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«Un paio di occhi dorati brillavano nella boscaglia accanto a me. La foresta era silenziosa. Il vento non soffiava più. Persino la neve aveva smesso di scendere. Quel lupo era enorme. Il petto mi si strinse fino a farmi male. E in quell’istante mi resi conto che la mia vita dipendeva da una sola domanda: era solo? Afferrai l’arco e tirai indietro la corda. Non potevo permettermi di mancarlo. Non quando avevo una sola freccia con me.»
Una volta tornata al suo villaggio dopo aver ucciso quel lupo spaventoso, però, la diciannovenne Feyre riceve la visita di una creatura bestiale che irrompe a casa sua per chiederle conto di ciò che ha appena fatto. L’animale che ha ucciso, infatti, non era un lupo comune ma un Fae e secondo la legge «ogni attacco ingiustificato da parte di un umano a un essere fatato può essere ripagato solo con una vita umana in cambio. Una vita per una vita».
Ma non è la morte il destino di Feyre, bensì l’allontanamento dalla sua famiglia, dal suo villaggio, dal mondo degli umani, per finire nel Regno di Prythian, una terra magica e ingannevole di cui fino a quel momento aveva solamente sentito raccontare nelle leggende. Qui Feyre sarà libera di muoversi ma non di tornare a casa, e vivrà nel castello del suo rapitore, Tamlin, che, come ben presto scoprirà la ragazza, non è un animale mostruoso ma un essere immortale, costretto a nascondere il proprio volto dietro a una maschera. Una creatura nei confronti della quale, dopo la fredda ostilità iniziale, e nonostante i rischi che questo comporta, Feyre inizierà a provare un interesse via via più forte che si trasformerà ben presto in una passione dirompente.
Quando poi un’ombra antica si allungherà minacciosa sul regno fatato, la ragazza si troverà di fronte a un bivio drammatico. Se non dovesse trovare il modo di fermarla, sancirà la condanna di Tamlin e del suo mondo…
Avevo ucciso un Fae. Ecco cosa avevo fatto.
Mi venne la gola secca. Avevo ucciso un Fae. Non riuscivo a sentirmi in colpa. Non dopo aver lasciato la mia famiglia a morire di fame e non se pensavo che c’era una creatura malvagia e orribile in meno al mondo.
“Corte di rose e spine” è una fiaba. Una fiaba splendidamente scritta, ma comunque una fiaba. Le vicende rievocano moltissimo le storie che ci leggevano da piccoli, ma non è un difetto, anzi, riporta a un mondo e un tipo di immaginazione che forse abbiamo perso. Ma così va visto, nelle scelte, nei personaggi, nelle dinamiche.
Cominciamo dalla protagonista: Feyre. Feyre è una giovane donna, che vive con due sorelle maggiori e un padre che non è più in grado di occuparsi della sua famiglia. Caduti in disgrazia, la famiglia sopravvive quasi esclusivamente grazie alle abilità di cacciatrice di Feyre.
E quindi conosciamo questa ragazza che, nonostante la presenza dei familiari, è sola. È come se le persone che vivono con lei non si rendessero davvero conto della loro situazione, le sorelle immerse nei loro desideri a volte egoistici di bei vestiti o nei sogni di un matrimonio d’amore, il padre soffocato dalla sua autocommiserazione perché dopo essere stato brutalmente pestato è rimasto zoppo.
Feyre quindi non ha tempo per niente che non siano le responsabilità che si è assunta.
Quando viene portata nel regno dei Fae, non ha idea di cosa l’aspetti, i suoi pensieri sono alimentati solo dai pregiudizi che ha verso le creature fatate e la paura di mettere in pericolo la sua famiglia.
Alla Corte di Primavera si trova davanti al misterioso Tamlin e a Lucien, che nonostante le sembri ostile all’inizio, si rivela l’unica fonte di conversazione e informazioni, quasi un amico.
Ma tutta la crudeltà che si aspettava di trovare non c’è.
Tamlin è un ospite gentile e onorevole, che la trattiene soprattutto facendole intuire che non esiste per lei posto più sicuro della sua tenuta.
La Corte è come ferma in un istante senza tempo, Tamlin combatte misteriosi avversari mentre nella tenuta nulla sembra cambiare mai.
Le atmosfere sono avvolgenti e, in questa fase del romanzo in cui le vicende procedono con calma (ma non per questo con noia), è attraverso gli occhi di Feyre che adora l’arte che possiamo immergersi nello splendore della casa e del giardino.
La proprietà si estendeva lungo un terreno verde e ondulato. Non avevo mai visto nulla del genere; persino la nostra villa non reggeva al confronto. Quella davanti a me era ricoperta di rose ed edera con diversi patii e balconi che spuntavano dai lati in alabastro. La tenuta si trovava accanto a un bosco, ma era così vasta che riuscivo a malapena a vedere la foresta in fondo. C’era così tanto colore, talmente tanto sole e movimento e sostanza… che non riuscivo ad analizzare tutto in fretta. Dipingere quel paesaggio sarebbe stato inutile, non gli avrebbe mai reso giustizia.
Feyre ha tempo di pensare, di superare i suoi preconcetti nei confronti dei Fae e di Tamlin, ma anche e soprattutto su se stessa. Lo stesso Tamlin deve affrontare un percorso, mentre si difende dalla minaccia costituita da Amarantha. Tamlin come Feyre è solo, anche se circondato da molte persone. È un contatto tra due anime sole quello che avviene, giorno per giorno, in piccoli dettagli, nel condividere la bellezza ma soprattutto nella comune senso di responsabilità per le persone che sentono di dover proteggere.
Sollevò il piccolo quadro della foresta innevata e lo esaminò ancora. «Ho avuto molte amanti» ammise. «Fate di nobile nascita, guerriere, principesse…» A quel pensiero una rabbia mi assalì dal profondo delle viscere. Ero infuriata per i loro titoli, l’aspetto sicuramente attraente, e l’intimità condivisa con lui. «Tuttavia non hanno mai capito cosa significasse per me prendermi cura della mia gente, della mia terra. Quali cicatrici ci sono ancora, ciò che provo in certe brutte giornate.» Quella gelosia feroce svanì come rugiada al mattino mentre sorrideva davanti al mio quadro. «Questo invece mi ricorda una cosa.»
«Cosa?» sussurrai.
Abbassò il dipinto e mi guardò dritto negli occhi. «Che non sono solo.»
Feyre quindi verrà coinvolta in una battaglia che mai avrebbe pensato di fare sua.
«Come pensi di aiutarlo? Lui è un Signore Supremo, tu solo un’umana.» Non era un’offesa neanche quella. Ma la domanda di una mente che calcolava tutto freddamente.
«Non mi importa» ammisi giunta accanto all’uscio, spalancandolo. «Però devo provarci.»
La storia d’amore ovviamente non sorprende, essendo il romanzo ispirato a “La bella e la bestia”, ma nonostante tutto intriga e appassiona. Delineata da una sensualità presente ma delicata, la relazione tra Feyre e Tamlin è essa stessa parte del percorso che i personaggi devono compiere mentre lottano contro una male che incombe. Questo non li rende banali personaggi perfetti, rimangono veri e sfaccettati in una rappresentazione in cui le creature fatate non sono certo idealizzate.
Amore e azione sono ben bilanciati nella narrazione, insieme a riflessioni e tocchi poetici.
La presenza di qualche personaggio secondario interessante dà un ulteriore pizzico di vivacità, ma non vi anticipo nulla…
Per quanto, come già detto, la struttura sia fiabesca, l’autrice riesce a rendere il romanzo affascinante ed emozionante, frutto anche di uno stile splendido e molto evocativo.
Recensione a cura di:
Editing a cura di:
e poi c’è Rhys! Una bella fiaba davvero