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Innamorata di Remington Tate, il campione di pugilato dei violenti incontri clandestini, Brooke sa che è necessario combattere per il loro amore. Stargli accanto come fisioterapista, infatti, l’ha resa più forte e più decisa che mai a non voltare le spalle al suo cuore. Remy è determinato a vincere il torneo e reclamare una volta per tutte il titolo a cui aveva dovuto rinunciare per amore di Brooke. Ma dopo un episodio in cui il disturbo bipolare di Remy esplode, il lieto fine non sembra più così scontato. Specialmente perché, quando Brooke scopre di essere incinta, lo stress dei combattimenti clandestini rischia di mettere la sua vita e quella di suo figlio in grave pericolo. Stare lontani significherà mettere il loro amore alla prova ancora una volta.
Prima di iniziare a scrivere questa recensione, mi sono fermata a riflettere più del solito. Avrei potuto essere breve e concisa, raccontandovi semplicemente che il romanzo non mi è piaciuto granché, né tantomeno convinto, ma sono anche tenuta a spiegarvi i motivi per cui il secondo volume della serie Real non sia stato per me all’altezza del primo; da cui la necessità di ragionarci sopra un minimo.
Ho voluto anche attendere che iniziasse a scemare la delusione dovuta alle aspettative maturate negli anni di attesa: e sì, perché sono davvero anni che attendevamo di leggere il seguito di questa particolarissima storia, e per questo mi è d’obbligo ringraziare la Newton Compton per aver rilevato i diritti e proseguito la pubblicazione della serie, che la Fabbri aveva interrotto. Inutile dire che sono stata felicissima della lieta notizia, offuscata appena un poco dal trovarmi davanti una cover scialba e banale, ma mi son detta okkeeey, per avere Remington sono disposta a passarci su.
Di primo acchito sarei stata tentata di scaricare la responsabilità di essermi ritrovata tra le mani una storia tutt’altro che interessante, sul personaggio femminile, odioso, superficiale, incoerente come poche volte mi è capitato di trovarne. Ma poi ragionandoci, ho dovuto ammettere che Brooke, nel passaggio dal primo al secondo volume, rimane coerente nella sua incoerenza. Mi spiego meglio. Brooke viene caratterizzata dall’autrice in maniera pessima fin dal primo libro: in teoria dovrebbe essere una ex campionessa olimpica obbligata a rinunciare alla propria carriera sportiva in seguito a un incidente; una ragazza che è caduta e ha avuto comunque la forza di rialzarsi e ricostruire la propria vita, ripartendo dalla passione per il suo nuovo lavoro di fisioterapista; una brava ragazza, affidabile, disciplinata, senza grilli per la testa. Questo in teoria, dicevamo. E tengo a sottolinearlo dal momento che invece, durante la lettura di Sei tu il mio per sempre, la donna che viene fuori dalle pagine è del tutto diversa, nient’altro che un’oca giuliva, con la fissa dell’attrazione fisica per Remy, il suo continuo “bagnarsi” all’inverosimile, il suo fuggire davanti alle difficoltà, malgrado il sentimento profondo che afferma di provare per lui.
In Dove finisce il cielo la cara Brooke non peggiora come personalità, rispetto al primo volume; a onor del vero bisogna darle atto che in questo secondo romanzo sia addirittura maturata e non fugga più, che per amore di Remington sia disposta a seguirlo e sostenerlo “nella buona e nella cattiva sorte”. Per il resto rimane quella di sempre, una persona monotematica, “quasi” ninfomane, che al suo repertorio aggiunge solo qualche infantile scenata di gelosia.
E dunque? Se a fare la differenza non è la sempre pessima Brooke, non rimane che prendere atto che la colpa sia da addebitare a come la Evans, in questa seconda fatica, abbia tratteggiato Remy. Il Remington che abbiamo conosciuto – combattuto e combattivo, onesto e sincero – che prende forza dalle proprie terribili battaglie interiori più che dalle vittorie sul ring, capace, per amore della sua donna, di un gesto indimenticabile, ecco, avete presente, no?… quel Remington, per buona parte di questo romanzo, lo cercherete tra le pagine senza trovarvelo. Troverete invece Il Riptide assatanato, quello che sniffa in continuazione l’odore di lei, l’uomo delle caverne possessivo, in una trama che perde mordente e diventa abbastanza ripetitiva, tanto da pregare, durante la lettura, che avvenga un qualche colpo di scena che metta un freno al declino della storia.
A voler essere onesta, sapendo che il punto di vista esclusivo sarebbe ancora stato quello di Brooke, un po’ temevo tale deriva, che puntualmente si è presentata, e non mi aspettavo certo un maggior approfondimento riguardo al bipolarismo di Remy, cosa che invece mi attendo dal terzo volume, in cui l’intera storia verrà nuovamente raccontata, stavolta dal pov di lui. Pretendo a questo punto di entrare nella testa, nelle emozioni e nei sentimenti di Remington, soprattutto in considerazione del fatto che la storia, in questo secondo volume, si riprende e ritrova potenza solo nell’ultimo 20%, quando la personalità del Riptide di Real si ripresenta in Mine come protagonista indiscussa, facendoci ancora una volta innamorare della forza d’animo di questo ragazzone.
E comunque, un ottimo 20% resta poca roba per riuscire del tutto a salvare un romanzo.
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