Salvato dalla schiavitù sessuale da un misterioso agente pakistano, Caleb porta il peso di un debito che dev’essere pagato con il sangue.
La strada è stata lunga e costellata di incertezze, ma per Caleb e Livvie sta per finire tutto.
Finirà per rinunciare alla donna che ama pur di avere vendetta?
O sarà lui stesso a sacrificarsi?
«A Caleb sembrava che la natura degli esseri umani ruotasse intorno a una verità empirica: volere quello che non possiamo avere. Per Eva, era il frutto dell’albero proibito. Per Caleb, era Livvie.»
Ed eccoci qua, al secondo atto della serie Captive di CJ Roberts. Rispetto al primo libro, in Dark Red l’autrice modifica un bel po’ di cose. In primo luogo c’è un cambio quasi radicale nella narrazione: in Dark Blue gli eventi seguono strettamente la linea temporale, mentre in Dark Red questa viene ribaltata, con continui salti tra presente e passato. Al presente ritroviamo Livvie – che continua a narrare in prima persona, mentre il POV di Caleb continua ad essere in terza – finalmente libera dalla prigionia, ricoverata in una clinica psichiatrica, inizialmente sedata per la maggior parte del tempo, dilaniata dal dolore che prova per la perdita di Caleb. Seguita dalla dottoressa Sloan, psicologa dell’FBI, e interrogata dall’agente Reed, incaricato del suo caso, inizia pian piano a rivivere gli eventi che l’hanno condotta fin lì.
Il secondo importante cambiamento che ho avvertito riguarda le atmosfere nei due libri. Mi spiego meglio: se il primo volume mi aveva trasmesso un senso di angoscia e di impotenza, ho trovato il secondo paradossalmente più intenso e soprattutto straziante a livello emotivo, tanto che, a volte, durante la lettura, ho avuto bisogno di fare una pausa, di staccarmi dalle forti emozioni che mi sommergevano, come a volermi preparare psicologicamente per l’ondata successiva.
E vengo infine alla terza, sostanziale differenza che si avverte fra primo e secondo volume, la quale è probabilmente causa, assieme agli eventi, del cambiamento precedente: un’attenzione maggiore dell’autrice per la psicologia dei personaggi. In Dark Red nessun loro sentimento viene taciuto: confusione, paura, gelosia, possessività, senso di colpa, sofferenza, rabbia, e tanto altro. In particolare Caleb, che in Dark Blue risultava criptico, qui viene fuori in tutta la sua complessità, fragilità comprese. Di Livvie ci sbalordiranno la forza, la tenacia, il suo spirito combattivo, la capacità, nonostante tutto, di vedere al di là del Caleb/mostro, di amare profondamente e di essere a sua volta spietata all’occorrenza.
Vi lascio due assaggi del romanzo, il primo riguarda Livvie, che cerca di far comprendere all’agente Reed il suo punto di vista su Caleb, arrabbiata e delusa di essere vista come la povera vittima di un lavaggio del cervello da parte del mostro manipolatore e violento:
«Non sono una stupida, Reed. So che quello che mi ha fatto è stato orribile, l’ho vissuto, cazzo. Ma non si nasce mostri, ti ci fanno diventare, e qualcuno ha fatto diventare Caleb un mostro. Qualcuno che lo ha picchiato e che gli ha fatto cose tremende, e l’unica persona che l’ha aiutato, Rafiq, lo ha fatto diventare un assassino. Non ha mai avuto qualcuno come te, come la Sloan, come l’FBI, a cui chiedere aiuto. Ha dovuto sopravvivere con le sue sole forze, e anche se non posso perdonarlo, lo comprendo».
Il secondo assaggio ci mostra Caleb durante un confronto con Rafiq che, come avevo supposto leggendo Dark Blue, sarà uno dei personaggi che ci riserverà più sorprese:
«Non hai pensato a me? Fratello. Tutti quegli anni che ho passato come puttana. Nessuno sa meglio di te quello che ho sofferto. Non hai mai pensato che forse avrei voluto dimenticare? Tutti quegli anni a essere la tua ombra, imparando a uccidere e ad addestrare puttane per quegli stessi uomini che avrebbero usato me, non hai mai pensato che magari avrei solo voluto allontanarmi da tutto quanto ed essere… non lo so! Qualcos’altro!».
Cosa sia successo a tutti loro, prima della liberazione di Livvie, e cosa accadrà in seguito, dovrete scoprirlo leggendo il libro, sempre che non siate troppo impressionabili perché, nonostante non ci sia più violenza fisica sulla protagonista, le scene di sopraffazione, di dominazione e di erotismo spinto, nonché scene anche molto cruente riguardanti altri personaggi, ce ne sono in abbondanza.
Infine, tirata d’orecchie alla casa editrice italiana. Tanto la traduzione del primo libro risultava accurata, quanto quella del secondo è confusionaria, imprecisa, a tratti irritante. Care CE, traduzioni ed editing al risparmio potranno anche sembrare sul momento una conveniente scelta aziendale, ma è assai probabile che, a lungo andare, tali scelte possano rivelarsi per voi autolesionistiche. Dite di no? Già, forse sono io ad essere un’ingenua.
Recensione a cura di:
Editing a cura di:
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