Geralt è uno strigo, un individuo più forte e resistente di qualsiasi essere umano, e si guadagna da vivere uccidendo quelle creature che sgomentano anche i più audaci: demoni, orchi, elfi malvagi… Strappato alla sua famiglia quand’era soltanto un bambino, Geralt è stato sottoposto a un durissimo addestramento, durante il quale gli sono state somministrate erbe e pozioni che lo hanno mutato profondamente. Non esiste guerriero capace di batterlo e le stesse persone che lo assoldano hanno paura di lui. Lo considerano un male necessario, un mercenario da pagare per i suoi servigi e di cui sbarazzarsi il più in fretta possibile. Anche Geralt, però, ha imparato a non fidarsi degli uomini: molti di loro nascondono decisioni spietate sotto la menzogna del bene comune o diffondono ignobili superstizioni per giustificare i loro misfatti. Spesso si rivelano peggiori dei mostri ai quali lui dà la caccia. Proprio come i cavalieri che adesso sono sulle sue tracce: hanno scoperto che Geralt è gravemente ferito e non vogliono perdere l’occasione di eliminarlo una volta per tutte. Per questo lui ha chiesto asilo a Nenneke, sacerdotessa del tempio della dea Melitele e guaritrice eccezionale, nonché l’unica persona che può aiutarlo a ritrovare Yennefer, la bellissima e misteriosa maga che gli ha rubato il cuore…
«Gli uomini amano inventare mostri e mostruosità. Così hanno l’impressione di essere loro stessi meno mostruosi. Quando bevono come spugne, rubano, picchiano le donne con le briglie, fanno morire di fame la vecchia nonna, colpiscono con la scure una volpe presa in trappola o riempono di frecce l’ultimo unicorno rimasto sulla terra, amano pensare che più mostruosa di loro c’è sempre la Mora che s’intrufola nelle casupole all’alba. Allora si sentono in qualche modo il cuore più leggero. E trovano più facile vivere.»
Il guardiano degli innocenti è un fantasy. Un fantasy che trae le sue origini delle leggende popolari, un fantasy fatto di magia, spade, battaglie, viaggi e avventure che poco lascia spazio al sentimento o anche all’amicizia.
Non mi ero mai decisa a leggerlo, nonostante ne avessi sentito parlare tanto, ma poi la curiosità ha avuto la meglio. Ne avevo sentito di tutto e il contrario di tutto e quando ho cominciato a leggerlo ho capito il perché.
Il romanzo ci presenta subito Geralt, misterioso strigo, personaggio cupo e ombroso, e ci spiega assai poco di lui, quasi a dare per scontato che sappiamo di cosa si sta parlando. E immediatamente siamo al suo fianco mentre viaggia alla ricerca di ingaggi, che consistono nell’uccidere creature pericolose o malvagie. Il tutto con uno stile asciutto, senza eccessive descrizioni, ma non per questo meno capace di farci vedere ciò che succede intorno a lui, senza mai spiegarlo del tutto. Tutto quello che è necessario arriva solo al momento giusto.
Geralt non si stupì. Nella voce di Renfri era risuonato qualcosa di molto strano. Qualcosa che evocava il rosso riverbero di un incendio sulla lama delle spade, le urla di gente assassinata, il nitrito dei cavalli e l’odore del sangue. Anche gli altri dovettero riportare la stessa impressione, perché il pallore si diffuse persino sul ceffo abbronzato di Tavik.
Il libro è strutturato a episodi, senza una vera costruzione di trama e capisco che questo possa apparire strano a molti lettori, ma anche se gli episodi sono di per sé conclusivi, stanno costruendo un mondo, servono a presentarci Geralt sempre un pochino di più, a intaccare la scorza cupa e malinconica e mostrarci una persona complessa, anche se all’apparenza non si direbbe, assolutamente buona. Geralt è un eroe, segue un suo codice di comportamento in maniera stringente, ma non è l’eroe classico. È un eroe disilluso forse. È Geralt.
Sinché è arrivato il giorno di lasciare Kaer Morhen e di mettermi in viaggio. Avevo già il mio medaglione, sì, proprio questo. L’emblema della Scuola del Lupo. Avevo anche due spade: una d’argento e una di ferro. E in più portavo con me anche la convinzione, l’ardore, la motivazione e… la fede. La fede nel fatto di essere necessario. Utile. Perché pensavo che il mondo fosse pieno di mostri di bestie, Iola, ed era mio desiderio, proteggere coloro che ne erano minacciati.
«Me la cavo. In qualche modo me la cavo. Perché devo. Perché non ho altra via d’uscita. Perché in qualche modo ho sopraffatto dentro di me la superbia e l’orgoglio per la mia diversità, perché ho capito che la superbia e l’orgoglio, sebbene siano un’arma contro la diversità, sono un’arma miserevole. Perché ho capito che il sole brilla in maniera diversa, perché qualcosa cambia e io non sono l’asse di questi cambiamenti. Il sole brilla in maniera diversa e continuerà a brillare, non serve a niente bersagliarlo di pietre. Bisogna accettare i fatti, elfo, bisogna imparare a farlo.»
La storia non annoia e procede con questo sentore di nuovo ma di familiare negli avvenimenti e i nemici in alcuni casi hanno proprio il sapore delle fiabe tradizionali. Giusto e sbagliato vengono spesso messi in discussione da un protagonista capace di andare oltre le apparenze. Negli intermezzi di collegamento tra le varie avventure riusciamo a conoscere anche il lato umano di Geralt, forse non così duro, forse bisognoso anche lui di qualcuno che lo sappia capire.
Un libro bello, interessante e diverso dal solito, ma non adatto a chi vuole sapere tutto del mondo subito e a chi non riesce a rinunciare al lato romantico delle fiabe.
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