Lo sanno tutti che le apparenze ingannano. Eppure non c’è nessuno che, vedendomi, non mi prenda per un attaccabrighe, una bestia. Il fatto che io sia alto e pieno di tatuaggi devia completamente l’attenzione della gente. In realtà, ho sempre dato molto più peso al cervello che ai muscoli. Anche se non ho scelto di usarlo nel modo più rispettabile. Non sono uno stupido supereroe né un bravo ragazzo. Ho voltato le spalle alla dignità e ho venduto la mia anima al miglior offerente. Uno che non sa salvare neppure se stesso, come potrebbe aiutare gli altri?
Noe Lee è entrata nella mia vita come un fulmine. Brillante ma indisciplinata, capace di muoversi nei bassifondi addirittura meglio di me. Era fastidiosamente adorabile, ma era nei guai. E i guai di qualcun altro non sono mai stati affari miei.
Così, le ho sbattuto la porta in faccia. E dopo che è sparita è bastato un secondo perché capissi che la rivolevo indietro. Quando realizzi di desiderare così disperatamente qualcuno, non ti chiedi cosa sei disposto a fare. Segui l’istinto e basta.
Ve lo dico con molta franchezza, questa è una bella storia, scritta come sempre benissimo, eppure… c’è un ma che non mi ha consentito di goderne a pieno. Forse un po’ di colpa è anche mia, per il fatto che attendo da tanto tempo – dal libro di Race e Brysen, “Big Love” – di scoprire come evolverà il sentimento che lega la piccola Karsen all’ex galeotto Booker, e invece dopo “Big Love” abbiamo avuto “Love Forever”, poi “Honor”, ora “Instinct”, tutti molto belli e meritevoli, certamente, ma curiosa io e poi odio, odio, odio le attese. Insomma cara Jay, ce lo stai facendo sudare tanto “Respect” – titolo originale del libro in questione, la cui data di pubblicazione in italiano è ancora ignota. Eppure no… non è di certo la mia ansia da stalker a impedirmi di dare il massimo delle stelle a “Instinct”. Quale sia l’unica critica che mi sento di fare, però, ve lo svelerò solo alla fine della recensione.
Ad ogni modo, due bei personaggi sono i protagonisti di questo romanzo, Snowden Stark e Noe Lee, il genio dell’informatica, ex ragazzo prodigio e la giovane hacker che vive per strada. Entrambi sono dei sopravvissuti, con la differenza che Noe è una combattente, che non si è mai arresa alle terribili esperienze che si è trovata a sopportare nella sua giovane vita e che oltre ad aver combattuto per sé, combatte ancora per chiunque subisca soprusi e si rivolga a lei per nascondersi o fuggire. Al contrario Snowden, dopo aver vissuto esperienze ancora più agghiaccianti e tragiche, si è chiuso in se stesso, raffreddando emozioni e sentimenti; mantiene un basso profilo e non combatte più né le sue battaglie né quelle altrui, in special modo quelle che ritiene di non poter vincere. Più che vivere, vegeta, ed è un vero spreco delle sue enormi capacità.
Lei era forte, infrangibile e indistruttibile. Non volevo assolutamente che sapesse quanto fossi fragile, sgretolabile e pronto ad andare in frantumi anche al minimo tocco. Se avesse saputo quanto ero debole, non si sarebbe mai affidata a me per farsi tenere al sicuro.
Quando Noe bussa alla porta di Spark, a chiedergli aiuto per uscire dalla pericolosa situazione in cui si è cacciata – aiutare a fuggire con una nuova identità una ragazzina che veniva violata da anni dal suo patrigno, il sindaco della città – egli si rifiuta. Poco dopo Noe scompare. Stark sa che è stata catturata, sa che cercheranno di estorcerle le informazioni di cui è in possesso per poi ucciderla, e il senso di colpa manda in tilt il sistema operativo del freddo e logico Snowden. Ed è così che ha inizio il risveglio del guerriero, non un eroe, non un cattivo, o forse una via di mezzo tra l’uno e l’altro, in una città in cui i confini fra bene e male sono più sfumati che altrove, una città in cui per giudicare la bontà di una azione, non bisogna guardare al mezzo ma esclusivamente al fine, e anche in tal caso non sempre il fine è univocamente buono e altruistico, ma va a combinarsi con convenienze e interessi privati. Questo succede quando Stark si rivolge a Nassir per liberare Noe prima che sia troppo tardi, perché è così che sono fatti gli uomini di The Point, partendo da Bax, passando per Race e Nassir, per arrivare a Booker e Snowden, con l’unica eccezione di Titus, che incarna più di tutti gli altri la figura dell’eroe, disposto anche lui a scendere a compromessi in nome della giustizia, ma mai per un profitto personale.
I nostri pseudoeroi riescono dunque nell’impresa di liberare Noe, ma non è finita lì: bisogna trovare un modo per fermare chi ancora è una minaccia per la sua vita e a questo penserà il nostro cervellone palestrato, che intanto ha capito di volersi prendere cura della piccola hacker, la quale, dopo avergli messo a soqquadro casa e pensieri, è riuscita ad arrivare anche al suo cuore.
Non ero più solo, non ero più un sonnambulo, ero sveglissimo e presente in ogni singolo istante. Noe mi aveva restituito un obiettivo, mi aveva ricordato il mio valore. Continuava a ripetere di essersi ripresa la sua dignità, ma io le avevo spiegato che non l’aveva mai persa. Era la persona più dignitosa che avessi mai conosciuto. Mi aveva convinto che fossi speciale, non perché ero sempre il ragazzo più intelligente, o il più grosso o il migliore, ma perché ero io. Non le importava che spesso fossi silenzioso e smarrito nei miei pensieri. Non le importava che non fossi gentile o sofisticato. Non scappava dai miei incubi o dal fatto che il mio debole cuore faticasse a tenere il passo con lei.
Non dovete pensare che la storia sia tutta qua, non vi ho rivelato che la prima parte sarà ancora lungo il cammino di Noe Lee e Snowden Stark per riprendersi la loro dignità, tante cose dovranno succedere, tante scelte dovranno maturare. Ricordatevi il termine che ho usato, dignità, perché sarà la parola chiave per interpretare la loro storia, e corrisponde anche al titolo originale del romanzo.
Vengo ora a ciò che mi è piaciuto e ciò che invece ho gradito meno. Ho gradito come sempre la scrittura della Crownover, poi l’articolarsi della storia, i caratteri dei due protagonisti, la presenza nel libro di molti dei personaggi dell’intera serie, ovvero Titus, Nassir e Booker, che oltre all’assente Bax, sono i miei personaggi maschili preferiti di The Point. Race… beh, Race fa una comparsata quasi a fine romanzo, utile per introdurre il prossimo libro, e niente… antipatico mi era, più antipatico mi è adesso, oh! Spero che Brysen lo metta a pane e acqua… ci siamo capite 😉 .
E vengo infine all’unica nota dolente per me. Premetto che amo l’introspezione, entrare nella testa e nel cuore dei personaggi quando meditano su se stessi, sui loro errori, le contraddizioni, i timori, le paure, il prendere atto che qualcosa sta cambiando, fino alle loro vittorie interiori, ma sono anche costretta ad ammettere che il troppo stroppia. E qui cara Jay, hai davvero a mio parere esagerato, creando uno squilibrio tra le parti: l’azione è perfetta, dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo, lo stesso dicasi per le scene più sensuali, scarsissimi invece i dialoghi, sbilanciati a favore di quella che più che essere introspezione, mi ricorda un continuo rimuginio, con l’aggravante di girare spesso attorno agli stessi concetti. Tutto questo, oltre a rallentare di molto il ritmo, a tratti quasi fino alla noia, mi innesca anche un certo disappunto, tanto da aver voglia di gridare: «Ho capitooo!!! E che diamine!».
Ecco! Credo di avervi detto tutto. Perciò, in conclusione, consentitemi un appello alla Crownover: «Carissima, per favore, peffavorissimo, in “Respect” più interazione tra i due, meno rimuginii. E basta coi Pinocchio e la fata Turchina, il mago di Oz e l’uomo di latta… Detto una volta, che bisogno c’è di ripetersi per tutto il libro… I tuoi romanzi sono la mia coperta di Linus preferita… fai in modo che non diventino un piumone. I love you, Jay».
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