Sono nato per essere un re, ma non mi sono piegato al mio destino.
Mi sono impegnato per guadagnare quel privilegio.
Ho combattuto per essere il migliore.
In quella lotta la mente è sempre stata la mia arma più affilata, il cuore un ostacolo da eliminare.
Ho vinto.
Ogni guerra, tuttavia, ha i suoi costi, e io ho commesso un errore che ha distrutto la mia famiglia.
Da allora le mie notti sono turbate dagli incubi, i miei giorni avvelenati dal pentimento e dal rancore.
Ora, però, ho finalmente la possibilità di conquistare la pace.
La donna che mi ha rovinato la vita è tornata dal passato in cerca di protezione.
Ha trovato la morte.
Ma la morte è un dono da concedere ai giusti, la vendetta è la condanna dei traditori.
Mariana Hernández pagherà per ogni suo peccato, implorerà la salvezza e invocherà la sua fine.
Non avrò pietà, perché in me non c’è un briciolo di misericordia.
Perché non conosco perdono.
Scenderò all’inferno pur di farmi giustizia.
E Mariana verrà con me.
***Attenzione***
Il romanzo contiene scene di sesso esplicite e tratta contenuti delicati. Se ne consiglia la lettura a un pubblico adulto e consapevole.
Men of Honor è una serie di romanzi AUTOCONCLUSIVI.
Meno di un anno fa non ho potuto fare a meno di concludere la mia entusiastica recensione di Nikolaj con lui. Con Vincent. L’uomo che con la sua sensuale, incantevole arroganza, è riuscito a conquistarmi nello spazio di una manciata di frasi. E ora, dopo meno di un anno (grazie Kristen per non averci fatto aspettare troppo), mi ritrovo a parlarvi di lui e di un romanzo che, tanto vale che ve lo dica subito, meriterà ampiamente ogni secondo che gli dedicherete, ogni palpito del vostro cuore e ogni vostra doverosa lacrima.
Ecco, le lacrime sono state la prima cosa a sorprendermi. Non mi vergogno a confessarvi che nella prima ora di lettura, o giù di lì, avevo già frignato più un vitello sgozzato. E questo è un evento, se non senza precedenti, senza dubbio abbastanza raro da essere ampiamente degno di nota. Ormai abbiamo letto di tutto, visto di tutto, sentito di tutto. Farci piangere diventa sempre più difficile e, spesso, chi ci prova ottiene l’effetto contrario e provoca in noi ilarità, o peggio, noia. Ed è per questo che, anche soltanto per il potere che le parole di questo libro hanno avuto di commuovermi fino alle lacrime, per me ha già vinto.
Ma torniamo a lui. Vince è un mafioso con la M maiuscola, un Padrino, il capo assoluto di una potentissima Famiglia di Atlantic City. È un uomo bellissimo, schifosamente ricco, ma soprattutto potente. Vincent Calabrese possiede quel tipo di potere che si avverte fisicamente, in grado di mutare gli equilibri della fisica e di catalizzare l’universo.
E, dulcis in fundo, ha gli occhi blu. Blu, non azzurri.
Mi guardò attraverso la fessura visibile tra le sue palpebre strette. Quanti uomini avevano temuto quello sguardo? Quante donne si erano innamorate di lui sperando le scrutasse in quel modo?
E ancora:
Essere al centro delle attenzioni di un uomo come Vincent era un’esperienza totale, incredibile, irrinunciabile.
Lasciava il segno.
Creava dipendenza.
Nelle prime pagine del libro avevo già provato per lui entrambi quei sentimenti che mi avrebbe ispirato fino alla fine. Un’attrazione violenta, totale, inarrestabile, alternata a un qualcosa che non è odio, né rabbia, ma direi piuttosto un senso di fastidio.
All’inizio del libro l’autrice ci svela il suo protagonista attraverso il rapporto con un personaggio che, pur comparendo raramente nella narrazione, riveste a mio parere una grande importanza: Padre Robert, il prete al quale Vincent si rivolge per scaricargli addosso l’impossibile compito di assolvere ciò che non può essere assolto. Uno dei pochi uomini abbastanza coraggiosi da guardarlo negli occhi senza timore, da dirgli quello che deve essere detto. E una delle pochissime persone a cui il Padrino concede la sua stima. Di primo acchito si potrebbe pensare che Padre Robert lo accolga perché, come qualunque altro comune mortale, non può esimersi dal fare quello che lui gli ordina, ma presto ci si accorge che in realtà è il prete a scegliere. È lui a reggere il gioco e, forse, a sperare.
Parlando con lui, Vince ci rivela la sua anima tormentata, quella che cela al mondo esterno perché per un uomo nella sua posizione mostrarsi debole significa soccombere.
Non mi piaceva che i ragazzini si drogassero, allora costruivo centri di accoglienza. Ma che senso avrebbe avuto smettere di vendere cocaina? Ero solo uno dei tanti imprenditori di settore, il mio dovere era rispondere alle domande del mercato. Non importava quanto facesse schifo, non era una mia colpa.
Ogni uomo è responsabile per se stesso.
Io ero responsabile della mia Famiglia.
Parole di un uomo diviso, dilaniato da forze tanto potenti quanto opposte tra loro. Parole fastidiose, che inducono a disprezzare la sua boriosa ipocrisia. Padre Robert è il simbolo di quella redenzione che Vince non riuscirà mai a raggiungere, e che forse nemmeno vuole.
In un altro universo, forse, avrei potuto essere l’uomo che si aspettava io fossi. Purtroppo le leggi del mio mondo, la mia morale, tutto ciò che ero stato ed ero dal primo vagito a quella notte rendevano il perdono impossibile.
Un’impronta incisa a fuoco nel suo DNA, impossibile da cancellare. E infatti, nel momento in cui esce dalla chiesa Vincent Calabrese torna se stesso, o almeno quella parte di se stesso che lo rende spietato, senza scrupoli, il tipo di uomo adatto a guidare un impero basato sulla violenza. Rindossati i panni del bastardo che ci piace così tanto, Vince guarda negli occhi la sorella che teme voglia farle fuori il maritino e la rassicura, serafico:
«Non uccido mai di domenica.»
E noi ci sciogliamo ai suoi piedi, perché alla fine è questo che vogliamo da lui: la sua sensuale, incantevole arroganza.
Vincent Calabrese è un duro, un uomo abituato a comandare, a soffocare le emozioni, ad agire in base al codice distorto che gli hanno inculcato dalla culla e che è destinato a governare il resto della sua vita. Ma ha una grande debolezza che, indovinate un po’, ha le sembianze di una donna. Mariana Hernández incarna tutto ciò che Vince avrebbe sempre voluto, la promessa della pace, dell’amore, di una felicità che quelli come lui non meritano di provare. E, nello stesso tempo, è la sola persona capace di trasformare la sua totale, composta indifferenza in odio. Colei che sola, con il suo tradimento, è stata in grado di distruggerlo. Il suo Tormento. Il ritorno nella sua vita della ragazza di cui sei anni prima si era follemente innamorato innesca in lui una spirale fatta di odio, desiderio di vendetta, senso di colpa, passione e amore. Una tempesta destinata a consumarli entrambi fino all’osso.
Mariana è una donna dolce e gentile, una specie di angelo che la vita ha messo alla prova oltre ogni limite. Ho apprezzato moltissimo la profonda differenza tra lei e Isabella, la protagonista di Nikolaj, perché denota una grande capacità da parte dell’autrice di rendere i suoi personaggi veri, unici e profondamente autentici. A differenza di Isabella, che come già avevo ammesso mi stava un po’ antipatica, Mariana mi è piaciuta tanto fin da subito. Così come mi è piaciuto il fatto che, per una volta, non fosse il dominatore di turno ad aver subito tutte le violenze che potete riuscire a immaginare, più una. Della serie “poverino, ne ha passate tante, per forza adesso prende a mazzate la donna che alla fine amerà per sempre e con cui sarà felice e contento”. E meno male.
Mariana è stata massacrata in ogni modo possibile, eppure lei reagisce. Lei non si sporca l’anima. Lei rimane quella che era e non si sogna neppure di infliggere ad altri lo stesso dolore che lei stessa ha subito, di aggiungere violenza alla violenza. Lei la odia, la violenza, lei cerca l’amore. Che questa sia la prova di quanto uomini e donne sono diversi? Non lo so, forse. O forse no.
In ogni caso, Mariana Hernández è una gran donna, anche se a un certo punto non puoi fare a meno di chiederti come diavolo abbia fatto a sopravvivere, dopo tutte le sfighe che le sono toccate in sorte. Tra le descrizioni di mille violenze, quella che mi ha colpita di più è stato un ricordo d’infanzia, in cui la violenza non è fisica, ma non per questo meno agghiacciante. Mariana ricorda quando la zia, uno dei mostri con cui è cresciuta, la sera raccontava storie raccapriccianti a lei e a sua cugina, mentre insegnava loro a cucire.
Traeva piacere dal tessere il cotone insieme alla paura, a disegnare fiori che nella nostra immaginazione profumavano di sangue.
Un’immagine, tanto perfetta quanto terrificante, degli infiniti abissi della crudeltà umana. La stessa crudeltà di cui la giovane messicana sarà fatta bersaglio ogni giorno della sua vita. Solo la fine del romanzo segnerà la fine del suo inferno sulla Terra.
Vincent e Mariana si rincontrano dopo sei lunghi anni che entrambi, per motivi diversi, hanno trascorso a soffrire. Ed entrambi si ritrovano davanti una persona diversa, qualcuno che non riescono più a riconoscere. La speranza di lei di ricongiungersi con l’amore della sua vita si infrange contro la freddezza glaciale di un uomo che è diventato un mostro.
Quando si guarda il diavolo, non è l’orrore a fermare il cuore ma il dolore.
Lo scoprii in quell’istante.
Il diavolo aveva bellissimi occhi blu, labbra tentatrici e tratti del viso scolpiti nel marmo con una attenzione alla forza e una alla grazia.
Ma lei non è l’unica a dover fare i conti con quell’atroce senso di perdita. La donna che si prostra ai piedi di Vincent, implorando la sua protezione, non ha più nulla della ragazza a cui anni prima lui aveva donato il suo cuore, con l’intenzione di farne una dea da adorare, da venerare. Agli occhi di Vince, lei ora non è che uno strumento di vendetta, un corpo e un cuore sui quali sfogare tutto il suo dolore e la sua rabbia. E Mariana se ne accorge, e trema.
Pugni? Avevo imparato a prevederli. Frustate? Avevano smesso di farmi male. Lo sguardo con cui mi inchiodò Vincent? Era di più, era qualcosa di diverso, qualcosa che parlava di lacrime e sangue, di supplica e sottomissione.
Il mio sangue.
La mia sottomissione.
Il battito del mio cuore accelerò.
Il coraggio con il quale affronta quell’ennesima minaccia di violenza è qualcosa che tocca nel profondo. La caparbietà con cui lotta per sopravvivere e realizzare il sogno della sua vita, che ancora una volta pare sfuggirle, non può che suscitare un’immensa, commossa ammirazione. Ed è un coraggio che si spiega totalmente quando si scopre la ragione per cui non si è mai arresa, scegliendo nonostante tutto di continuare a vivere. Una ragione tanto semplice quanto potente, perché…
Il cuore di una madre è più forte e allo stesso tempo più fragile di quello di qualsiasi altro essere umano: è stato fatto per resistere al dolore, ma non per sopportare quello dei figli.
Tutto il romanzo è la storia di come due anime (o forse tre) arrivino a toccare il fondo del baratro per poi risalire insieme il secondo prima di venirne risucchiati per sempre. La storia di Vincent e Mariana mi ha fatto vibrare di commozione, di rabbia, di indignazione, di passione. Mi ha conquistata.
Forse, se posso azzardare, avrei ristretto un pochino i tempi. Non tanto perché il dilungarsi sul modo in cui lui la umilia distruggendo contemporaneamente se stesso abbia tolto di mordente alla narrazione, bensì perché, dopo un po’, cominci a fare una certa fatica a credere che lui sia davvero così cieco.
Va bene, sei convinto che lei ti abbia tradito, e il suo tradimento ti ha distrutto. Va bene, hai subito una perdita gravissima, una morte che il tuo cuore e il tuo ruolo ti costringono a vendicare. Va bene, il sistema di valori che ti scorre nelle vene misto al sangue non ti consente di perdonare. Ma accidenti, Vince, sei uno degli uomini più intelligenti e brillanti del mondo, possibile che tu ci metta così tanto a vedere l’aureola che risplende, pensa un po’, sulla testa della donna che ami alla follia?
Intendiamoci, le giustificazioni l’autrice ce le dà tutte quante. Niente è lasciato al caso, ma se il tira e molla, o meglio il gioco al massacro fosse durato un po’ meno, per quanto mi riguarda sarebbe davvero stato perfetto.
In ogni caso, sono arrivata alla fine del romanzo emotivamente provata, ma pienamente soddisfatta. Il finale è un balsamo per le ferite (le loro e le mie), un sospiro di sollievo, uno scorcio di pace assoluta nel mare in tempesta. Per Mariana è il giusto, doveroso risarcimento per tutto il dolore che l’universo le ha inflitto. Vince, invece, non lo merita. Lui lo sa, ne è profondamente consapevole, sa benissimo di non avere nessun diritto, nessuna speranza. È giusto, non ci aspettavamo nulla di diverso, sapevamo che la sua vita profondamente sbagliata non sarebbe cambiata, e in fondo ci sta bene così.
Nessuna assoluzione per Vincent Calabrese.
E nessuna pace per noi, che continueremo a sognare molto, molto a lungo il Padrino padrone del nostro cuore.
P.S. Ci tengo a precisare che l’autrice, in tempi non sospetti, spontaneamente e non sottoposta ad alcuna forma di costrizione, mi ha già accordato il possesso assoluto del Padrino in questione. Cito testualmente: “Vincent e tuo, con tutti i suoi occhi blu, la sua passione per i vini rossi e l’aria da “i’m the only fucking boss”. È tuo, ti do tutto!!!”
Insomma, cacchi vostri.
Recensione a cura di: Calipso
Editing a cura di:
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