Anna è una donna intelligente, bella, con un lavoro interessante, ma di colpo tutto questo non serve più. Dopo cinque anni la sua storia d’amore con Davide affonda in una palude di tradimenti, bugie, ricatti. E la sua vita va in pezzi. Si trasforma in un’isterica, non dorme, non mangia, fuma e si ubriaca ogni sera per riuscire ad addormentarsi. Compulsivamente inizia a frugare nel telefonino di lui, nelle chat, sui social. Non sa cosa sta cercando, non sa perché lo sta cercando. Per un anno rimarrà prigioniera di quello che lei stessa chiama il regno dell’idiozia, senza riuscire a dirlo a nessuno.
Questo racconto è la sua confessione, sotto forma di lettera, a Valentina, la sua più cara amica, che l’ha vista distruggersi sera dopo sera. Anna dice tutto, senza pudore. I dettagli umilianti e ridicoli, l’ossessione, la morbosità. Anna somiglia a tutti noi, che combattiamo questa guerra paradossale che chiamiamo amore. Ogni tanto vinciamo, più spesso perdiamo. L’unica cosa su cui possiamo sempre contare, l’unica capace di indicarci i nostri confini, i nostri bisogni, è il corpo. E sarà al corpo che Anna si aggrapperà per sconfiggere il dolore.
Edito lo scorso anno, e arrivato nella cinquina del prestigioso Premio Strega, “La femmina nuda”, di Elena Stancanelli, è uno dei libri più stroncati dalle recensioni su piattaforme quali Amazon o Anobii.
Giudizi sommari o ben argomentati, tutti hanno in comune un livore nei confronti del romanzo e del linguaggio scelto, che sembrano dire molto di più di un libro non riuscito, o riuscito male. È come se l’autrice avesse toccato un nervo scoperto. E molti non gliel’hanno perdonato.
È la storia di Anna e Davide, una coppia come tante. Due persone che si piacciono, si innamorano, e imbastiscono una convivenza finché qualcosa cambia. Le liti diventano velenose, i rinfacci quasi violenti.
Storia di un amore finito, che prima di essere archiviato da una delle due parti, in questo caso Davide, diventa ossessione per l’altra. Dopo essere stata lasciata, Anna precipita “un anno nel regno dell’idiozia.” Anche lei ha tradito, ma non era pronta a voltare pagina, e sicuramente a scoprire che Davide, invece di scegliere la strada facile del tradimento collaudato, si è innamorato di un’altra: una donna più giovane, per la quale prova un’attrazione fisica che ferisce Anna sopra ogni cosa, la annichilisce e la fa sentire finita.
Anna chiama la rivale “Cane”, perché così si chiama il suo cagnolino per ironia o mancanza di acume. E racconta la sua caduta all’amica Valentina, che pure le è stata accanto in quell’anno di miseria, una presenza silenziosa che le ha permesso di elaborare la fine della sua storia con Davide come un lutto.
“Sono rimasta lì e ho continuato a cullare il cadavere del nostro amore, come le mamme di orango i cuccioli morti.”
Anna non si nasconde più, il peggio è passato, in qualche modo ora è rinata e si è faticosamente lasciata alle spalle il dolore. Ora può raccontare e lo fa senza filtri. Ricorda quanto labile sia il confine di una coppia, quanto le identità sembrino liquide dopo una convivenza tanto da non riconoscersi più, da non sapere chi si era prima:
“Separarsi non significa tornare a essere quello che si era prima di conoscere la persona da cui ci si separa. Magari fosse così semplice. Non si diventa mai quello che si è già stati. E non solo perché è passato del tempo. Separarsi significa diventare una persona nuova. Quella che rimane dopo aver sciolto con il tempo e la pazienza la treccia di un amore finito. Molte cose, ovvio, rimangono impigliate. E ogni volta che te ne accorgi, ogni volta che fai un gesto, usi una parola che era di lui, vostra, rabbrividisci.”
Anna segue Davide, ne intercetta email, scardina password, cancella gli avvisi di sicurezza. Incurante di scivolare nell’illegale, sembra ostinata a perseguire la propria caduta: legge la sua posta e poi lo chiama, raccontandogli tutto. Lo sfida a trovare altre password e, poi, tenta di accedere ancora.
Controlla i suoi spostamenti con un’applicazione dello smartphone, godendo e soffrendo insieme quando sempre più spesso Davide si ferma a casa di “Cane”. Ogni tanto continua a fare sesso con lui, per svilirsi, per toccare il fondo. Beve e si fa usare da altri uomini senza perseguire il proprio piacere. Vuole essere usata e gode di sentirsi meno di uno strumento.
E così, di bassezza in bassezza, di miseria in atteggiamenti sempre più dannati, disperati e decadenti, Anna arriva a incontrare “Cane” e ad accettare il suo invito per un’uscita…
Difficile dare una valutazione di questo romanzo. A chi non è capitato di fare delle idiozie dopo la fine di un amore? A chi non è capitato di vivere un periodo simile a un’implosione? Per questo penso che le varie critiche ricevute dai lettori siano in qualche modo legate al proprio vissuto e non solo al romanzo.
È sicuramente un testo claustrofobico e il linguaggio crudo non aiuta. Diretto, scurrile, volgare a tratti, è lontano dalla classica prosa letteraria. Ha il pregio di stupire. E più che un’operazione commerciale, mi sembra il tentativo coraggioso della casa editrice, La nave di Teseo, di portare avanti una linea sperimentale oltre a titoli rassicuranti. E amo chi osa.
I veri limiti sono altri: le sezioni ripetute, le immagini abusate, l’uso delle parti anatomiche che, dopo un po’, diventa abuso e non più stratagemma letterario. Anche la forma delle lettere all’amica è piuttosto logora e poco convincente.
Sono tante le concessioni che il lettore fa alla pagina: dallo stereotipo che l’altra donna, la rivale, sia una figurina sciocca al limite del danno neurologico, al messaggio che la bellezza debba necessariamente essere sinonimo di magrezza. Il benessere nella taglia 40.
Bella l’immagine del corpo che si staglia in tutta la narrazione: dalla sofferenza alla liberazione che passa anche attraverso la sessualità libera.
È un NÌ.
L’idea sembra stiracchiata per fare mole, per ottenere consistenza là dove manca, e il finale è così grottesco da risultare posticcio. Ma è un testo che doveva stare allo Strega, premio discusso e discutibile, che da sempre porta avanti un discorso di letteratura alta e ingessata. “La femmina nuda” ha dato fastidio e questo è già un risultato.
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