanto le copie dei ragazzi bellissimi e fragili che lui ha conosciuto e con cui ha diviso sogni, paure e sofferenze.
Melzi, la cui paura atavica era di essere abbandonato, è schiavo di un matrimonio tossico, deriso e irriso da moglie e suocero strozzino; Eva ha sposato Rodolfo, pur amando Alex, e entrambi sono la ferita suppurante che tiene in vita l’altro; Rodolfo è diventato la copia del padre, l’incarnazione della sua idea di fallimento, è ricco, triste e incattivito: ama Eva e la tradisce con escort in alberghi da quattro soldi per godere anche di quel senso di svilimento totale. E Torquemada che ha vissuto una parentesi da scrittore, pubblicando un romanzo sulla storia di quei bellissimi alieni, vive con la madre, incapace di diventare adulto, senza ispirazione e speranza.
Voltandosi indietro tutti sembrano provare un’invincibile attrazione nei confronti del loro passato e una profonda mancanza per quel presente che li ha traditi, o che loro hanno tradito.
La richiesta di Alex di rivedersi nella vecchia casa che fungeva da porto franco nella loro adolescenza ha un che di doloroso e drammatico e tutti pensano che si tratti della rivelazione di una malattia mortale. Alex era il collante, l’anima del loro gruppo, capace di portare in superficie stima, amore, e resilienza in ognuno di loro; la sua fuga è stata molto più di una perdita, di un tradimento. Tutti si sono ritrovati improvvisamente monchi e adulti, senza il catalizzatore delle loro forze. Lo hanno amato, lo odiano, eppure non si sentono liberi di negargli quell’incontro. L’unico che vorrebbe farlo, Rodolfo, è costretto a presentarsi perché Eva aspetta da una vita un confronto con Alex.
“Ti amo così tanto che non mi basta averti. Vorrei essere te”.
Tra ricordi e accuse, quello che Alex rivelerà loro metterà fine al passato fin troppo idealizzato e allo stesso Alex.
Leggere “Quando eravamo eroi” è come assistere alla proiezione di un film dei fratelli Muccino, uno a caso, di Silvio o del ben più celebre Gabriele, tanto il taglio dato alla narrazione sembra avvalersi di una serie di espedienti capaci di fissare sui singoli personaggi delle inquadrature cinematografiche.
L’impianto narrativo diventa così una messa a fuoco che, pur basandosi sugli Alieni, carica la figura di Alex di significati e aspettative. Troppe aspettative che, alla fine, si sgonfiano e finiscono in “caciara” proprio da commedia agro-dolce all’italiana.
In definitiva, siamo davanti a un romanzo gradevole, dalla scrittura piana, ma il testo appare grossolano, specie nella seconda parte, come mancasse di una rifinitura, a cominciare dalla bulimica presenza di segni di interpunzione gettati a manciate (“Cosa???”; “Finalmente!!!”; “Eccola!!!”; “Melziiiiii!!!!!”) per finire a una resa dei conti grottesca e spettacolarizzata in chiave politicamente corretta.
Recensione a cura di:
Editing a cura di:
Commenti
Nessun commento ancora.