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L’avvocato scozzese Robert McFadden, figlio di un missionario in Rhodesia e di una ricca proprietaria terriera, entra in contatto fin da piccolo con il “diverso da sé” quando i suoi genitori, alla fine della prima guerra mondiale, accolgono nella loro casa di Edimburgo una bambina nera che lui scoprirà essere la figlia illegittima del padre. Passano gli anni e la storia si ripete: la figlia di Robert, Jen, dovrà a sua volta convivere con una coetanea di colore, Kemi, figlia di due attivisti per i diritti civili. Jen e Kemi crescono insieme come sorelle, ma sono molto diverse tra loro: la prima è più ribelle nei confronti dei genitori, Kemi invece cerca di compiacerli anche nelle scelte di vita. Jen non si realizzerà mai a livello professionale, mentre Kemi diventerà un chirurgo di successo. Quando, durante un soggiorno in Sudafrica, conoscono Solam Rhoyi, un giovane economista e ambizioso politico sudafricano, e se ne innamorano entrambe, il loro rapporto inizia a incrinarsi e nulla sarà più come prima. “Amiche sorelle” è una saga familiare che attraversa tre generazioni, dalla fine dell’Ottocento ai primi anni Duemila, ambientata tra la Rhodesia – oggi Zimbabwe – il Sudafrica, Londra e la Scozia in un momento storico di transizione politica, in cui si collocano i drammi dei personaggi, amicizie e amori traditi, segreti indicibili, ambizioni senza scrupoli.
Tutto mi aveva incuriosito di questo romanzo: la trama, l’accenno alla saga familiare, l’ambientazione che toccava in parte l’Africa e, lo ammetto, ho iniziato la lettura di Amiche sorelle di Lesley Lokko con molte aspettative. Troppe, forse.
Dopo una prima parte in sordina, la vicenda inizia a ingranare quando a casa McFadden arriva dalla Rhodesia (ora Zimbabwe) Kemisa, una “povera” bambina di colore, figlia di due attivisti per i diritti civili; accolta bene da tutta la famiglia, e con apprensione da Catriona, figlia dei MacFadden.
Passano gli anni e le due ragazzine legano. Sono cresciute insieme, tanto da essere chiamate “Kemi e Kitty”, con diminutivi che suonassero bene in coppia, fino a quando Catriona stanca di un nomignolo che non rispettava il proprio nome chiede a tutti di essere chiamata “Jen”. Non è l’unica bizzarria: “Niente latte nel te’. Stringhe delle scarpe rosse, non marroni. Patatine a parte, per favore. E adesso questa.”
Tanto è calma Kemi, tanto è inquieta Jen, sia nella vita professionale sia in quella amorosa.
Diverse, nei colori, nella statura, nella corporatura, e nel carattere. Eppure sorelle. Per scelta, e per rivendicazione di Jen che lo sbandiera davanti a tutti, conoscenti e sconosciuti, così da ottenere reazioni diverse: sconcertate o pietiste, ma tutte terribilmente paternaliste.
Passano gli anni, le due ragazze crescono e diventano donne: Kemi studia medicina, come Robert McFadden che l’ha accolta in casa da bambina, e come suo padre Tole, che ancora sta scontando in carcere la sua lotta contro l’apartheid; diventa un promettente neurochirurgo, è stimata dalla famiglia e dai colleghi. Jan studia arte, contro il volere del padre, si laurea con il massimo dei voti, ma passa da un lavoretto a un altro senza futuro e si sottostima, finendo per svilirsi e per accettare qualsiasi offerta pur di orbitare in un ambiente chiuso, elitario e settoriale, come quello della scena artistica: “un mondo alimentato in gran parte dall’ego degli artisti, dai soldi dei clienti e da una frastornante cerchia di “contatti” in continua diminuzione, i cui capricci Jen cercava disperatamente di assecondare.”
Niente, però, può allontanarle. O, almeno, così sembra, fino a quando nella vita di entrambe irrompe Solam, un giovane e ambizioso politico sudafricano. Anche lui, come Kemi, era stato allontanato dall’Africa quando era bambino e mandato in Inghilterra a studiare.
“Aveva ventiquattro anni quando entrambi i suoi genitori erano stati rilasciati dal carcere insieme a Mandela. Era volato a Città del Capo e aveva scoperto di essere un estraneo, non solo per i suoi genitori, ma anche per tutto il resto: il paesaggio, le persone, la cultura… anche la lingua. Aveva dimenticato la sua lingua. L’Inghilterra era la sua casa adesso. Aveva trascorso meno di due settimane in un albergo di Città del Capo, disorientato da tutto, incapace di inserirsi. Era tornato a Londra con un sapore amaro in bocca. Il Sudafrica non era posto per lui. Ma un anno dopo, con l’apartheid finalmente in agonia, aveva incontrato un gruppo di giovani come lui, figli di eroi della lotta che erano cresciuti ovunque tranne che in Sudafrica. Come lui, avevano frequentato università a Londra, Parigi, New York. Erano banchieri, dottori e ingegneri. Aveva iniziato a vedere le cose in modo diverso. Erano estremamente colti e sicuri di sé, e avevano viaggiato molto. Oltretutto, e cosa essenziale, erano neri. Era chiaro: il nuovo Sudafrica sarebbe appartenuto a loro.”
Poi, in Sudafrica, Solam era tornato, e aveva occupato una posizione di prestigio dietro l’altra diventando più influente degli stessi genitori. In partenza per Londra per un breve viaggio e spinto dalla madre, anche lei attivista, a rivedere Kemisa che aveva conosciuto da adolescente, Solam la incontra -si scontra con lei-, rimanendone affascinato; ma ben presto deve rientrare a casa e la sua posizione di astro nascente della politica sudafricana lo attirerà in giri moralmente discutibili.
Una borsa di studio porta Kemi in Sudafrica, accompagnata da Jen, e presto gli equilibri di una vita vengono meno…
Un romanzo non facile, Amiche sorelle, con una prima parte piuttosto lenta, che funge da lungo prologo, e una seconda più dinamica ma con atmosfere ugualmente britanniche, malgrado l’alternanza nell’ambientazione. Siamo distanti dallo Zimbawe (ex Rhodesia) raccontato nel bellissimo Zenzele di Nozipo Maraire o dall’intenso Sudafrica ricordato in Verranno dal mare di Zakes Mda, o da quello sofferto nel periodo post apartheid descritto crudamente in Frutto amaro da Dangor.
In Amiche sorelle c’è qualcosa che stona, costantemente, e rende difficile al lettore la sospensione dell’incredulità, come se si trovasse davanti a un prodotto ben lavorato, ma confezionato per il mercato, un mercato occidentale.
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