Il reporter John Schuyler Moore riceve la chiamata inaspettata di Laszlo Kreizler – psicologo e “alienista” –, un suo amico di vecchio corso. Il dottore lo prega di raggiungerlo al più presto per assistere al ritrovamento di un cadavere. Il corpo è stato orrendamente mutilato e poi abbandonato nelle vicinanze di un ponte ancora in costruzione. La vista di quel macabro spettacolo fa nascere nei due amici un proposito ambizioso: è possibile creare il profilo psicologico di un assassino basandosi sui dettagli dei suoi delitti? In un’epoca in cui la società considera i criminali geneticamente predisposti, il giornalista e il dottore dovranno fare i conti con poliziotti corrotti, gangster senza scrupoli e varia umanità. Scopriranno, a loro spese, che cercare di infilarsi nella mente contorta di un assassino può significare trovarsi di fronte all’orrore di un passato mai cancellato. Un passato pronto a tornare a galla di nuovo, per uccidere ancora.
L’Alienista ci immerge subito in una New York molto diversa da quella che immaginiamo o conosciamo. È il 1896: New York è una città ancora in crescita, con grandi disparità sociali e degrado. Una città in cui la corruzione della polizia è elevata e tutta la società è caratterizzata da ingiustizia e razzismo. In un simile contesto, la morte di un ragazzo di colore che si prostituiva non è nemmeno degna di interesse.
All’interno di questo scenario, si muovono dei personaggi che spiccano per la loro modernità e apertura mentale, pur rimanendo perfettamente nel loro contesto. Oltre allo psicologo/alienista Kreizler, uomo dedito alla scienza, deciso a superare i limiti delle teorie del suo tempo per penetrare davvero l’animo umano e capire cosa spinge soggetti apparentemente normali a commettere orrendi delitti, vediamo Theodore Roosevelt (sì, proprio il futuro 26° Presidente degli Stati Uniti) che ha deciso di combattere la corruzione della polizia senza mezze misure, assumendo giovani e brillanti investigatori. Li affianca un giornalista, John Schuyler Moore, una figura che mi ha ricordato Watson, fidato braccio destro di Sherlock Holmes, per il suo rappresentare la ragionevolezza dell’uomo normale e per la sua capacità di arginare la “folle” genialità incarnata da Kreizler. È un uomo intelligente, capace di osservare, e rappresenta un’importante risorsa nell’investigazione.
La caccia all’uomo raccontata è terribile e ci svela pian piano come i serial killer siano potenzialmente al nostro fianco. Bello il passaggio nel quale Kreizler spiega il suo punto di vista.
Kreizler sottolineò che era inutile considerare l’assassino un mostro in quanto, uomo o donna che fosse, un tempo era stato bambino. Il nostro compito era innanzitutto arrivare a conoscere quel bambino, i suoi genitori, fratelli, sorelle e il mondo in cui era vissuto. Tirare in ballo il male, la barbarie e la follia era una sciocchezza, perché nessuno di questi concetti ci avrebbe mai avvicinati a lui. Se, al contrario, fossimo riusciti a catturare un’immagine di quel bambino, forse saremmo riusciti a catturare il nostro uomo anche nella realtà.
Sono le basi del lavoro dei profiler, ora molto più familiare al grande pubblico grazie a libri, ma soprattutto a film e telefilm. In questa storia la psicologia forense è in embrione, se ne sente la necessità, ma ancora troppi preconcetti devono essere scalzati perché si possa giungere a una teoria utile. Kreizler tenta di superare i limiti delle teorie passate, risultando un osservatore esterno, a tratti impietoso, in grado di mettere insieme i tasselli del puzzle.
Il tutto narrato in una città cupa e fumosa, caratterizzata dallo squallore degli edifici fatiscenti, dai bordelli che si fa finta di non vedere e da una cultura sfavorevole nei confronti delle donne.
Un libro affascinante e insolito, che non può non piacere a chi ama i thriller psicologici, con la particolarità dell’ambientazione storica, che partendo dalle basi di questa nuova scienza conduce per mano il lettore nella mente del killer, nell’atroce meccanismo che porta alla violenza, qualcosa di ancora più terribile della follia stessa.
«Medici, giornali, giudici, preferiscono pensare che solo un pazzo possa sparare a una bambina di cinque anni. Perché, se si è costretti ad accettare l’idea che la nostra società produce individui sani di mente capaci di commettere atti del genere, si creano delle… difficoltà».
Nel frattempo ci godiamo la nascita di New York, con i suoi esordi cupi, ma che è già in nuce la città cosmopolita che diventerà nei decenni successivi.
Un romanzo intenso, ma assolutamente da leggere.
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