Buondì, Feelers!
Oggi vi presentiamo
l’intervista in esclusiva a Sarah Savioli, che ha esordito il 02 luglio scorso con Gli insospettabili
pubblicato da Feltrinelli Editore.
Ciao Sarah, grazie per il tempo che ci stai dedicando.
Grazie a voi per il tempo e la cura che dedicate a me!
Per rompere il ghiaccio ti domando subito di raccontarci il tuo rapporto con i libri e qual è il romanzo che più ti rappresenta e/o al quale sei legata.
Sono nata in una famiglia dove i libri non si limitavano a starsene buoni sulle librerie: diventavano sedie, tavolini, pericolosissimi sgabelli sui quali arrampicarsi, riempivano ogni pertugio, da una credenza nata per ospitare tazze e piattini, alla cassettiera per la biancheria fino ai mobiletti del bagno. Così i libri diventarono le mie costruzioni: impilati erano muri delle case per le bambole; appoggiati l’uno all’altro tetti o rocce sui quali far svettare animaletti di plastica. Ho quindi da sempre avuto con essi un rapporto molto fisico, li sento come creature vive e con una loro precisa volontà. Per questo, il romanzo che è stato il più importante per me è quello che mi ha scelto per primo e lo ha fatto fissandomi con gli occhi disegnati sulla copertina di una sua vecchissima edizione degli anni ’50: Il buio oltre la siepe di Harper Lee. Lo lessi da troppo piccola, avevo sette anni, ma ricordo perfettamente la magia che si dischiuse non appena lo cominciai e le parole iniziarono a disegnarmi intorno un mondo nuovo. A quell’età compresi pochissimo di quel contenuto immenso, ma sentii comunque il senso preciso dell’ingiustizia, della solitudine, della segregazione e dell’importanza dirompente dell’imparare che si può essere miti, ma solidi, pur di difendere le idee che si ritengono giuste. Queste sensazioni lasciarono in me un segno profondo e compresi la potenza di ciò che riposava fra quelle copertine e attendeva pazientemente solo di essere scoperto. Il mio mondo divenne d’un tratto illimitato e sapere che c’era così tanto da scoprire fu stupendo e commovente. E stupendo e commovente lo resta tutt’ora.
Come nasce il tuo romanzo d’esordio?
Gli insospettabili è nato quattro anni fa, quando sono dovuta rimanere a casa dal lavoro per motivi di salute. Di quel periodo più che altro ricordo un gran senso di vuoto: fino ad allora avevo sempre lavorato buttandomi a capofitto in nuove avventure, non avevo mai temuto di rimettermi in gioco, anche dovendo partire da zero, e il mio impegno professionale mi aveva sempre definito e realizzato non totalmente, ma comunque in maniera profonda. Quello che mi stava succedendo, invece, sembrava aver fermato tutto: ovunque mi voltassi riuscivo a vedere solo i muri domestici e quello che non potevo più fare. Sapevo lucidamente di dovermi ricostruire, di dover gestire un modo nuovo di vivere perché nulla sarebbe più stato come prima, ma mi sentivo sempre meno sicura di potermi veramente accettare così costretta in quei nuovi limiti che percepivo sempre più come inadeguatezze. In uno di quei giorni tutti uguali e inconcludenti, cominciai a scrivere per gioco. Quaranta giorni, il testo era finito e mi aveva salvato la vita: come la lettura mi aveva donato un milione di mondi e vite da vivere, la scrittura mi permetteva di correre, saltare, volare e, anche se non potevo più fare tutto ciò che facevo prima, non mi ero mai sentita così libera.
Gli Insospettabili aveva inizialmente un altro titolo, Acrobati. Ci racconti perché lo avevi scelto e il riferimento?
Pensai ad “Acrobati” perché se c’è una cosa che accomuna tutte le creature viventi è la loro fragilità, il loro vivere sospesi su un filo sottilissimo nel tentativo di mantenere l’equilibrio. Trovo di una poesia struggente questa caratteristica che ci accomuna e penso che potrebbe davvero essere la chiave per comprenderci tutti meglio se solo avessimo il coraggio di mollare le nostre rassicuranti, monolitiche e falsissime sicurezze.
Quale tra gli animali presenti nel romanzo ti ha divertito maggiormente, mentre lo caratterizzavi?
Mi hanno divertito tanto gli uccellini del parco e mi sono sempre chiesta che cosa si raccontino fra loro quando stanno tutti vicini su un albero. Metteranno a punto delle strategie di bombardamento passanti? Saremo interessanti per loro o siamo solo dei misteriosi “cosi a due zampe”? Si chiederanno come facciamo a sopravvivere così irrimediabilmente ancorati al terreno? Mi hanno sempre fatto tanta simpatia e tenerezza, così cicciuti e delicati come sono. Chissà… forse anche noi facciamo simpatia e tenerezza a loro, così cicciuti e delicati come siamo.
Ci sarà una nuova avventura di Anna e del burbero Cantoni?
Lo spero… nella mia testa quei due hanno ancora moltissime altre litigate da fare.
Stai seguendo un corso da editor. C’è un classico di cui avresti voluto curare l’editing per consigliare all’autore una strada diversa?
Non credo. Non perché i classici mi piacciano tutti o li veneri in maniera fideistica, ma perché se sono diventati classici e vengono letti da anni e da migliaia di persone vuol dire che hanno dato e continuano a dare tutto quello che possono e devono. Non c’è nulla da modificare in una storia che cammina da sola, ha vita propria, diviene emozione e rinnova ogni volta il suo senso. Vince la storia proprio così com’è.
Dalla tua biografia (le poche note che ho letto) sei un perito tecnico-scientifico forense. Parlaci un po’ di cosa comporta il tuo lavoro e di come ha influito sul tuo romanzo.
Quello del perito tecnico scientifico è un lavoro che ho amato moltissimo, ma che ormai non pratico più da molti anni. Su questo mestiere esiste un immaginario televisivo molto a effetto, ma in realtà io ero solo un topino da laboratorio. Nel romanzo penso abbia influito il fatto che in quella fase lavorativa ho imparato che quando c’è un evento violento, è come se un palo venisse piantato con un colpo secco nel centro di un lago ghiacciato: le crepe si irradiano in maniera incontrollabile e tutto diviene insicuro, fragile, irrimediabilmente fratturato. Un intero universo si spacca e nulla è più lo stesso. La forza distruttiva della violenza è molto maggiore di quanto non si possa pensare e colpisce sia chi la subisce sia chi la mette in atto. La violenza non lascia nessuno incolume. Qualcosa si spacca, sempre e comunque e non guarisce mai più per tutti coloro che ne sono coinvolti.
Autori o autrici che ti hanno ispirata? Non solo per quanto concerne la scrittura, ma anche in altri aspetti dalla vita.
Risposta immediata: Daniel Pennac. Ho un’adorazione sconfinata per i suoi libri e per la persona che è. Ogni volta che leggo una sua intervista o lo vedo in un filmato mi perdo ad ascoltarlo incantata e commossa. Non so più quante volte ho letto il suo Diario di scuola e quanto a ogni rilettura mi abbia insegnato, quanti preconcetti mi abbia smontato. Il mio sogno un giorno è quello di arrivare di fronte a lui con la mia copia consuntissima di quel libro e riuscire a farmela autografare, anche se so che, se dovesse succedere, farei una pessima figura: con lui lì a un passo, inizierei a parlare in maniera sconclusionata, incomprensibile e poi sverrei andando per terra come un sacco di patate.
Quanto è importante per una scrittrice leggere? Ti faccio questa domanda, poiché a volte mi è capitato di avere l’impressione che alcuni autori, con un certo seguito/nome, arrivino, una volta affermatisi, a considerare il “fattore lettura” come secondario, nella loro formazione.
Per me la lettura è da sempre importante quanto respirare, è un nutrimento essenziale senza il quale non mi resterebbe che una lenta morte per inedia. Credo che finché manteniamo viva la nostra curiosità e il nostro desiderio di crescere, ogni possibilità ci sia ancora concessa. Leggere alimenta proprio questi aspetti, è un’esperienza che ci apre porte su modi di sentire e vivere che non potremmo mai permetterci in altra maniera, ci fa essere, ma anche divenire e continuare a divenire, pagina dopo pagina. Ecco, leggere per me non è solo importante, è vitale e il giorno in cui dovessi non viverlo più come tale, temo che nel mio caso ci sarebbe un problema molto serio.
Come ti vedi da qui a dieci anni (leggasi anche quanti libri hai in previsione di scrivere).
Uh, domanda complicatissima per una persona come me che è incapace di prevedere perfino cosa preparerà per cena. Non ho proprio idea di quanti libri scriverò, però spero che fra dieci, venti, cinquant’anni, il primo pensiero resti quello di continuare a imparare, lavorando a testa bassa, con la concentrazione e l’umiltà dell’onesto artigiano.
Cosa ne pensi del mondo dell’autopubblicazione? Proveresti mai quella strada?
È un mondo che conosco poco perché ho avuto la fortuna di poter imboccare un’altra strada. Personalmente non la sceglierei perché sono un’inetta su qualsiasi aspetto di natura promozionale, però se qualcuno crede in ciò che ha scritto penso sia giusto che abbia modo di mettersi in gioco. La trovo un’opportunità in più e quindi se così è, ben venga.
Il libro che vorresti aver scritto.
Molto forte, incredibilmente vicino di Safran Foer. Non sarà il libro perfetto, ma come ho letto la domanda non ho avuto dubbi. Anche se non so il perché, questa è la risposta di testa, cuore e pancia più onesta e diretta che potessi dare. Sulla motivazione… ci devo proprio ragionare!
Un consiglio per chi vuole approcciarsi alla scrittura.
Il mio consiglio è banalissimo ed è quello di leggere il più possibile. Leggere arricchisce le persone che siamo, ci dona nuovi mondi, ma anche nuove parole per descrivere quello che abbiamo. Nutriamoci di questa varietà e colorata moltitudine di modi di comunicare la vita e pian piano, lì in mezzo, lasciamo che cominci a germogliare anche il modo di esprimerci che sentiamo nostro.
Grazie per aver risposto alle nostre domande e un grande in bocca al lupo per la tua carriera di scrittrice!
Grazie mille a voi per aver pensato a me e per aver avuto la pazienza di ascoltarmi. A presto.
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