Farway Gaius McCarthy non è un ragazzo come gli altri. Tutti lo considerano uno strano prodigio. Figlio di una viaggiatrice del tempo del 2354 d.C. e di un gladiatore dell’Antica Roma, la sua esistenza è un evento straordinario che al contempo distorce e infrange le leggi della natura. Perché Far è nato fuori dal tempo. Ostinato, inquieto, dall’animo indomabile, il ragazzo fin da bambino ha un unico incontenibile desiderio: vivere l’esperienza frastornante di tuffarsi in epoche sempre diverse e provare quel miscuglio di vertigine, shock e déja-vu che solo incontrare la storia faccia a faccia può dare. Per questo studia per seguire le orme materne e diventare un documentatore, un viaggiatore del tempo che, per conto del governo, viene spedito nelle epoche passate a osservare e registrare gli eventi storici. Subito dopo aver fallito, inspiegabilmente, l’esame finale del corso, Far viene contattato da un trafficante di opere d’arte che gli offre la possibilità di continuare a inseguire il suo sogno. Il ragazzo avrà a disposizione una macchina del tempo e, davanti a sé, secoli e secoli da esplorare. In cambio però dovrà mettere in piedi una squadra con la quale viaggiare clandestinamente di epoca in epoca per rubare oggetti e manufatti preziosi. Un anno dopo, durante l’ennesima missione, dopo essere rimbalzati dall’Europa nazista all’America selvaggia di Davy Crockett al Vaticano michelangiolesco, Far e la sua squadra incappano in Eliot, una solitaria ragazza dalla pelle chiarissima e dalle origini misteriose che metterà in discussione l’esistenza stessa del ragazzo e di lì a poco trascinerà lui e i suoi amici in una missione pericolosissima nell’Antica Roma, dove la storia di Far ha avuto inizio. Una corsa disperata contro il tempo per impedire che il mondo si spenga. E con esso qualsiasi speranza per il futuro.
«Sono Farway Gaius McCarthy, figlio di Empra McCarthy. Data di nascita non disponibile. Con l’atemporalità nel sangue e nessun posto nel cuore. Nato sulla Ab Aeterno, ab aeterno. Sono a una sola Sim di distanza dalla totalità del tempo».
Far è un viaggiatore nel tempo. O forse, più correttamente, un pirata del tempo. Fuori dalla legge e dalle regole, con la sua nave Invictus e il suo fidato equipaggio, salta nel tempo alla ricerca di opere d’arte o altri oggetti smarriti nella storia, affondati, bruciati o comunque di cui si sono perse le tracce.
Durante la missione sul Titanic, nella famigerata notte dell’affondamento del transatlantico inaffondabile, succede qualcosa di inspiegabile.
Tornò a guardare i pallidi numeri sullo schermo, fece un respiro profondo e li controllò di nuovo. Ruotare, spostare, non proprio risolvere…
Uno dei numeri cambiò.
Se Gram non l’avesse visto accadere con i propri due occhi, non avrebbe mai creduto che una cosa del genere fosse possibile. Anche se la fisica dei viaggi nel tempo era una faccenda contorta, complicata, con regole proprie, i sei non potevano diventare degli otto in quel modo. I numeri delle equazioni non potevano cambiare, secondo le leggi dell’universo.
Non potevano, ma l’avevano fatto.
Questa anomalia insieme alla comparsa di Eliot, misteriosa ragazza anche lei viaggiatrice del tempo, trasforma la relativa routine della Invictus in un viaggio verso l’ignoto e una lotta contro una forza distruttiva che annienta gli universi.
A questo punto l’idea mi piaceva, mi piaceva tanto. Ero passata sopra ai personaggi con poco spessore, quasi caricaturali: un Far sbruffone, una Imogen caratterizzata quasi esclusivamente dal cambio quotidiano del colore dei capelli, il cubo di Rubik di Gram, il tè di Priya.
Personaggi giovanissimi, poco più che adolescenti, che nel voler essere geniali e comunque giovani risultano contraddittori, a momenti maturi e poco dopo ragazzini impacciati di fronte alla prima cotta senza che ciò si amalgami in qualcosa di vivo, credibile.
L’idea di questa minaccia, di cui solo Eliot (il personaggio meglio riuscito secondo me, anche se non subito simpatica) sembra capire qualcosa, è comunque intrigante e costringe ad andare avanti. Ma man mano che si prosegue il libro rivela una debolezza dopo l’altra, a sfaldare l’ordito su cui è stato costruito invece che consolidarlo. Spiegazioni volutamente confuse, momenti che non risultano chiari, forse nel tentativo di dare un tono a spiegazioni che dallo scientifico rischiano di trascendere nella tecno-fuffa.
Non sono una lettrice che vuole una spiegazione scientifica per tutto, intendiamoci, io apprezzo anche premesse assolutamente irreali, ma il mondo che mi costruisci sopra deve rispettare queste premesse anche se scientificamente irrealizzabili. Qui ho avuto la sensazione, specialmente verso la fine, che si sia voluto dare un certo tipo di tono alla narrazione abbandonando ogni pretesa di logica.
Come l’aggiunta dei cenni di storie d’amore presenti nella narrazione, troppe soluzioni e scene risultano forzate dando complessivamente l’idea di un romanzo immaturo.
L’autrice scrive bene, le ricostruzioni storiche sono affascinanti e appunto il canovaccio di base è molto interessante. Non si può dire che leggerlo sia uno spreco di tempo, la lettura ti trascina pagina per pagina perché rimane comunque imprevedibile fino alla fine. Ma forse da questa autrice dopo una ucronia distopica come Wolf, in cui tutto si incastra alla perfezione e i personaggi saltano fuori dalle pagine, ci si aspettava decisamente di più.
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