«E questo dove sta scritto?»
«Da nessuna parte: è la legge del Drago. Se non la rispetti ti spezzo le ossa.»
Lorenzo Visconti, detto il Drago, è un poliziotto della questura di Milano che dopo essere stato incastrato per un delitto che non ha commesso, vede andare in frantumi la propria carriera. Rilasciato in attesa di processo ha un solo obiettivo: scoprire il vero colpevole.
Senza lavoro e senza prospettive, non gli resta che mettere l’esperienza e il fiuto da ex sbirro a disposizione del miglior offerente, legale o illegale che sia.
Quando però viene assunto per indagare sull’apparente suicidio di una ragazzina in un parco, si trova invischiato in una storia più grande di lui che lo proietta in un incubo di marciume e violenza. A coprirgli le spalle la sua ex collega Lara Serrano e Jamel Blanchard, un francese dalla pelle scura con la fissa per le nuove tecnologie.
La legge del Drago è un noir dai toni forti, in una Milano corrotta e spietata, nel pieno di una crisi economica che sta per devastare le esistenze di molti.
La legge del Drago ci catapulta senza nessun preavviso dentro la vita di Lorenzo Visconti, appena uscito dal carcere di San Vittore per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Il suo soprannome deriva da una canzone di Giorgio Gaber, tributo che mi è piaciuto trovare in un libro.
Il Drago è un ex poliziotto dai metodi bruschi e dal linguaggio colorito; un poliziotto che non ha mai avuto paura di usare un po’ di violenza per ottenere il fine della giustizia. Il suo mondo è una continua lotta per la sopravvivenza, in una Milano cupa e sporca in molti sensi.
La vetrina è così lurida che, ci scommetto, non vede un panno umido dalla Seconda guerra. All’interno del bar, comunque, nessuno sembra preoccuparsene; fuori nemmeno: le auto in piazza Gobetti continuano col loro infinito flusso. Coda al semaforo, coda al tunnel della stazione, coda nei cervelli degli umani in auto.
In maniera del tutto illegale, viene coinvolto nell’indagine sul presunto suicidio di una ragazzina, ma allo stesso tempo non riesce a non continuare sue personali ricerche su una questione che sembra coinvolgere molti personaggi di spicco.
Lorenzo Visconti è un personaggio caratterizzato con forza, nel linguaggio, negli atteggiamenti, nell’ironia amara. Lo si ha a fianco per tutto il libro, quasi reale e ci si appassiona alle sue vicende nonostante i metodi non sempre ortodossi.
«Mi sembra perfetto, Jam.»
«Ne dubitavi?»
«Nemmeno per un istante. Anche perché se non mi avessi aiutato ti avrei spezzato un braccio.»
«Sai una cosa Drago? Dovresti lavorare sul tuo modo di ringraziare il prossimo. Così è un po’ greve.»
Non è un personaggio positivo, ma nemmeno negativo, viaggia in quella zona d’ombra del ‘fine giustifica i mezzi’ di quando combatti contro avversari che le regole non le rispettano. Può piacere o no, ma è vero e reale e, in fondo, lo possiamo capire nel suo desiderio di arrivare in fondo a una vicenda che pagina dopo pagina si rivela sempre più agghiacciante.
Intorno a lui si muovono altri personaggi, da Jam, simpatica canaglia, alla poliziotta Lara con la quale ha una relazione passionale, ma… può davvero fidarsi di lei? Ma anche altre comparse danno un tocco di colore in più.
«Come è andata al gabbio?» mi chiede mentre ci stringiamo la mano.
«Alti e bassi. E sono diventato vegetariano.»
«Be’, tu sei un genio, Drago. In genere si diventa ricchioni.»
«Ti sarebbe piaciuto, vero?»
«Eccome.»
La narrazione scorre veloce, pulita e con un linguaggio adatto al genere, nei termini, nella rapidità delle azioni, nel suo non essere politically correct, con personaggi che non celano di essere un po’ razzisti.
La narrazione non annoia, ma non è nemmeno così veloce da risultare superficiale. La città che fa da contorno, protagonista essa stessa, si può quasi toccare, annusare.
La legge del Drago è un buon romanzo e l’ambientazione italiana lo rende più accessibile al lettore e gli toglie il senso di già visto di troppi libri o telefilm statunitensi. La vicenda è credibile e molto legata al territorio in cui si svolge e alle sue magagne, mostra impietosamente quanto marcio si possa celare sotto qualunque attività, anche all’apparenza pulita e quanto ogni persona, indipendentemente dal ruolo che occupa, possa essere vittima di un’avidità che spinge a commettere azioni non solo fuori dalla legalità, ma spesso persino dal buon senso.
Recensione a cura di:
Editing a cura di:
Commenti
Nessun commento ancora.