Con la sua sensibilità letteraria internazionale e cosmopolita, Santiago Gamboa ci trascina in una vicenda ricca di suspense e di poesia, fra una Colombia post FARC in cui si crede nel futuro e una vecchia Europa in crisi, schiacciata dalla paura del terrorismo e del diverso.
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«Per favore, console, vada a Madrid, all’Hotel de las Letras. Prenda la stanza 711 e mi aspetti».
Quando riceve questo messaggio, il protagonista sale senza esitare sul primo aereo in partenza da Roma: la donna che glielo ha inviato, Juana, ha lasciato un segno profondo nella sua vita. È l’inizio di un viaggio che lo riporterà in Colombia, il suo paese natale, e infine a Aden, sulle tracce di Rimbaud, il poeta a cui ha dedicato anni di studi appassionati. Juana però non si fa viva, e l’attesa si fa spasmodica.
Per difendere una donna dall’aggressione del suo accompagnatore, il console finisce in ospedale, malridotto e ammanettato. E sono proprio le vicissitudini di questa sconosciuta – violentata ancora bambina e salvatasi dalla pazzia grazie ai libri e alla poesia – a coinvolgerlo in un’impresa rocambolesca: la cattura del suo stupratore, un ex paramilitare colombiano riciclatosi come trafficante di droga.
Per la pericolosa missione, a cui si unisce Juana, ricorrono all’aiuto di un pittoresco argentino che sostiene di essere figlio di papa Bergoglio, un santone apocalittico con bizzarre idee ambientaliste e fascistoidi: saranno i suoi seguaci a preparare il sequestro.
«Santiago Gamboa, scrittore colombiano che già al suo primo romanzo uscito a metà degli anni ’90 era stato generosamente salutato da Vàzquez Moltalbàn come degno successore di Garcìa Màrquez, è senz’altro un autore dalla lingua lussureggiante, ma i suoi temi non hanno nulla di magico, semmai di iperrealista». La Stampa
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