Palermo, 1847. Lucia Salvo ha sedici anni, gli occhi come «due mandorle dure» e una reputazione difficile da ignorare: nella sua città, Siracusa, viene considerata una «babba», ossia una pazza. La nomea le è stata attribuita a causa del «fatto», ovvero il ricorrere di improvvise e violente crisi convulsive, con conseguente perdita della coscienza. Il «fatto» aleggia sulla vita di Lucia come un’imminenza sempre prossima a manifestarsi, un’ombra che la precede e di cui nessun medico ha saputo formulare una diagnosi, a parte un tale John Hughlings Jackson che al «fatto» ha dato un nome balordo: epilessia. Un nome che le illustri eminenze mediche siciliane hanno liquidato con una mezza alzata di spalle. Per volontà della madre, speranzosa di risanare le sorti della famiglia, Lucia viene mandata a Palermo a servizio presso la casa dei conti Ramacca. Un compito che la «babba» accetta a malincuore, sapendo che il Conte figlio si è fatto esigente in tema di servitù femminile. Da quando, infatti, in lui prorompe la vita di un uomo, l’intera famiglia si è dovuta scomodare a trovargli serve adatte alla fatica, ma anche, e soprattutto, agli esercizi d’amore. Stufo delle arrendevoli ragazze che si avvicendano nel suo letto, il Conte figlio è alla ricerca di una donna che per una volta gli sfugga, dandogli l’impressione che la caccia sia vera e che il trofeo abbia capitolato solo per desiderio. O, meglio, per amore. Quando il nano Minnalò, suo fedele consigliere, gli conduce Lucia, il Conte figlio le si accosta perciò con consumata e indifferente esperienza, certo che la bella siracusana non gli opporrà alcuna resistenza. La ragazza, però, gli sferra un morso da furetto. Un morso veloce, stizzito, che lo fa sanguinare e ridere stupefatto. Un gesto di inaspettata ribellione che segnerà per sempre la vita di Lucia, rendendola, suo malgrado, un’inconsapevole eroina durante la rivoluzione siciliana del 1848, il primo moto di quell’ondata di insurrezioni popolari che sconvolse l’Europa in quel fatidico anno.
“Se chiedete in giro, non vi diranno che ho un nome. Non vi diranno neanche che ho mente e lingua. Scrolleranno le spalle con insofferenza, qualcuno con pietà. Sorrideranno, altri. Vi riferiranno che, forse, un tempo capivo. Che, forse, babba ci sono diventata. La vita, diranno.”
Inizia così, con un prologo, il romanzo “Il morso” di Simona Lo Iacopo, edito da Neri Pozza. È la storia romanzata di un personaggio realmente esistito, Lucia Salvo, mentre sullo sfondo campeggia Palermo, nel periodo antecedente i moti rivoluzionari del 1848.
Lucia è siracusana e per tutti è la “babba”, pazza o scema, sicuramente diversa. Poco importa che un medico “forestiero” abbia dato un nome a quei momenti di black-out che le capitano, epilessia, perché per il resto della comunità è “u fattu”, impossibile da spiegare, impensabile da curare. E, così, alla madre di Lucia non resta che allontanarla, facendo in modo che venga presa come domestica presso Casa Ramacca, a Palermo, una facoltosa casata antiborbonica. Il conte figlio, infatti, è noto in tutta la Sicilia non soltanto per il potere e il prestigio che gode la sua famiglia, quanto per il suo appetito sessuale, costante e mai sazio. Le domestiche si alternano per soddisfarlo, in attesa che si sposi con la giovane fidanzata sua pari, ma l’insoddisfazione del conte figlio è tale da trasformarsi in malumore e rabbia.
Per questo la servitù fa tutto quello che può per rendergli le giornate piacevoli, cercando di appagare palato e lenzuola; il nano Minnalò, suo faccendiere, si ritrova a valutare le segnalazioni di fanciulle modeste da impiegare a servizio e il cantante, da tutti chiamato “il castrato signorino”, prova a emozionarlo con i suoi virtuosismi, mentre è lui stesso che si emoziona per un sentimento forte che sente crescere e deve soffocare.
«Ma quale babba» ha replicato sua madre questa mattina, mentre l’alba nasceva e allestiva un fagotto di stracci. «Ma quale babba» ha ripetuto con insofferenza tastandole i seni sotto il bustino per metterglieli su, dandole pizzichi di rosso sulle gote e un velo di belletto sulle labbra. «Piuttosto, sorridi e nascondi le mani, ché sono tutte tagliate. E se il Conte figlio ti tiene a servizio o ti prende nel letto, ringrazia tutti i santi del Paradiso».
Sarà… Ma questo fatto non sembrerebbe una salvezza a giudicare dagli strali che padre Cannavò Messazza lancia dal pulpito ogni Santa Quaresima, quando arringa che le cose di letto infamano nostro Signore e addolorano i santi.
«Decidetevi, mamà» ribatte a sua madre. «Decidetevi se è salvezza o perdizione, ché padre Cannavò non sembrerebbe d’accordo».
«E certo, padre Cannavò, che ne sa lui… Tu, invece, ascolta me: datti una passata di colore e spera solo che il Conte figlio non ne abbia già un’altra, di serva. Poi, se ti prende, mandami a chiamare, ché a Palermo, dai Ramacca, ci vengo pure io».”
Così quando Lucia si presenta dai Ramacca, per il conte figlio non è altro che la novità da provare. Un intermezzo, un nuovo passatempo. Lucia, però, lo sorprende, mordendolo per sfuggirgli e accendendo in lui un piacere che non provava da tempo: il desiderio per qualcosa, e non necessariamente per qualcuna. Ma quando “il fatto” si mostrerà sotto i suoi occhi, tutto prenderà una piega imprevista.
Lucia viene, allora, allontanata da Casa Ramacca e messa a servizio presso Casa Alliata, la casata con cui il conte figlio sta per imparentarsi grazie a quel matrimonio per cui non sembra smaniare. Ed essendo considerata innocua, Lucia viene impiegata per portare “pizzini” a un rivoluzionario, Maurizio Fortunato, recluso nel carcere dello Steri. Tutti ignorano, però, che lei non è analfabeta e capisce ben presto gli intrighi in cui è finita suo malgrado.
Con una prosa raffinata e sostenuta, Simona Lo Iacono tratteggia un personaggio spigoloso e anticonformista, votata al sacrificio per amore e onestà.
Prova narrativa convincente, “Il morso” non è però un romanzo universale, soprattutto per la lingua utilizzata che catapulta il lettore in un’atmosfera degna de “Il gattopardo”: troppo lontana dalla contemporaneità, troppo struggente, troppo ricercata.
Una messa in scena sulla diversità, la decadenza e gli inganni feroci della Storia.
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