29 settembre 2016
di J.R.Ward
Ancora con affetto, parte seconda
Ovvero Vishous non è il mio spirito animale
Mentre mi trovo di fronte a Vishous nella stanza dei biliardi, mi sono ricordata di qualcosa che ho letto qualche tempo fa che diceva: la fobia più comune che hanno gli umani è quella di parlare di fronte a folti gruppi di persone. A quanto pare, è anche un incubo che un sacco di gente ha di tanto in tanto? Ciò che trovo interessante su entrambe le cose è che, pur ammettendo di avere un’intera gamma di difetti neurologici che fanno cilecca con cui devo fare i conti regolarmente, uno dei pochi che non posseggo è quello di parlare in pubblico.
Quello che non mi piace? La vicinanza, il discutere a quattrocchi – e accidenti – mentre V mi guarda con quel suo sguardo arrogante, quegli occhi di diamante socchiusi e concentrati su di me, mi sono ricordata esattamente perché non mi piacciono le conversazioni intime. Quando mi fissa, sembra che sia dentro il mio cervello, guardando nelle fessure che non mi preoccupo di esaminare, tramando qualche tipo di riassetto della mia capacità mentale, gironzolando e accendendo luci a comando.
In effetti, mi sento come se un apparecchio radiochirurgico Gamma Knife stesse trasformando la mia materia grigia in fettine sottilissime, come quelle delle farciture dei panini newyorkesi. È così sgradevole, che preferirei essere ad un cocktail party, e questo dice tutto.
“No, tu non sei il mio preferito.” Mi schiarisco la gola quando lo correggo. “E sono qui per vedere Lassiter. Forse farò solo… ehm, è qui Fritz?” Un attimo, ho già detto tutto questo, e ho già visto il maggiordomo. “Potrei, ehm…”
Già, l’unico modo per peggiorare questa cosa è il fatto che adesso mi sta sorridendo. Il che significa solo due cose: 1) si sta godendo tutto l’andazzo imbarazzante; o 2) si sta immaginando di spegnere quella sigaretta nella mia orbita oculare o qualcosa del genere. #chebeimomenti
Posso andare a casa adesso, penso tra me e me…
“Non so perché non riesci semplicemente ad ammetterlo.”
La sua parlata strascicata ha quel sottile accento dell’Est Europa che la pervade; in parte inglese, in parte francese, con l’aggiunta di un po’ di tedesco. Questo perché è un membro dell’aristocrazia per lignaggio, anche se trovo curioso che abbia quelle vocali sprezzanti e consonanti altere tipiche della glymera, considerando che non ha mai trascorso molto tempo con loro. Senza dubbio è dovuto al fatto di essere stato nella Confraternita per tutti questi secoli, tuttavia non mi stupirebbe che la Vergine Scriba avesse unito un’intonazione come quella dei reali europei a un elemento specifico del DNA nel suo programma ancora in uso di creazione della razza.
“Z è il mio preferito,” puntualizzo. Anche se, al momento, mi attraversa la mente l’intera citazione di Forrest Gump e la scatola di cioccolatini: I Fratelli, non puoi sceglierne solo uno. Aspetta, forse quella è una pubblicità della Lays? Oh Dio, sto impazzendo. “È sempre stato Z per me.”
“Meno male che non lo sa.” V aspira e trattiene il fumo. Poi parla mentre lo butta fuori. “Odia le persone che diventano troppo appiccicose.”
La mia rabbia raggiunge il culmine, nonostante sappia che è dove vuole arrivare V. “Non fare…” Sto davvero per dirlo? Mmm, sì. “Non fare lo stronzo.”
“Oh, non ho intenzione di dirglielo.” Spegne la sigaretta rollata a mano in un posacenere Hermes in equilibrio sul bordo del tavolo da biliardo. “Non posso credere che pensi che lo farei.”
“Certo, giusto. Perché sei così tanto comprensivo.”
“Per niente.”
“Quindi comprendi la mia preoccupazione.”
“No. E vedi, questi è un altro esempio di come non capisci il punto. Di te potrebbe fregarmene. Mio Fratello, invece? Non sono interessato a farlo andare fuori di testa. L’ultima è la ragione per cui starò zitto.”
“E ti chiedi il perché non sei in cima alla mia lista?”
“Mai. Perché è una bugia. Comunque, lo trovo davvero curioso che tu non riesca a essere sincera.”
“Stiamo girando a vuoto.”
“No, siamo fermi.”
Quando fa un gesto rapido con la mano verso i nostri piedi, che in effetti sono immobili, voglio veramente, seriamente, totalmente… dargli una ginocchiata nelle palle, o nell’unica palla che gli è rimasta. Non do sfogo all’impulso, soprattutto perché conosco la mia fortuna: mancherei il bersaglio e mi romperei la rotula sulla parte sottostante del tavolo. E diciamocelo, anche se nessuno dei Fratelli ha mai alzato una mano contro una donna o una femmina… voglio davvero verificare questa teoria su Mr. Permaloso?”
“Non sono permaloso.”
“Vorresti uscire dalla mia testa?” dico bruscamente.
Eeeeeeeee questo è un esempio di com’è tra noi. Costantemente. Ogni scena. E spiega il perché per LOVER UNBOUND (POSSESSO) ho avuto la peggiore esperienza di scrittura della mia vita.
“Goditi il tuo ‘angelo,” borbotta V mentre prende il suo posacenere e mi volta le spalle. “E le tue illusioni.”
“Non sono illusa!” Grido alla sua schiena.
“Passi tutte le tue giornate a parlare a personaggi immaginari.”
“Se fossi immaginario, non mi faresti impazzire così! Dovresti fare ciò che ti è stato detto, e fare attenzione ai tuoi comportamenti!”
Arrivato agli stipiti decorati dell’arco che porta all’atrio, guarda oltre la spalla e alza il sopracciglio. “Quando voglio che supplichi, ti dirò di farlo.”
“Dovrai farmi ubriacare!”
Non guarda di nuovo indietro. Semplicemente va via attraverso il vestibolo con quel suo temperamento da bastardo maledettamente assurdo e dannatamente fetente – che in realtà sembra fantastico – e quel suo atteggiamento da essere superiore – anche se per essere obiettiva, lui discende da una divinità – e con quell’odio del cazzo verso la Apple, autoritario, dominante…
Un attimo, dov’ero?
Con un gemito, appoggio il mio culo inesistente sul bordo del tavolo da biliardo e mi strofino gli occhi. Non mi concedo un drink sin da quando avevo, tipo, diciannove anni, e niente, dico niente, mi farà assumere qualcosa che contenga alcool. Onestamente, ho sempre pensato che il sapore sia disgustoso, ma non voglio neanche sprecare calorie, e più di entrambe le cose, non mi piace per niente essere confusa. Ma DIO, lui mi fa proprio desiderare di…
Beh, non so cosa, ma è enorme, incasinato e probabilmente coinvolge il lancio di una torta come un episodio di I Love Lucy.
La cosa peggiore? La cosa davvero, davvero peggiore? Ha ragione. Nonostante tutto quel litigare e quella situazione complicata… Lo adoro completamente. Fino al punto che, se dovessi giocare al preferito, devo ammettere che sotto Z, proprio sotto Zsadist, separato dallo spessore di un capello… c’è quell’orrore con il pizzetto, i tatuaggi alla tempia e quella cazzata del so tutto io, l’aria di superiorità e l’essere snob. Non riesco a spiegare veramente perché ho una tale affinità con qualcosa che mi fa irritare come fa lui… masochismo? Insicurezza? Perché mi sento sempre come se dovessi dimostrargli quanto valgo ed è quel tipo di sfida che trovo irresistibile? O forse è che sono quel genere di persona che la gente non è incline a punzecchiare, stuzzicare, provocare… e sono propensa a piacere davvero e tendo ad apprezzare e rispettare la gente che mi tiene testa.
“Credo di piacerti anch’io!” Urlo, anche se lui non può sentirmi. “Davvero!”
“Tu sei di Beantown perché non dovrei?”
Mentre sussulto e balbetto, mi concentro su Butch sotto l’arcata e mi affloscio per il sollievo. “Oh sei tu?”
Butch entra nella stanza dei biliardi e stasera ha un aspetto magnifico, vestito con un completo di seta blu scuro che fa pensare a Monte Carlo, non Las Vegas. La sua camicia bianco ghiaccio è aperta sul collo e profuma come un inserto di un rivista per la pubblicità di una colonia, qualcosa di squisito e costoso. E, oh, quegli occhi color nocciola. Sapete, una volta ho conosciuto un ragazzo che aveva gli occhi color nocciola come Butch, suonava nei Fort Ticonderoga Fife & Drum Corps, ed era un ragazzaccio con un viso bello da morire. Il soggetto perfetto per la cotta estiva di una sedicenne, soprattutto in quell’abbigliamento da americano delle colonie.
“Quindi se ne è appena andato, eh?” Dice Butch facendo un cenno con la testa oltre la spalla. “Il mio ragazzo, V, cioè.”
“Senti anche tu il fumo allora.”
“Già, che viene fuori dalle tue orecchie.” Il duro sorride, mettendo in mostra il dente davanti scheggiato. “So sempre quando voi due siete stati insieme in uno spazio ristretto. Lui torna ai suoi computer e gioca a World of Warcraft per ore.”
Indietreggio stupita. È piuttosto difficile pensare che io abbia qualche effetto su Vishous. “Davvero?”
“Sì. Allora come te la passi?”
Adoro l’accento di Boston. Mi fa pensare a Good Will Hunting (Genio Ribelle), uno dei miei film preferiti. E anche a The Town, un altro dei grandi favoriti (salve, Ben Affleck nudo con i tatuaggi.)
“Stavo bene finché… no, sto bene,” dico. “Fritz mi sta portando le focaccine. Cosa potrebbe esserci che non va, davvero? Stai andando in chiesa?”
“Tra poco, sì.”
Penso alla sua enorme croce d’oro, e alla sua fede… e poi per qualche ragione, mi ricordo di lui in quella macchina giù al fiume, a fare sesso con quella barista mentre il sole si alzava sopra l’Hudson. Ve lo ricordate? Quando lei voleva che le dicesse che l’amava, e lui l’ha fatto? Dio, è stato triste, ma la luce stava per sorgere sulla sua vita… prima doveva solo attraversare qualche sfida dura. Chi l’avrebbe pensato: che, quel poliziotto bastardo, alcolizzato e perennemente incazzato proveniente dal Southie, fosse un parente di Wrath. Pazzesco.
“Ehi, posso chiederti una cosa?” Quando annuisce e sorride, penso: wow le cose sono sempre state facili tra lui e me. “Hai più visto Jose de la Cruz, il tuo vecchio partner della omicidi?”
Un cambiamento attraversa il viso di Butch, i lineamenti si induriscono, e improvvisamente sono dispiaciuta di aver chiesto. Però non ho intenzione di ritirare la domanda, e aspetto, pazientemente, la sua risposta…
Continua il prossimo mese!
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