Pubblicato il 20 settembre 2011
Lunghezza: 611 pagine
Editore: Amazon Digital Services
A diciotto anni non si è troppo giovani per sentirsi sconfitti, ma non si è nemmeno così vecchi da non poter più rimettersi in piedi. Il desiderio di cambiamento spinge Willa Kirk ad abbandonare la cittadina di St. John Newfondland per tornare al proprio paese d’origine, Smiths Falls in Ontario, per allontanarsi dai suoi errori e dal luogo in cui è deceduta sua sorella. Alla ricerca di un posto in cui fermarsi e ricostruire la propria vita.
Jem Harper, invece, vorrebbe soltanto andarsene da quella città e tornare alla vita come la conosceva prima del cancro.
Lasciando che le loro tragedie li definiscano, Jem e Willa si lasciano morire a poco a poco, ogni giorno.
Benvenuti alla loro rinascita.
La sinossi che accompagna il libro purtroppo non esprime la complessità e la profondità di questo romanzo, così come non può farlo la categoria in cui dovrebbe essere inserito, data la giovane età dei protagonisti. Il titolo in italiano può essere tradotto come “Risveglio” o “Rinascita”, ed è questo il nucleo fondante di tutto il libro. Wake è infatti la storia del percorso molto lungo, drammatico, descritto minuziosamente e in modo realistico, della vita di due giovani che si incontrano in un momento molto buio per entrambi.
La narrazione si svolge attraverso i punti di vista alternati dei protagonisti – Willa e Jem – settimana dopo settimana, a partire dal loro primo incontro all’interno della loro classe di educazione sociale nella scuola superiore di Smiths Falls.
Willa è appena arrivata in città. Jem, invece, vive a Smiths Falls da pochi mesi, poiché questo è il luogo scelto dai suoi genitori dopo il calvario della terribile malattia che gli ha stravolto la vita.
Il lettore sa che il protagonista è in via di remissione e questo fatto rende la lettura meno traumatica da un certo punto di vista, ma può anche vedere quanto il suo corpo e la sua anima siano segnati dalla malattia che avrebbe potuto ucciderlo e che ancora pende su di lui come una spada di Damocle.
Il ragazzo vive isolato dai suoi coetanei che lo evitano per il suo aspetto fragile e che porta angoscia. Lui per primo non permette a nessuno di avvicinarsi, ancora troppo arrabbiato con il destino che gli ha giocato quel terribile scherzo, troppo orgoglioso per accettare lo sguardo pietoso e irridente di chi lo circonda, troppo invischiato nel suo malessere e nella comprensibile preoccupazione che qualcosa possa ancora andare storto. La descrizione fisica del protagonista non è qualcosa a cui siamo abituati quando leggiamo un romanzo, e di certo non è ciò che solitamente cerchiamo: Jem è scheletrico, calvo, perennemente vittima di nausee terribili, di forti dolori e di stanchezza cronica a causa dei farmaci che sta ancora prendendo. Psicologicamente è un ragazzo complesso, un giovane che è stato obbligato a maturare precocemente e che ha visto la propria vita cambiare in modo così radicale, tanto da rimanerne traumatizzato. Non è più lo studente brillante, lo sportivo attraente e popolare che frequentava un’altra scuola superiore in una grande città. È una creatura che si veste, gioco forza, con abiti troppo larghi per il suo fisico provato, sotto berretti cuciti a mano per nascondere la testa calva, dietro silenzi e battute al vetriolo.
Perché lui detesta chi è diventato ed è sicuro di non poter essere amato da nessuno a causa del suo aspetto e della sua malattia che gli impediscono di fare parte della vita “normale” dei suoi coetanei.
Mi svesto e vado nella cabina armadio a recuperare l’accappatoio. C’è uno specchio lì e il ragazzo che vi vedo riflesso e che mi fissa assomiglia a uno dei prigionieri di Auschwitz ritratti nel mio libro di storia. Mi è facile credere di non essere io perché quel tizio pesa almeno quindici chili meno di me, io ho i capelli forti e mossi e lui non ne ha affatto. Io non ho un catetere che mi esce dallo sterno, ma quel bastardo sì. Io sono attraente. Sono popolare. Questo ragazzo ha invece l’aspetto di uno a cui basta un filo di vento per ucciderlo ed è obbligato a sedersi con la sorella minore a pranzo per avere un po’ di compagnia. L’unica cosa ancora simile tra loro sono gli occhi, e io li ignoro. Quegli occhi sono l’unica prova evidente della mia presenza dentro l’impostore riflesso nello specchio.
Willa invece è la nuova ragazza a scuola. Sua sorella è da poco morta di cancro, quindi lei non teme la situazione di Jem, la conosce anzi così bene da trattarla con feroce normalità.
Incontra il ragazzo il primo giorno di scuola e da quel momento la loro sarà una relazione molto dinamica e travagliata.
La nuova ragazza è seduta accanto a me. Dio, deve proprio muovere il banco in questo modo?
«Sei vivo?».
Sollevo una palpebra e la fisso male: «Sei proprio divertente».
Vorrei chiudere di nuovo gli occhi per far smettere la stanza di girare, ma questo rovinerebbe l’effetto del mio sguardo accusatorio.
«Mi chiamo Willa».
Mi volto all’indietro e vomito nel lavandino. Mi sembra di buttar fuori molto più di ciò che ho ingoiato a pranzo e mi chiedo come diavolo sia possibile. La classe si ammutolisce più velocemente di quanto farebbe alla chiusura della prevendita dei biglietti per un concerto dei Jonas Brothers. Tutti si girano verso di me per vedere cosa stia succedendo, come se già non lo immaginassero. La nuova ragazza mi porge un fazzoletto di carta e apre il rubinetto per far scorrere l’acqua.
«Non è affascinante?», si rivolge a loro con un tono della voce alto e vivace, e tutti tornano a voltarsi in avanti, lasciandosi scappare dei suoni di disgusto.
«Piselli?», cerca di indovinare.
«Gelatine al lime».
Ma chi diavolo fa domande del genere?
Il loro rapporto si svolgerà lungo tutto il libro, tra dialoghi al vetriolo, divertenti, teneri e sensuali. C’è tutto insomma, giocato in moltissime sfumature che appagano chi,come me, a volte ha bisogno di perdersi nella psiche dei protagonisti che legge.
Lui, all’inizio, è infastidito dalla cruda schiettezza della ragazza, unica tra tutti a non trattarlo come fosse un oggetto pericoloso o sul punto di andare a pezzi; lei è disturbata dal carattere cinico e aggressivo del suo nuovo amico. L’iniziale diffidenza si trasforma in un’amicizia complessa, profonda, ambivalente, coinvolgente, tenera, dura, fragile, bellissima, fino a trasformarsi in una storia d’amore unica nel suo genere. Insieme, i due, saranno in grado di ritrovare la perduta serenità, la loro identità, anche se per riuscirci dovranno superare momenti molto intensi ed emotivamente drammatici. Lei gli permetterà di vedersi di nuovo amabile, bello, lo nutrirà letteralmente e metaforicamente, rimettendolo in piedi, standogli accanto nei momenti peggiori. Lui la aiuterà a perdonarsi, ad amare ancora, a sentirsi buona, malgrado il suo passato.
Ho iniziato questo libro per caso, spinta dai commenti di altre lettrici che lo definivano come diverso da tutto ciò che avevano letto in precedenza e mi sono trovata ad amarlo profondamente, perché l’autrice è stata brava ad andare oltre lo stereotipo del diciottenne medio, facendoci entrare nella complessità emotiva e cognitiva di quella fascia d’età in un modo assolutamente coinvolgente e credibile. Ho apprezzato anche il modo in cui si è mossa intorno alla tematica spinosa e dolorosa di una malattia terribile come il cancro, senza mai, mai, mai scadere nel melodrammatico o nell’artefatto.
Wake potrebbe erroneamente passare per un libro adatto a lettori giovani a causa dell’età dei personaggi principali, ma le problematiche che tratta, la complessità delle relazioni rappresentate, l’approfondimento psicologico dei due ragazzi, uniti alla presenza di una trama che si sviluppa in modo coerente, armonico e con un ritmo assolutamente realistico, lo rende intrigante anche per un lettore adulto.
Appagherà chi ama leggere della nascita di un sentimento intenso in tempi ragionevolmente lunghi, appagherà chi cerca l’amore profondo, appagherà chi cerca qualcosa di diverso, perché Wake è soprattutto una grande storia d’amore, una delle migliori che io abbia mai letto.
Vi lascio l’incipit del libro e mi auguro che qualcuna di voi dia una possibilità a questo romanzo così particolare.
Anche seduto nell’angolo in fondo alla classe, al banco più distante dal viavai degli studenti e dallo sguardo dei professori, mi è possibile essere al centro dell’attenzione. La cosa veramente curiosa a questo proposito è che, allo stesso tempo, posso essere invisibile.
A nessuno piace guardare una persona seriamente ammalata. È imbarazzante. Potrebbe essere contagiosa. Potrebbe succedere a te un giorno, e questo rischia di rovinare la spensieratezza del tuo momento altrimenti felice.
Eppure ogni studente in questa classe è iper consapevole della mia presenza, anche se nessuno mi guarda o mi parla, perché – e non lo ammetteranno mai – hanno paura che io cada a terra morto stecchito da un momento all’altro. Tecnicamente sono in via di remissione. Dico tecnicamente perché ancora mi sento di merda. Vedete, anche quando il cancro se ne va la rottura di coglioni non finisce. I medicinali hanno la forza distruttiva del Napalm, distruggono praticamente tutto, e anche i trattamenti più benigni provano fisicamente.
Appoggio la testa sul banco. La lezione non è ancora iniziata e comunque nessuno dei miei insegnanti mi dirà di rimettermi dritto e fare attenzione, perché anche loro temono che se sollevassi la testa potrei morirne.
Recensione a cura di: Cristina Robin
Editing a cura di:
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