La prima volta che lo percepii, fu nel salotto di casa nostra.
Ed ebbi terrore
Di chi fosse,
Di cosa pretendesse da noi
E in cosa mi avrebbe sfigurata.
Aveva imparato una lezione che voleva condividere. Una lezione che non si dovrebbe insegnare a un bambino, perché la felicità non segue sempre la tragedia, né la speranza il dolore.
Niente cambierà la sua natura impassibile, quel temperamento deciso e la fedeltà verso una promessa.
Eravamo gli opposti, eppure nei suoi occhi intravedevo dei frammenti di me. Vorrei aver conosciuto la nostra storia bene quanto oggi.
Avrei saputo ribellarmi alle regole prescritte? E se fossi stata capace, quale prezzo sarei stata disposta a pagare?
Non c’è tempo per riflettere.
Ecco, senti i passi dietro di noi? È lui che sta arrivando.
Ho in testa la macchia di sangue più grossa, quella che assomiglia a una navicella spaziale. Lì non c’è mia madre. Volto il capo per controllare e no, mi rifiuto. Non è mai stata tanto malridotta. Pallida, immobile, i capelli un groviglio nero.
Questa immagine segna per sempre il destino di un bambino, questo e le parole di un uomo che a tutto somiglia meno che a un padre
«Chi è stato, papà?» Lui è il mio eroe, è l’adulto che conosce ogni cosa, anche mamma ne era convinta. I miei perché lo spazientivano, ma finivano per trovare una risposta grazie a lui. Per me è la soluzione di qualsiasi rebus. Persino le storie della buona notte ai tempi dell’asilo erano migliori di quelle della mamma. Niente fatine o pesciolini d’oro, solo pirati e agenti segreti. «William Mitchel», sentenzi fissandola. Non un dubbio, né un tentennamento modulano la sua condanna.
Parole che determinano un destino, che segnano una vita.
In guerra ogni fine è lecito per il proprio scopo. Chi non si è mai trovato davanti a scelte difficili o a difendere la sua strategia per un obiettivo, nel mio caso la giustizia? L’unica pecca appare il metodo. Una soluzione tortuosa, ma ho gli occhi puntati sul bersaglio. A causa del male che ci hanno arrecato, io non ho nulla di cui scusarmi. Sapere di essere il loro mostro sotto il letto, mi manda in visibilio. Meghan è entrata nel mirino mesi fa, con la riapertura delle indagini sulla mia famiglia, con l’arrivo di quella maledetta lettera. La osservavo sorridere all’uscita dal centro commerciale. Spendeva i miei milioni, anch’io avrei sorriso. Ho comandato in casa Mitchel, ho imposto la mia legge. Una volta accesa la miccia, spegnere la fiamma è impossibile. Deriveranno scontri continui, fino alla morte di uno dei due. Sarà il solo epilogo.
Una guerra quella che aspetta le due famiglie, e una guerra giocata senza regole. Alan è affamato di giustizia anche se più che giustizia la sua pare una ricerca di vendetta, un modo per scaricare un odio covato e alimentato per anni, anni che lo hanno portato ad una vita in povertà vissuta nei peggiori sobborghi a contatto con le peggiori persone. Un odio che Lizzy, la zia di Meghan, ha alimentato con le sue cause civili che hanno ridotto in miseria i Norton privandoli prima di tutto della dignità. Il suo accanimento contro Meghan però si scontra contro un istinto, un sentimento racchiuso in fondo, molto in fondo al cuore che alberga in lui da sempre. Alan e Meghan sono legati, indissolubilmente legati.
L’attesa è una lancetta difettosa e immobile. Fastidiosa e tirannica. Ti fissa sotto le sembianze di una donna distesa a terra, subissata di coperte inutili. Serpeggia ai tuoi piedi, si annoda alle caviglie ancorandoti al pavimento. Affonda i denti nei pensieri. Di te non rimangono che sfiducia e preoccupazione. Avvicino Meghan e dondolo seduto nel modo in cui un tossico stringe la sua ultima dose. È il mio corpo a insistere a riscaldarla, la mente si è già arresa. Perché credere che riaprirà gli occhi? Sono sigillati da un’eternità.
I sentimenti mutano i due giovani attraversano varie fasi passando attraverso l’odio, il disgusto, la rabbia, la voglia di vedere l’altro distrutto e alla comprensione. Comprensione sì, perché una serie di eventi ci e gli farà capire che la loro vita non è loro, ma sono burattini nelle mani di chi davvero tira e ha tirato i fili da sempre.
Nell’osservare il risultato di tanta ira, la maschera di dolore del genitore, il viola delle labbra, il principio di un livido sul collo, un’ombra scende sugli occhi di Alan. È quella dell’umanità. Scompare in un battito di ciglia, cede il posto al presente, al mio volto spaventato, al suo fiato corto, al traffico proveniente dalla strada, al mio cipiglio saettare da lui all’arma. I nostri sguardi si legano. Striature di amaranto contro pece. Nel mezzo il revolver, i Mitchel, i Norton. Intorno a noi uno stato d’animo oscuro.
La verità è un’arma che distrugge, tutte le certezze si sgretolano, Se prima il nostro mondo era in bilico, adesso è in frantumi.
Questa storia è una storia di uno strano amore, di un sentimento che nasce dall’odio, dal rancore e arriva in un cerchio che si chiude a sentimenti positivi, gli stessi che legavano Meghan e Alan da bambini, gli stessi che li legano adesso.
«Sei il mostro…» Tira indietro i capelli partendo dai lati della testa, mentre contempla il soffitto. Sta terminando la lista mentale di ogni appellativo che ho meritato negli ultimi mesi. Stronzo, arrogante, cazzone, malato. Ne sono certo. «Ma di un altro libro, non del mio.»
Ho amato Alan seguendone il dolore, le contraddizioni, lo trovo un gran personaggio, mi ha intrigato fin dalle prime pagine, ho sperato leggendo ogni riga che capisse, che comprendesse che quel bambino manipolato e spaventato aveva delle speranze, delle possibilità, una vita davanti non votata ad un odio imposto dai veri mostri, da quelli che avrebbero dovuto proteggerlo non buttarlo via.
Spero che chiunque legga questa storia la apprezzi come l’ho apprezzata io, per l’ennesima volta Giovanna Roma ha scritto una storia che mi ha coinvolto, che mi ha preso un pezzetto di cuore e rimane lì nello scaffale delle cose che valgono.
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