«Qui è campo neutro, lì no. Poi te ‘nnamori, io t’ho avvisato.»
«Di Garbatella?»
«De lei e de me.»
Un matrimonio perfetto, un figlio intelligentissimo e un attico a Ponte Milvio: la vita di Lavinia e Claudio è a dir poco invidiabile. Manca solo un secondogenito all’appello, ma il progetto viene infranto da un’inattesa diagnosi di infertilità, che distrugge il castello dorato dei due ricchi borghesi romani. Così, reduce dall’inevitabile divorzio, Lavinia decide di cercare l’uomo con cui ha commesso l’unica follia della sua vita. Sganciare una bomba del genere, però, non è semplice, soprattutto se lui è un colosso dai modi spiccioli, e dal gergo più romanesco del quartiere in cui vive: Garbatella.
Enzo Mazzarelli si divide tra la gastronomia dei suoi genitori e il ruolo di padre single. Alle porte dei quarant’anni ha tanti rimpianti quanti sono i tatuaggi che sfoggia. Non cerca l’amore, eppure rimane vittima del fascino di Lavinia, che invece sembra restia ai sentimentalismi.
Nasce così la ricetta per un disastro familiare (e romantico) annunciato, tra divari sociali, figli prossimi alla maggiore età, padri mancati, uccellini da catalogare, segreti, errori e sogni rimasti tali. Ma Garbatella, da che è stata fondata, è capace di magie uniche e tra i suoi vicoli, cortili e panni stesi, innamorarsi e sperare in qualcosa di bello per il futuro diventa semplice come pronunciare un daje!
“Made in Garbatella”, o meglio MiG, come il famoso aereo da guerra (Top Gun docet), è una storia che ti sfreccia nell’animo, compie evoluzioni nel cielo del tuo cervello e ogni tanto ti sgancia una bomba nel cuore, lasciando dietro di sé lo scompiglio, però nel senso buono del termine. Ma se avete paura delle altezze, tranquille, ho pronto per voi un altro paragone, uno su due ruote: pensate a una corsa in moto, magari su una Kawasaki Ninja. Ecco, le emozioni che proverete saranno le stesse, l’esaltazione, il senso di libertà, ma anche la paura.
La lettura di MiG vi darà tutto questo e anche molto molto di più, merito dei personaggi che ci raccontano la loro storia, ma soprattutto merito dei luoghi in cui tutto si svolge. Roma Caput Mundi, e in questo libro è così. Roma non è solo l’ambientazione, dove l’autrice ha fatto muovere i vari personaggi, è la vera protagonista di questo romanzo: Roma con i suoi quartieri, uno in particolare, la Garbatella, un’entità a sé stante che si interseca strettamente con le vite dei vari personaggi, influenzandone il carattere. Tutto è strettamente legato alla Città Eterna che, nel bene e nel male, può dare una sensazione di libertà o di protezione, come essere una sorta di prigione dorata.
Incredibile quanto, a volte, si riesca a dire tutto ciò che vorremmo, tutte le parole incastrate o bloccate dentro di noi, senza articolare una singola frase, senza dare fastidio e turbare nessuno. In fin dei conti, all’amore non serve fare chiasso per sapere di esistere.
Questa non è la classica storia d’amore tra due persone, ma è un romanzo corale dove l’amore è coprotagonista assieme a Roma, perché ogni pagina racconta una sfumatura diversa dell’amore che un essere umano può provare o non provare: l’amore romantico verso un’altra persona, l’amore per la propria famiglia, i genitori e i figli, quello per la propria città, e per ultimo, ma non per importanza, quello per se stessi.
In principio il rapporto tra Enzo e Lavinia parrebbe ricalcare il classico gap di classe sociale, essendo uno appartenente al ceto medio basso e l’altra all’alta borghesia, ma solo in principio, perché pagina dopo pagina diventa chiaro che questa è soltanto un’infinitesima parte di quella che è in realtà la storia.
Enzo è verace, è una montagna d’uomo, palestrato e tatuato, insomma appare proprio come il classico bad boy, quelli che appartengono alle bande criminali: poco fine, poco intelligente, troppo poco secondo alcuni. In realtà è il contrario di quello che appare, è sensibile e generoso. Generoso con gli altri e poco con se stesso a causa del suo passato pieno di errori e di sofferenza. Un passato che non è mai stato seppellito, con cui Enzo non ha mai fatto pace, e a causa del quale non ha mai imparato ad amare se stesso.
Il termine perfetto per definire Enzo, e anche qualcun altro, secondo sua figlia Elisa, sarebbe Kintsugi, la famosa pratica giapponese di riparare qualcosa di rotto evidenziando le crepe con polvere d’oro. Ecco, Enzo è così: nonostante si sia rotto, si è ricostruito migliore di prima, le sue cicatrici sono un qualcosa da valorizzare e non qualcosa di cui vergognarsi, come invece fa lui.
Lavinia è bella, ma di una bellezza costruita, poco spontanea; appare come la classica bambola senza cervello, in realtà è una donna di successo, una madre amorevole, ma profondamente insoddisfatta e piena di sensi di colpa, dato che l’unica azione spontanea compiuta nel passato ha portato alla fine del suo matrimonio. Lavinia recita nel film della sua vita, di cui i registi sono altri. Lei vive una vita non sua e l’incontro con Enzo e con il microcosmo che lo circonda le tolgono le fette di salame, anzi le fette di porchetta, dagli occhi, facendole capire gli sbagli fatti.
Enzo e Lavinia, che sembrano così diversi, sono in realtà molto simili, entrambi “vittime delle apparenze”, entrambi prigionieri delle aspettative che altri o loro stessi hanno. Frequentarsi li porterà a prendere coscienza dei limiti ai quali si sottopongono inconsapevolmente e a volte anche consapevolmente.
Vi ho lasciato due righe sui protagonisti principali, ma a far bene dovrei parlarvi anche di Claudio, ex marito di Lavinia, di Elisa e della sua passione per il Giappone, di Giordano e molti altri personaggi, tra cui spicca Gelsomina, il grillo parlante del nostro Enzo, depositaria della saggezza popolare. Tuttavia, se lo facessi, la mia recensione diventerebbe un libro a sé stante e preferisco che perdiate tempo a leggere questa storia che non le mie impressioni. Come detto in precedenza, questo è un libro corale, dove ogni personaggio e ogni storia sono intrecciati l’uno con l’altro, dove non possiamo parlare dei sentimenti di uno senza parlare di quelli delle persone che lo circondano.
In questo libro tutto è collegato, tutte le emozioni sono connesse, quelle belle e quelle brutte, e quando dico brutte intendo dolorose, perché se leggerete questa storia vi troverete sulle montagne russe: riderete, vi arrabbierete, piangerete, sentirete il vostro cuore spezzarsi e poi ricomporsi.
Garbatella co’a sua modestia, co’ l’umirtà e ‘a dignità, c’ha cucito un vestito che mezza Italia je invidia. E co’ sto pezzo d’arta sartoria popolare addosso, se ne sbatte er cazzo de’e bucie, dei fronzoli, de’e cazzate e de’e promesse. Io so’ come lei, io so’ come sto posto, Lavì, vestito de gnente de più, e poco de meno. C’ho ‘na vita piena de erbacce, scritte brutte e intralci, nun c’ho un titolo de studio decente e nun c’ho ricchezze, ma er poco che c’ho, compresa ‘a dignità, nessuno mo’o deve tocca’.
Questo libro e i suoi personaggi sono come Roma e i suoi quartieri, tutti interconnessi, alcuni belli esteticamente ma vuoti di umanità, altri meno belli a una prima impressione ma vibranti di vita, perché ciò che può essere considerata incuria forse è solo il segno di luoghi vissuti, che spesso nascondono dei tesori che a prima vista non si scorgono. Questa è la magia di Roma, della Roma di questo romanzo: riuscire a far sentire romana anche una mezza crucca come la sottoscritta, riuscire a trascinarti nella vita di questa magica città, riuscire a farti assaporare l’atmosfera che si respira in alcuni dei suoi quartieri.
PS: Laura, non cincischiare troppo e scrivi il libro di Capitan Findus, altrimenti…
Recensione a cura di
Editing
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