New York, Anni Cinquanta. Per Rachel, infermiera dalla vita regolare e solitaria, il passato è un buco nero dal quale è riuscita a fuggire per miracolo. Quando però incontra Mildred Solomon, anziana paziente senza più speranze di guarigione, d’un tratto qualcosa nel suo subconscio si slaccia, i ricordi rimossi tornano a galla, prendono il sopravvento. Perché Rachel e la Dottoressa Solomon, come la donna vuole essere chiamata, si sono già conosciute tanto tempo fa, quando Rachel non era ancora Rachel, ma solo la bambina numero otto, un’orfana di pochi anni affidata a un istituto nel Lower East Side di Manhattan. Ma chi è veramente la Dottoressa Solomon? La madre surrogata che si prendeva cura degli sfortunati orfani – unico raggio di luce nella tormentata esistenza della piccola Rachel – o una donna fredda e cinica, votata alle proprie ambizioni e pronta a tutto nel nome della scienza? Solo chiamando a raccolta i fantasmi della memoria Rachel potrà trovare le risposte di cui ha bisogno, e diventare finalmente padrona del proprio destino. Kim van Alkemade prende spunto da fatti realmente accaduti per mettere in scena un dramma sui temi dell’abbandono, del tradimento e del riscatto.
“La Bambina numero otto” è un romanzo ispirato a fatti realmente accaduti. Se già si soffrirebbe con la protagonista all’interno di una storia di finzione, ancora peggio è rendersi conto che gli avvenimenti raccontati riflettono situazioni reali in cui qualcuno si è trovato in nome della scienza. Io credo nella scienza, ma leggere di veri e propri esperimenti su bambini non può non risvegliare profonda rabbia.
La storia di Rachel, il passato collocato tra le due Guerre Mondiali e il presente negli anni Cinquanta, ci viene raccontata in due modi diversi: Rachel bambina è narrata in terza persona, Rachel adulta invece in prima persona. Come se fossero due personaggi diversi, come per distanziare il passato, così difficile e doloroso, della Rachel bambina, che è stata per troppo tempo in balia delle scelte di altri, dalla Rachel donna che ha trovato un suo equilibrio e decide della sua vita.
Ma man mano che si procede nella narrazione, si capisce che la Rachel donna non potrà mai dimenticare quello che le è accaduto da bambina, avvenimenti che hanno influito profondamente sulla sua vita adulta.
Da piccolina Rachel viene messa, dopo la morte della madre, in un brefotrofio ebraico. Una struttura apparentemente moderna, in cui i bambini vengono curati e istruiti con attenzione per dar loro le migliori possibilità. Allo stesso tempo quel luogo, però, cela una freddezza e una disumanità difficile da credere.
«Vedi?» commentò l’infermiera Shapiro. «Possono piangere quanto vogliono, ma alla fine si addormentano sempre. Basta ignorarli».
All’interno dell’infermeria dell’orfanotrofio vengono condotte sperimentazioni sui bambini, sia sani che malati, sperimentazioni che causeranno a Rachel la perdita completa di capelli e sopracciglia.
Rachel ha un disperato bisogno di contatto umano, così grande da accontentarsi delle briciole, da vedere nella dottoressa che la cura, ma che nel contempo la usa come cavia, l’unica fonte possibile di affetto e considerazione.
«Devi berlo tutto e alla svelta, è importante. Sei una brava bambina, vero? Me l’hanno detto le infermiere, ecco perché ho scelto proprio te per aiutarmi tra tutti i pazienti». Rachel non era abituata a sentirsi fare complimenti ed era passato molto tempo dall’ultima volta in cui aveva potuto rendersi utile per qualcuno. Le tornò in mente quando il padre le chiedeva di raggruppare i bottoni per tipologia, e la mamma le affidava il compito di tenere in ordine le monete. Ma un muro di dolore la separava ormai dal tepore di quei ricordi e tornò a rivolgere la sua attenzione alla dottoressa. Aveva un disperato desiderio di compiacerla.
Rachel però dimostra una forza inaspettata, crede nei suoi sogni, vuole ritrovare il padre che l’ha abbandonata e il fratello che ha dovuto allontanarsi dall’orfanotrofio. Assistiamo al suo viaggio verso l’età adulta che, infine, la porta di nuovo di fronte alla dottoressa Salomon, in fin di vita e totalmente dipendente dalla sua benevolenza.
Ed ecco che i ruoli si ribaltano e che la vittima può diventare carnefice.
Fino a una settimana prima ero convinta che le persone si dividessero in due gruppi, coloro che infliggevano dolore e coloro che erano destinate a soffrire. Ora sapevo che chiunque poteva passare alla sponda opposta, non era un destino ineluttabile. Bastava attraversare un ponte pericolante.
Romanzo di maturazione, di consapevolezza di sé e, perché no, di denuncia, La bambina numero otto tocca anche un altro argomento delicato: l’amore omossessuale. Rachel scopre ben presto di ‘non essere naturale’, ma affronta questo lato della sua anima con la stessa forza con cui la Rachel bambina affronta abbandono, malattia e dolore.
Toccante, ma senza eccessi, né pietismi, è un romanzo che si legge piacevolmente.
Come già detto, per quanto romanzata questa storia è ispirata a fatti veri e offre uno scorcio di realtà poco conosciuta.
La storia di una donna che ha costruito la vita con le sue mani, nonostante tutto.
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